Prospettive svizzere in 10 lingue

Italiano, la dolce lingua

La traduzione della Bibbia del Diodati, stampata a Ginevra nel 1608, contribuì a diffondere l'italiano nei Grigioni. Fondazione Garbald, Castasegna GR

Il Museo nazionale di Zurigo ospita una mostra dedicata alla lingua italiana. Un viaggio attraverso la storia per meglio arrivare a capire il presente.

In un momento in cui lo studio dell’italiano sembra perdere terreno nella Svizzera francese e tedesca, la mostra dà una pennellata di smalto alla terza lingua nazionale.

Uno strano scherzo del destino ha voluto che la mostra «La dolce lingua» aprisse i suoi battenti proprio in un momento in cui l’italiano in Svizzera sembra vivere un momento difficile. Fuori dalle regioni italofone – canton Ticino e valli meridionali del Grigioni – si assiste ad una diminuzione dell’offerta scolastica, diminuzione culminata nella soppressione delle cattedre d’italiano al Politecnico federale di Zurigo e all’Università di Neuchâtel.

«Quando abbiamo deciso di allestire la mostra non c’erano ancora tutte queste discussioni in merito alle cattedre d’italianistica», afferma Regula Zweifel, vicedirettrice del Museo nazionale. «Non siamo una piattaforma politica, siamo una piattaforma culturale e la lingua è cultura».

Ma perché questa «cultura» venisse esposta a Zurigo c’è voluto il forte impegno – umano e finanziario – di chi l’italiano in Svizzera lo vive giorno per giorno.

Trasportare la mostra dalla Galleria degli Uffizi di Firenze – dove era stata presentata nel 2003 con il nome «Dove il sì suona» – alla Svizzera tedesca era l’occasione per la minoranza di lingua italiana di farsi conoscere meglio dai confederati.

La lingua in mostra

Realizzare una mostra su una lingua non è cosa facile. Più che la lingua – che per sua natura vola – a poter essere ammirati sono alcuni oggetti che ne illustrano la storia.

Divisa in quattro sezioni (L’italiano lingua letteraria, L’italiano scritto e parlato, L’italiano e le altre lingue, L’italiano fuori d’Italia) l’esposizione non si limita a presentare grandi autori come Dante, Boccaccio o Petrarca, ma illustra il pianeta lingua anche attraverso il cinema, la musica, il teatro o i graffiti.

Diverse postazioni multimediali permettono di giocare con le proprie conoscenze dell’italiano, andando a caccia di etimologie, riscrivendo poesie famose o ascoltando canzoni italiane con una parola straniera nel titolo.

Da lingua del sì a dolce lingua

Nel passaggio da Firenze a Zurigo l’esposizione ha cambiato un po’aspetto, a partire dal titolo, che, come spiega Luca Serianni, noto linguista e ideatore della mostra, faceva riferimento ad un verso di Dante ed era quindi di difficile comprensione per chi è estraneo alla cultura classica italiana.

«L’idea della dolce lingua sottolinea non tanto l’idea della dolcezza in sé – ogni lingua è dolce o aspra a dipendenza di quello che diciamo – ma piuttosto la percezione della lingua italiana nei secoli scorsi, soprattutto per quanto riguarda i grandi viaggiatori europei come Goethe, che tra Sette e Ottocento sono scesi in Italia».

Ma forse anche l’Ottocento è troppo lontano e allora ecco che «La dolce lingua» fa l’occhiolino a «La dolce vita» di Fellini che spunta sul manifesto della mostra.

Più Svizzera

Ma il cambiamento di maggior rilievo è certo l’accresciuta presenza svizzera. «Uno dei nostri obiettivi era quello di rendere invisibile il confine, di parlare di una cultura italiana comune a Italia e Svizzera», spiega il professor Bruno Moretti, uno dei curatori della sezione svizzera.

«Per raggiungerlo abbiamo inserito degli oggetti di origine elvetica nella parte generale della mostra, come una cartina dell’Atlante linguistico italo-svizzero o alcuni ex voto che illustrano la presenza del parlato nello scritto. Si tratta di documenti che portano verso una vera e propria sala svizzera».

Svizzero, almeno in parte, è anche l’oggetto dal più alto valore simbolico di questa mostra. Si tratta della trascrizione di una canzone di Giacomino Pugliese rinvenuta su un codice conservato alla Biblioteca centrale di Zurigo. «Resplendiente stella de albur» è un testo della Scuola siciliana, la prima a poetare in volgare. La vicinanza della trascrizione, avvenuta in Italia del Nord tra il 1234 e il 1235, alla lingua originale ne fa uno dei documenti più importanti per la ricostruzione delle origini della poesia italiana.

Fiore all’occhiello

All’inaugurazione della mostra sono intervenute diverse personalità di spicco, dal ministro elvetico della cultura, Pascal Couchepin, al vice ministro italiano Antonio Martusciello. Il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi ha inviato un fax di felicitazioni per l’apertura della mostra. 700 persone sono intervenute al vernissage.

Un’occasione mondana o vero interesse? «In questi momenti si tende a parlare molto bene, a fare dei discorsi illuminanti e promettenti che poi si riducono in un nulla di fatto», mette in guardia Bruno Moretti.

«Non bisogna illudersi che una mostra salvi l’italiano in Svizzera al di fuori dei territori italofoni. Si può però sperare che abbia un effetto positivo e che contribuisca a migliorare il prestigio della lingua italiana».

swissinfo, Doris Lucini, Zurigo

«La dolce lingua», 16 febbraio – 29 maggio, è al Museo nazionale di Zurigo.
La mostra è stata ideata dalla Società Dante Alighieri con la collaborazione dei cantoni Ticino e Grigioni.
Un ricco programma di manifestazioni parallele – con concerti, conferenze e tavole rotonde – accompagna l’esposizione.

L’esposizione si ripromette di trasmettere il significato della lingua e della cultura italiana. Lo fa affrontando temi astratti in modo ludico: ai preziosi oggetti esposti – per lo più libri – si aggiungono postazioni interattive e stazioni audio.

Tra i pezzi più pregiati si possono ammirare il codice che contiene l’originale di «Resplendiente stella de albur», una delle più antiche testimonianze poetiche in volgare italiano.

C’è poi una copia della Divina Commedia di Dante che Petrarca fece trascrivere per regalarla al Boccaccio.

Interessante e curiosa è la Bibbia personale di Girolamo Savonarola. Per evitare di portarsi appresso troppi libri, Savonarola ha ricoperto tutti gli spazi bianchi con minuscole annotazioni manoscritte.

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