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Intrighi nel formicaio

Le operaie sanno apprezzare anche i bruchi di farfalla... quando non si sentono costrette a divorare le larve dei propri fratelli swissinfo.ch

Operaie che ammazzano le regine. E regine che rifiutano di deporre uova fecondate. Anche tra le formiche, i geni giocano dei brutti scherzi. Le scoperte di un ricercatore svizzero.

Per le regine, la vita nei formicai non è sempre facile: amministrare la riproduzione della specie è un compito oneroso e, spesso, anche pericoloso. Nelle colonie delle formiche di fuoco, per esempio – come ha scoperto Laurent Keller, direttore dell’Istituto di ecologia dell’Università di Losanna – la sopravvivenza delle giovani regine è legata a un solo e unico gene: il Gp-9b. Quelle che non ce l’hanno nel loro DNA vengono impietosamente uccise dalle operaie della loro stessa colonia.

Lotte intestine per garantire l’equilibrio delle colonie

All’origine di questi atti di cannibalismo c’è una sorta di “egoismo genetico”, ovvero il bisogno profondo di perpetuare il proprio patrimonio genetico. Che non è unicamente una caratteristica delle formiche di fuoco: “Nei formicai in genere ci sono dei veri e propri conflitti d’interesse tra regine e operaie, specialmente per quanto concerne la riproduzione dei maschi”, ci spiega Laurent Keller, “perché anche tra gli imenotteri, ciascuno vorrebbe riprodurre degli individui simili a se stesso”.

Le femmine, infatti, che diventeranno poi operaie, soldatesse o regine, hanno tutte lo stesso patrimonio genetico della madre, della regina. Diversamente dai maschi, che nascono da uova non fecondate. E per questo le operaie, che pur essendo sterili vorrebbero riprodurre i propri geni, hanno tendenza a favorire le nascite di femmine e quindi a sopprimere le larve da cui nasceranno dei maschi. Mentre le regine normalmente preferiscono questi ultimi.

“Queste lotte all’interno dei formicai sono un vero e proprio nodo nevralgico della vita sociale delle formiche”, afferma Laurent Keller, “perché se le operaie, per favorire la riproduzione di individui geneticamente simili, non esitano a uccidere e a divorare i maschi, le regine dal canto loro riducono la produzione di uova fecondate, che danno vita a formiche femmina. E quindi, in mancanza di larve di femmine, le operaie nutrono anche i maschi”.

L’avanzata delle argentine

Diversa la situazione che si presenta nelle colonie delle formiche argentine,introdotte accidentalmente in Europa all’inizio del secolo scorso. “Quando sono arrivate da noi, le formiche argentine hanno perso un po’ della loro varietà genetica”, spiega il ricercatore losannese. “Gli imenotteri hanno dei geni che influenzano la composizione dei feromoni, una sorta di segnale chimico, come un odore, che permette loro di riconoscersi. E ora, non essendo più confrontate alla diversità d’odori dell’habitat naturale argentino, hanno perso la capacità di riconoscersi tra le diverse colonie”.

Le prove di laboratorio hanno dimostrato che formiche argentine, prelevate in colonie distanti migliaia di chilometri l’una dall’altra, non hanno manifestato nessuna aggressività. Il che torna a loro favore. Perché non percependo le abitanti delle altre colonie come nemiche, le formiche argentine stanno letteralmente dilagando lungo il litorale del Mediterraneo, dal Portogallo all’Italia. Una sorta di supercolonia, con milioni e milioni di formicai e miliardi di individui, che preoccupa non poco i biologi.

Gravi danni alla biodiversità

“Queste formiche eliminano molte specie di insetti, tra cui il 95 percento delle formiche locali. Il che comporta un’enorme cambiamento della biodiversità della flora e della fauna locali” afferma Laurent Keller. Che sottolinea come l’uomo sia impotente di fronte al moltiplicarsi delle colonie: “Al massimo, si può cercare di contenere il loro numero, ma di eliminarle non si parla nemmeno”.

Nel loro complesso, le formiche rappresentano il dieci percento della biomassa di tutti gli animali terrestri. “Soprattutto nelle regioni tropicali vi sono formiche dappertutto, dalla cima degli alberi fin nelle profondità del suolo”, spiega il biologo, “ma ora sembra che abbiano raggiunto una massa stabile”. C’è da sperarlo.

Fabio Mariani

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