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Dopo Berlusconi, l’Italia affronta la crisi economica

Silvio Berlusconi ha costruito la sua immagine anche grazie ai canali televisivi e a trasmissioni come "Porta a porta". Keystone

Calato il sipario sull'era Berlusconi, l'Italia si è risvegliata con un nuovo governo. Un governo di tecnocrati, costretto ad affrontare di petto la crisi con una manovra da 30 miliardi di euro. Sguardo su un anno politico tormentato con lo storico ed ex diplomatico italiano Sergio Romano.

Silvio Berlusconi è uscito di scena, ma l’eredità che lascia all’Italia pesa come un macigno e il compito del nuovo esecutivo non si preannuncia facile.

Non solo perché la classe politica si è sentita tradita e aspetta Monti al varco, ma anche perché le riforme necessarie a ridurre il deficit non sono di certo popolari. E se al popolo italiano verranno chiesti sacrifici non indifferenti, anche la Svizzera potrebbe essere chiamata a fare la sua parte.

Dopo 9 anni di governo,  e 17 sulla scena politica, Silvio Berlusconi ha fatto un passo indietro. Quale bilancio si può tirare del regno del cavaliere? 

Berlusconi non ha mantenuto le promesse che aveva fatto. Credo che alcune delle cose realizzate nel corso del suo governo siano state positive. Ma quella svolta che aveva promesso di impartire al paese non c’è stata. Si era presentato come una specie di signora Thatcher. Aveva garantito che ci sarebbero state privatizzazioni, liberalizzazioni. Ma questo non è accaduto.

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Per quale ragione?

In parte perché l’elettorato di Berlusconi è composto da categorie fortemente protette e autoprotette: gli ordini professionali, i negozianti, i quali non erano particolarmente interessati a una riforma liberale del mercato. Poi ci sono state difficoltà obiettive, come la crisi del 2008. Ma il vero problema di Berlusconi è stato il conflitto di interessi che ha dominato gran parte della sua vita politica. È stata una vera palla al piede. Anche quando aveva dei ministri decorosi, con programmi condivisibili, ha trascorso gran parte del suo tempo ad occuparsi d’altro.

E per difendersi dalle azioni giudiziarie, ha introdotto delle leggi ad personam, che di per sé potevano anche essere accettabili, ma erano modellate per i suoi interessi e dunque inevitabilmente criticabili. Questo ha creato un’opposizione all’interno del paese, politica e morale.

Il bilancio del governo Berlusconi non è dunque positivo, ma nemmeno negativo come ha sostenuto l’opposizione per ragioni di politica strumentale. Probabilmente col tempo ci accorgeremo che alcune cose andavano fatte…

Il governo Berlusconi è stato però segnato anche da ripetuti scandali…

Berlusconi aveva un altro grande difetto, che in parte è figlio del suo conflitto di interessi: non ha mai fatto distinzione tra pubblico e privato. Aveva l’abitudine di amministrare la cosa pubblica nelle sue ville, di organizzare ricevimenti con personalità del mondo politico, a metà tra pubblico e privato. E ha finito per avere delle frequentazioni improprie, incompatibili con la sua funzione di primo ministro.

Sergio Romano

Berlusconi aveva un altro grande difetto, che in parte è figlio del suo conflitto di interessi: non ha mai fatto distinzione tra pubblico e privato

In che misura le vicende personali dell’ex premier hanno intaccato l’immagine dell’Italia all’estero e hanno leso la credibilità del paese tra i leader europei?

L’atteggiamento dei mercati probabilmente non ha nulla a che vedere con un giudizio morale sulla vita di Berlusconi. È però vero che questa incapacità di separare pubblico e privato si è diffusa anche all’interno del suo partito e così in Italia ci siamo ritrovati con un numero sproporzionato di scandali, oltre la media accettabile per una democrazia. E questo ha finito per incidere sulla credibilità di Berlusconi quale partner politico, soprattutto a Bruxelles, il nostro principale interlocutore.

Mi sono sempre chiesto quale fosse il reale atteggiamento di Berlusconi verso l’Europa. Mentre gli uomini politici italiani dal dopoguerra in poi sono stati generalmente europeisti, in Berlusconi non ho mai notato una versa passione europea, una cultura dell’unità. Lo interessavano di più i rapporti personali con Putin, Erdogan, Bush o Aznar. E temo che questo abbia finito per nuocere, a Berlusconi e all’Italia. Confondeva il suo fascino con la politica estera, il pubblico col privato e aveva un conflitto di interessi che ha occupato una parte eccessiva della sua presenza al potere.

Ma proprio questa attenzione all’immagine è stata per anni la chiave del suo successo…

Berlusconi è certamente un uomo di fascino ed è riuscito a conquistare una parte dell’elettorato. Però, attenzione, la maggioranza non l’ha ottenuta soltanto grazie ai suoi fans, ma anche perché l’opposizione non era credibile. Non che Romano Prodi o Tommaso Padoa-Schioppa non lo fossero, ma erano indeboliti dalle lotte interne alla coalizione. A differenza di altri paesi europei, in Italia la sinistra si trova tuttora costretta a coniugare due forze che non hanno nulla a che vedere con la social-democrazia: il partito comunista e la sinistra democristiana. Così quando la sinistra è andata al potere, partiti come i Verdi, Rifondazione comunista o i sindacati hanno reso impossibile la realizzazione di un programma e hanno dato la sensazione al paese di non avere un progetto comune.

