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Khan, padre dell’atomica pachistana, collaborò coi fratelli Tinner

Abdul Qadeer Khan in una fotografia del 2013. KEYSTONE/EPA/T. MUGHAL sda-ats

(Keystone-ATS) Abdul Qadeer Khan, lo scienziato padre dell’atomica pachistana conosciuto anche in Svizzera per la sua collaborazione con i fratelli Tinner, è morto a 85 anni stroncato dal coronavirus.

Il Paese ha perso “un’icona nazionale” è stato l’omaggio del primo ministro, Imran Khan, nei confronti di un uomo che ha regalato al Pakistan lo status di settima potenza nucleare mondiale, la prima dell’intero mondo musulmano, pareggiando l’equilibrio del terrore nei confronti della vicina e rivale India.

Nato nel 1936 a Bhopal, nell’odierna India, ed emigrato con la famiglia a soli 11 anni nel neonato Pakistan, si laureò nel 1956 in Fisica all’Università di Karachi e studiò poi a Berlino. Entrò a far parte del Progetto-706, il ‘Manhattan Project’ pachistano, nel 1976, due anni dopo che l’India fece conoscere al mondo il suo progetto ‘Smiling Buddha’, facendo detonare il suo primo ordigno. Divenuto direttore della ricerca sulla fissione nucleare nel progetto, Khan si vantò di non aver mai contribuito a progettare gli ordigni.

Il suo status di eroe nazionale non è stato realmente offuscato nemmeno dal clamoroso scandalo, emerso alla fine del 2003, della vendita dell’informazione tecnologica per costruire armi nucleari a Stati come la Corea del Nord di Kim Jong-il, che poi se ne è effettivamente dotata, l’Iran degli ayatollah e la Libia di Muammar Gheddafi.

Un lavoro segreto di contrabbando che, secondo la narrazione divenuta allora ufficiale, sarebbe continuato sottotraccia attraverso gran parte degli anni ’80 e ’90, negli anni cioè in cui il Pakistan era considerato uno dei principali sponsor del terrorismo internazionale e in cui la sua ricerca nucleare faceva passi da gigante nel laboratorio segreto di Kahuta, presso Islamabad: un programma culminato nei primi collaudi di testate atomiche nel 1998.

Lo scandalo emerse quando Teheran confessò di aver ricevuto la tecnologia per costruire centrifughe dal Pakistan: Paese da cui pervenne alla Libia il progetto per costruire la bomba, secondo quanto raccontò il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, dopo la pubblica rinuncia di Tripoli alle armi di distruzione di massa.

Ma all’inizio degli anni 2000 Islamabad diventò uno degli alleati strategici degli Stati Uniti nella guerra al terrorismo lanciata da George W. Bush. E per togliere dall’imbarazzo il governo di Pervez Musharraf nel febbraio 2004 si arrivò al pubblico mea culpa dell’eroe nazionale A.Q. Khan, che in una confessione in diretta tv si assunse l’intera responsabilità di quello che era successo, per pura “avidità”, assolvendo il governo di Islamabad e chiedendo perdono al suo Paese. Perdono che naturalmente gli fu accordato, anche se l’anziano fisico, divenuto capro espiatorio, restò agli arresti domiciliari fino al 2009.

I fratelli Tinner

Il caso Tinner ha occupato le cronache giudiziarie e politiche per anni. Il processo di fronte al Tribunale penale federale di Bellinzona si è tenuto nel 2012. La corte aveva condannato i fratelli Urs e Marco Tinner a 50 e 41 mesi di prigione, il padre Friedrich a due anni con la condizionale per violazione della legge federale sul materiale bellico; Marco Tinner anche per falsità in documenti.

I tre imputati erano accusati di aver collaborato tra il 1998 e il 2003 con Abdul Qadeer Khan e di essere implicati in un traffico verso la Libia di elementi destinati alla fabbricazione di centrifughe a gas per ottenere uranio arricchito.

Il processo ha lasciato in eredità alla Confederazione anche una “polpetta” avvelenata, ossia migliaia di documenti per la produzione di armi nucleari nonché informazioni sull’arricchimento dell’uranio. Tali atti sono stati distrutti su ordine del Consiglio federale.

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