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“Non svendiamo la Svizzera ai cinesi”

Un quinto delle acquisizioni nel mondo sono opera di fondi di investimento che rispondono a Pechino. I "senatori" svizzeri ora lanciano l'allarme: troppe imprese elvetica stanno finendo in mano estere, soprattutto cinesi.

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Il Consiglio degli stati (chiamato per facilità anche senato) ha adottato tacitamente un postulato che chiede di esaminare vantaggi e svantaggi della creazione di basi legali affinché gli investimenti esteri in imprese svizzere possano essere maggiormente controllati. i “senatori” si sono detti preoccupati in particolare delle acquisizioni da parte della Cina in questo ambito. Stando a uno studio del Credit Suisse, un quinto di tutti i rilevamenti di imprese realizzati a livello mondiale sono infatti oggi opera di investitori cinesi.

A far paura soprattutto il fatto che le acquisizioni cinesi rientrano in una precisa strategia governativa denominata “Made in China 2025”. Un disegno promosso da Pechino che, per esempio, ha suscitato la reazione dell’UE. Lo scorso marzo la Commissione ha annunciato una verifica più severa delle acquisizioni di società orchestrate dalla Cina al fine di garantire una concorrenza equa.

Il Governo, ha assicurato il consigliere federale Johann Schneider-Ammann, capo del Dipartimento dell’economia, vuole affrontare la questione ed elaborerà quindi un rapporto sul tema.

Una misura poco svizzera

In verità già molti paesi europei sono intervenuti varando regole e controlli sugli investimenti stranieri, e lo stesso hanno fatto la Cina e altre superpotenze come Stati Uniti, Canada o India. 

Non si vede dunque il problema di introdurre una simile regola anche in Svizzera. Questo anche alla luce del fatto che per acquistare una casa in Svizzera, uno straniero deve avere il nullaosta di comune, cantone e Confederazione. Per acquistare, per esempio, un’azienda farmaceutica di Basilea basta avere i fondi necessari senza la necessità di ottenere chissà quale permesso.

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