Sergio Romano cresce tra Milano e Genova. Terminato il liceo classico, intraprende gli studi di giurisprudenza all’Università statale di Milano.


Contemporaneamente inizia la collaborazione culturale con diverse testate giornalistiche. La frequentazione prolungata dell’Europa ed il personale acume antropologico e sociologico lo indirizzano verso la carriera diplomatica, senza tuttavia mai abbandonare gli interessi storico-letterari.

Nel 1989 conclude una prestigiosa carriera diplomatica, dopo essere stato direttore generale delle Relazioni culturali, ambasciatore alla NATO e successivamente a Mosca, nell’allora Unione Sovietica.

Commentatore delle più prestigiose testate italiane (La Stampa, il Corriere della Sera), curatore di una collana storica per la casa editrice Corbaccio, ha insegnato all’Università della California, a Harvard, a Pavia, a Sassari e all’Università Bocconi di Milano.

È stato presidente del Comitato generale premi della Fondazione Balzan. Il 1° gennaio 2009 a Sergio Romano è subentrato il filosofo Salvatore Veca.

Ora il futuro dell’Italia è nelle mani di Mario Monti e del suo governo di tecnocrati. Da dove iniziare per risollevare il paese dalla crisi?

L’Italia si trova a dover affrontare due problemi difficilmente compatibili. Da un lato deve riconquistare la fiducia dei mercati, dimostrando di voler ridurre il debito  pubblico, e dall’altro deve rilanciare la crescita. Ma per farlo ha bisogno di soldi.

Da notare che i mercati hanno reagito contro l’Italia non tanto perché il suo sistema era poco credibile, ma perché hanno avuto l’impressione che da parte dell’UE non ci fosse la volontà di difendere con uno sforzo collegiale la moneta comune. In realtà noi siamo andati avanti per anni con un debito attorno al 115%.

Per il momento Monti è riuscito a riconquistare la fiducia dei mercati e dei partner europei. Ma per ridurre considerevolmente il debito bisogna allargare la base della ricchezza nazionale, stimolando la crescita. E per farlo ci sono due opzioni: un ruolo diverso della BCE come prestatore di ultima istanza – ma questa iniziativa è osteggiata da più parti – e gli eurobond. Queste obbligazioni collocate sul mercato europeo sarebbero la prova della volontà di Bruxelles di difendere la moneta comune. E per questo ritengo sia l’opzione migliore.

Tra le priorità del governo Monti c’è anche la lotta all’evasione fiscale. Con la partenza del ministro Tremonti, e in questo clima di crisi economica, come potrebbe evolvere la vertenza tra Svizzera e Italia?

Tremonti ci avrà messo anche del suo, ma alla fine aveva ragione lui. A Bruxelles non sono piaciuti gli accordi sottoscritti dalla Svizzera con la Gran Bretagna e la Germania.

Probabilmente se Bruxelles non avesse espresso il suo scetticismo, il governo Monti avrebbe riaperto i negoziati con Berna. Ora però mi sembra difficile, anche se alcuni sostengono che in questo periodo di crisi qualche soldo in più farebbe comodo. Il segreto bancario svizzero sta diventando sempre più una bestia nera per la Svizzera che negli ultimi anni è stata attaccata da diversi paesi, tra cui Stati Uniti, Germania e Italia.

In molti erano convinti che la Svizzera volesse progressivamente limitare il suo segreto bancario.  Ma ora con l’aumento delle fughe di capitali, non mi sorprenderebbe se i banchieri avessero cambiato idea… È una tentazione che verrebbe anche ai santi, quella di approfittare della situazione che colpisce in questo momento l’Europa.

Terza economia della zona euro, l’Italia ha un debito pubblico di 1’900 miliardi di euro, pari al 120% del prodotto interno lordo.

Stando alle previsioni di settembre del Tesoro, a fine 2011 la crescita si fermerà allo 0,7% e il prossimo anno scenderà di 0,1 punti percentuali.

A titolo di paragone, la Grecia ha un debito pubblico pari al 189% del PIL, la Francia si ferma all’86,2% e la Germania all’83,2%.

Dopo Stati Uniti e Germania, l’Italia è però anche il terzo paese al mondo per consistenza di riserve auree, pari a 2’451,8 tonnellate.

Un patrimonio enorme che rappresenta una certa garanzia per il paese, così come i risparmi privati che in larga parte finanzia il debito pubblico.

Declassata dalle agenzie per la valutazione del credito, a inizio novembre l’Italia è stata messa sotto tutela dell’FMI e dell’UE.

Nei prossimi giorni, il parlamento italiano dovrà esprimersi sulla legge di stabilità voluta dall’UE.

La manovra dovrebbe ridurre le spese dello Stato e dare qualche slancio all’economia.

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