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“I padroncini italiani vanno fermati alla frontiera”

Un lavoratore posa cavi in un edificio in costruzioni
Le frontiere chiuse hanno frenato gli edili italiani in Svizzera Keystone / Peter Schneider

Per impedire la concorrenza esercitata dai padroncini italiani sul mercato delle costruzioni in Svizzera, invoca un atto parlamentare depositato a Berna, è necessario introdurre il blocco dei permessi.

A dirlo è il parlamentare Piero Marchesi dell’Unione democratica di centro (destra) che negli scorsi giorni ha presentato al Consiglio nazionale un‘interpellanzaCollegamento esterno per tutelare in particolare le aziende ticinesi che devono subire la concorrenza, ritenuta sleale, dei lavoratori indipendenti provenienti da oltre confine. Un fenomeno la cui portata si è evidenziata con la chiusura delle frontiere, decretata a metà marzo dal Consiglio federale in conseguenza dell’emergenza pandemica.

Dopo l’iniziale rallentamento di tutte le attività economiche a seguito del lock-down, ci spiega Piero Marchesi, “alla ripresa del lavoro gli artigiani e le PMI attive nel settore dell’edilizia hanno ricevuto molte commesse da privati e aziende ticinesi. È l’ennesima dimostrazione che molte, troppe commesse legate all’edilizia vengono ogni anno assegnate ai padroncini italiani”.

Per il consigliere nazionale ticinese si tratta di milioni di franchi che vengono realizzati da aziende estere nella Confederazione, che di fatto non lasciano alcun valore aggiunto sul territorio nazionale. “Gli artigiani e le Pmi svizzere (ticinesi in particolare) che impiegano lavoratori residenti, formano apprendisti, investono e pagano le imposte in Svizzera, rimangono a bocca asciutta”, insiste il parlamentare democentrista.

Commesse rimaste in loco

Non è ovviamente quantificabile l’incremento delle commesse ottenute dalle imprese locali in questo periodo. Nemmeno le autorità conoscono l’ammontare dei lavori effettuati dai padroncini, precisa in merito Piero Marchesi, “molti artigiani mi hanno però riportato questa situazione e di fatto molte imprese ticinesi hanno molte più richieste d’offerta e molte più commesse”.

Come del resto concorda Daniele Casalini, titolare di una ditta di impianti sanitari a Lugano ed ex consigliere comunale nella città in riva al Ceresio, che afferma di aver effettivamente riscontrato un aumento del lavoro in questo periodo: “Subito dopo che è terminata la fase acuta dell’emergenza Covid-19 abbiamo visto arrivare nuovi clienti, che si sono sommati a quelli che avevamo già e di questo trend se ne è giovato l’intero settore delle costruzioni”.

Lavoratori notificati in diminuzione nel primo trimestre

Una conferma indiretta della tendenza descritta dall’atto parlamentare potrebbe venire dai dati sui lavoratori indipendenti stranieri soggetti a notifica, pubblicati dall’Ufficio di statistica ticineseCollegamento esterno. Se da un lato è vero che, come affermano gli operatori locali del settore, si constata un incremento dell’attività, dall’altro le statistiche certificano un regresso dei lavoratori indipendenti nel primo trimestre dell’anno, che dal 13 marzo coincide con le restrizioni all’entrata in Svizzera dall’Italia (misura estesa tre giorni dopo a tutte le frontiere elvetiche).

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In ogni caso la proposta risponde a una “preoccupazione reale” in seno alla categoria degli artigiani della Svizzera italiana, evidenzia Piergiorgio Rossi, presidente dell’Unione associazioni dell’edilizia (Uae). “Anche nel Nord Italia, duramente colpito dalla pandemia di coronavirus, ora c’è fame di lavoro e pur di tenere in vita l’attività le ditte accettano condizioni estreme, esercitando così forti pressioni sul mercato svizzero”, rileva l’imprenditore ticinese.

“Inoltre, le imprese e i lavoratori svizzeri – indica sempre Piergiorgio Rossi – dispongono di un sistema sociale che funziona, come dimostrano i crediti di sostegno erogati celermente e che in Italia in concreto non esistono o comunque non arrivano ai destinatari. E questo non fa che accrescere le pressioni sul mercato svizzero”.

Dubbi di legittimità

Ma restano i pesanti dubbi sulla legittimità, dal profilo giuridico, di un eventuale blocco dei permessi per gli indipendenti italiani. “La fattibilità della proposta è tutta da verificare dal momento che vige sempre la libera circolazione”, sostiene Daniele Casalini, aggiungendo però che lui sarebbe d’accordo con il parlamentare Piero Marchesi: “Non combattiamo ad armi pari poiché noi abbiamo spese fisse, pensiamo agli oneri sociali, che gli indipendenti provenienti da oltre confine non hanno”.

Da parte sua l’estensore dell’interpellanza insiste che “in momenti di grande difficoltà ci vogliono soluzioni forti e coraggiose. Se a ogni proposta atta a limitare l’immigrazione e ridurre i privilegi delle ditte estere ci si nasconde dietro gli accordi internazionali, allora smettiamo di fare politica”.

Viste comunque le scarse possibilità che il Consiglio federale aderisca al contenuto dell’interpellanza, alla luce dei noti vincoli internazionali, occorrerebbe forse escogitare misure alternative al blocco dei padroncini, come l’intensificazione dei controlli o eventuali compensazioni al settore da Berna, su cui però non concorda Piero Marchesi: “I controlli ci sono, ma verificare le condizioni salariali, le ore lavorate, le vacanze godute e il rispetto delle assicurazioni sociali dei lavoratori delle ditte estere è praticamente impossibile. Ed eventuali compensazioni da parte della Confederazione al Ticino non farebbero che spostare il problema senza risolverlo”.

Strategie alternative

Mentre per il presidente delle associazioni dell’edilizia Piergiorgio Rossi non rimane altra possibilità che puntare su una strategia di sensibilizzazione della clientela indigena. “In Ticino si è tentata la strada della LIA (legge che prescriveva l’iscrizione obbligatoria delle imprese artigianali per poter operare nel cantone, ndr) ma è fallita”, osserva il rappresentante degli artigiani che ora spera in un rinnovato interesse per l’economia locale derivante dall’eccezionale esperienza vissuta negli scorsi mesi dalla popolazione.

“L’importanza, ad esempio, di produrre mascherine sanitarie in Svizzera per garantirci un’indipendenza dall’estero potrebbe aiutare a convincere l’opinione pubblica. Anche se non nascondo che alla fine potrebbe rivelarsi solo una pia illusione, ma non vedo altre strade percorribili”, conclude Piergiorgio Rossi.

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