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Know-how svizzero nello smog di Pechino

Il tradizionale smog di gennaio a Pechino Alain Arnaud

A inizio anno, la capitale cinese è stata confrontata col peggiore inquinamento atmosferico della sua storia, ciò che ha accelerato la presa di coscienza della popolazione… e fatto esplodere le vendite di un fabbricante svizzero di purificatori d’aria.

«Il governo non fa abbastanza per ridurre l’inquinamento. C’è troppo fumo, troppo gas di scarico», afferma il signor Ma, un pensionato pechinese che approfitta di un breve intermezzo di cielo blu per ossigenarsi un po’ con la sua nipote. «Ho un cancro ai polmoni, faccio fatica a respirare», rincara la signora Li, un’altra pensionata che dice di non mettere più fuori il naso da casa quando l’aria è troppo viziata.

Il mese di gennaio è stato il più inquinato della storia per la capitale cinese. Pechino è stata avvolta dallo smog per 25 giorni. Si sono sfiorati i 1’000 microgrammi per metro cubo di polveri fini (PM 2.5), allorché l’Organizzazione mondiale della sanità fissa a 20 microgrammi il limite da non superare.

Se lo smog di gennaio ha ostruito i bronchi dei cinesi, ha perlomeno avuto il merito di aprire loro gli occhi. Lo scorso anno, i signori Ma e le signore Li minimizzavano ancora. Oggi sono coscienti del pericolo, soprattutto perché le autorità e i media hanno dato prova per la prima volta di maggiore trasparenza e li hanno messi in guardia.

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Aria pura grazie a degli svizzeri

Le autorità pechinesi promettono aria pura per il 2030. «È troppo tardi!», deplora Zhou Rong, di Greenpeace Pechino, ricordando che la Cina brucia la metà del carbone consumato ogni anno nel mondo. Visti i tempi necessari per risolvere il problema, oggi si tratta soprattutto di prevenire ed è in questo ambito che la Svizzera svolge un ruolo importante. Raramente la croce federale era stata così presente su internet in Cina, segnatamente nelle pubblicità con il logo «IQAir».

Per questo fabbricante svizzero di purificatori d’aria basato a San Gallo gli affari vanno a gonfie vele. Malgrado un design un po’ austero, i suoi apparecchi top di gamma si sono conquistati una reputazione di eccellenza. A Pechino si litiga per averli. «Le vendite sono quasi triplicate dal picco di inquinamento di gennaio», spiega Mike Murphy, responsabile della IQAir Cina. Le liste d’attesa sono lunghe. Inizialmente composta soprattutto da espatriati, la clientela sta diventando sempre più cinese.

I picchi di inquinamento nella capitale cinese hanno provocato un netto aumento dei ricoveri in ospedale dovuti a problemi respiratori. Il 50% delle ammissioni alle urgenze di un grande ospedale pediatrico riguardava questo genere di affezioni, stando a quanto riportato dalla stampa ufficiale.

Secondo un articolo apparso nel 2011 sul quotidiano di Stato «China Daily», il numero di casi di cancro ai polmoni è aumentato del 60% negli ultimi dieci anni a Pechino, allorché il tasso di fumatori è rimasto stabile.

L’inquinamento atmosferico nella capitale cinese è causato principalmente dall’uso di carbone da parte delle industrie e delle centrali termiche della regione, nonché dal costante aumento del traffico stradale.

Respirare o partire

Mike Murphy non cede però all’euforia: «Quando le acque si saranno un po’ calmate, le vendite ritroveranno il loro livello normale». Inoltre, «molte aziende straniere e anche cinesi stanno valutando la possibilità di spostare il loro personale fuori da Pechino».

Altre ditte svizzere attive nel settore climatico cercano di posizionarsi in Cina, spesso grazie al sostegno di Cleantech Switzerland, la piattaforma creata nel 2010 dall’Osec (il centro di competenza per la promozione del commercio estero svizzero). L’ultimo successo è stata la posa della prima pietra del «Sino-Swiss Zhenjiang Ecological Park», un progetto industriale rispettoso dell’ambiente, i cui edifici amministrativi – 60’000 metri quadrati – sono costruiti dall’azienda svizzera Keller Technologies.

Marco Rhyner, responsabile di Cleantech Switzerland in Cina, constata che la questione della protezione ambientale ha preso sempre più posto negli ultimi due piani quinquennali cinesi. «È vero che il proseguimento della crescita resta l’obiettivo prioritario. