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L’accordo sui frontalieri sempre in alto mare

manifestanti brandiscono uno striscione dell associazione frontalieri ticino
Manifestazione indetta il 2 aprile 2016 dall'Associazione Frontalieri Ticino per protestare contro la doppia imposizione. Keystone

Dal 2015 il nuovo accordo sui frontalieri tra Svizzera e Italia non è ancora stato ratificato dalle autorità della Penisola e così com'è probabilmente non lo sarà mai. Il nuovo Governo italiano lo vorrà infatti verosimilmente rimodellare, come emerso a Milano al terzo congresso dell'Uil Frontalieri, la divisione dell’organizzazione sindacale italiana che si occupa di decine di migliaia di lavoratori.

Il congelamento dei ristorni dei frontalieri che il presidente del Governo ticinese Claudio Zali ha proposto al Consiglio di Stato, chiedendo di non versare 25 milioni di franchi allo Stato italiano il prossimo 30 giugno affinché vengano utilizzati “anche per il finanziamento di servizi e infrastrutture in favore della mobilità transfrontaliera“, ha fatto salire la tensione.

Sul tavolo un’annosa questione: quella della tassazione dei frontalieri che riguarda oltre 73’000 lavoratori italiani che entrano ogni giorno in Svizzera (di cui 65.000 solo in Ticino) e fino ad oggi regolata da un accordo vecchio di oltre 40 anni. Questo accordo prevede il versamento del 38,8% delle imposte – prelevate al lavoratore italiano in Svizzera – ai comuni di frontiera.

La nuova intesa, che contempla diverse modifiche dal punto di vista fiscale, è stata parafata nel 2015 ma non ancora approvata anche a causa dei continui cambi di governo italiani.

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Il nuovo esecutivo targato Lega-5stelle non sembra avere l’accordo (che deve essere firmato dai due governi e approvato dai rispettivi parlamenti) tra le priorità del suo mandato. Ma il recente incontro tra i vertici di Regione Lombardia e Governo ticinese fa ben sperare che l’attuazione di questo nuovo modus operandi che passa per il dialogo, possa redimere le controversie e risolvere i problemi al di là e al di qua della frontiera.

Una nuova road map

Nei rapporti tra Lombardia e Ticino è necessaria una nuova road map, sostiene Massimo SertoriCollegamento esterno, assessore di Regione Lombardia agli Enti locali, Montagna e piccoli comuni con delega ai rapporti con la Svizzera.

“Nei rapporti che stiamo costruendo col governo ticinese, cerchiamo di analizzare i problemi comuni e stabilire delle priorità con l’idea di togliere gli elementi di criticità nei vari ambiti, come per esempio quello infrastrutturale. Una volta stabilito questo e tenendo in conto che il governo centrale ha ora una sensibilità maggiore rispetto a quelli passati, non è detto che non si possa andare a risolvere questi problemi senza intaccare i ristorni. La novità sta nel fatto che, rispetto al passato, il governo avrà un confronto diretto con Regione Lombardia anche su altre questioni aperte sul tavolo lombardo-ticinese. Lasciamo quindi il tempo al nuovo governo di prendere in mano il dossier: ma è chiaro che un rimodellamento dell’accordo dal nostro punto di vista non può penalizzare i lavoratori frontalieri”, spiega a tvsvizzera.it l’assessore Sertori.

Insomma come a dire che d’ora in poi – cooperando tra amministrazioni – potrebbero non verificarsi più incomprensioni e malintesi o addirittura prese di posizione nette come la sopra menzionata proposta di Claudio Zali.

L’accordo visto dai sindacati

Ma il nuovo accordo non entusiasma nemmeno i sindacati. La Uil frontalieriCollegamento esterno, oltre a rivendicare la nascita di uno statuto dei lavoratori frontalieri italiani che “non sono tutelati” e che “non esistono politicamente”, pensa che il nuovo accordo penalizzi il lavoratore.

“Riteniamo assurdo che un lavoratore debba avere a che fare con due autorità fiscali perché ciò gli complica tremendamente la vita. Nel caso lo si volesse approvare, riteniamo importante che vengano corretti alcuni punti. Vanno identificate meglio quali sono le parti da tassare, bisogna considerare anche i costi dei trasporti che i lavoratori sostengono nel sistema delle deduzioni e bisogna alzare il tetto della franchigia. Solo così la strada diventerà più percorribile”, dichiara Pancrazio Raimondo.

Il segretario generale del sindacato sottolinea anche l’importanza del dialogo e della cooperazione anche tra sindacati italiani e svizzeri. “Il frontaliero che mantiene la residenza nel suo paese è un migrante quotidiano e ha bisogno di una doppia tutela. Qui la cooperazione sindacale è indispensabile perché altrimenti il lavoratore si deve dimenare da solo con due amministrazioni differenti”.

Quella stessa cooperazione che a livello sindacale già c’è grazie ai Csir (Consigli sindacali interregionali) composti da CGIL Cisl Uil da una parte e OCST e UNIA dall’altra e che hanno portato a elaborare proposte di misure correttive sull’accordo fiscale. Ma che, per Raimondo, deve partire dalla politica: “Vediamo con attenzione quello che fa la Regione Lombardia. Se l’idea è quella di migliorare la cooperazione individuando le priorità allora siamo fiduciosi. A una condizione: che nella discussione ci sia il coinvolgimento dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali. I governi devono cooperare sui confini attraverso le loro amministrazioni cosa che instaurerebbe anche un nuovo clima tra i due paesi mettendo a valore i vantaggi reciproci: spesso, infatti, si parla solo dei problemi dei lavoratori e mai dei vantaggi di questa cooperazione dato che sul tavolo ci sono quattro miliardi di euro di salari”. Come dire: un pezzo di economia.

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