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Incontro con il giornalista italiano sotto protezione per motivi politici

Con le sue inchieste, articoli e libri Paolo Berizzi esplora il ritorno del neofascismo e del neonazismo in Italia. Da tre anni è sotto protezione permanente della polizia - per motivi politici. "Per me il giornalismo o è civile - o non lo è”, dice Berizzi nella nostra serie Voci di libertà dal mondo.

Questo contenuto è stato pubblicato il 04 maggio 2022
Michele Novaga, Bruno Kaufmann e Carlo Pisani

Quando si parla di libertà di stampa l'Italia non occupa certo la posizione di leader. Secondo Reporter senza frontiere, il Paese dell'Unione europea si trova al 41° posto nel mondo. Ma le cattive notizie non finiscono qui: l'anno scorso 25 giornalisti hanno dovuto essere protetti dalla polizia 24 ore su 24. E ci sono nuove intimidazioni segnalate ufficialmente quasi ogni giorno, come riassume il ministero dell'Interno di Roma.

Uno di questi giornalisti protetti è Paolo Berizzi, cronista del quotidiano La Repubblica specializzato nel denunciare le attività delle organizzazioni neofasciste nel Paese. Per questo motivo è sotto protezione della polizia dal 2019. Berizzi è un caso speciale perché è l'unico giornalista che richiede una scorta per motivi politici: tutti gli altri sono minacciati da mafie e criminalità organizzata.

Con le sue inchieste, articoli e libri Paolo Berizzi denuncia da vent'anni il ritorno del neofascismo e del neonazismo. "In Italia c'è un problema di fascismo o meglio di fascismi perché ce ne sono diversi tipi. I fascismi negli ultimi anni hanno rialzato la testa perché li abbiamo sottovalutati e normalizzati e, negli ultimi anni, grazie a condizioni favorevoli al loro ritorno, sono riemerse pulsioni razziste, discriminatorie e nostalgiche che coinvolgono deputati eletti che hanno giurato sulla Costituzione italiana, parlamentari europei e rappresentanti delle istituzioni che vogliono convincerci che il fascismo non è solo negativo ma ha fatto anche cose buone", conclude. Aggiungendo che se potesse non tornerebbe indietro. "Rifarei tutte le cose che ho fatto. Per me il giornalismo o è civile o non lo è: o serve a denunciare i fenomeni che minano la convivenza e la nostra vita quotidiana, o abdica alla sua funzione principale. E io ripagherei il prezzo che questo lavoro ha comportato e comporta".

"Siamo uno dei pochi Paesi con così tanti giornalisti sotto scorta e questo non è normale. Al contrario, è un indicatore che i giornalisti fanno fatica a fare il loro lavoro. In un Paese libero non dovrebbero esserci giornalisti sotto scorta e sotto protezione e il fatto che invece ce ne siano così tanti costretti a vivere sotto protezione armata è un segno di sconfitta per lo Stato che deve proteggere chi è minacciato", dice Berizzi a SWI swissinfo.ch.

Berizzi è la nostra ultima "Voce globale della libertà".

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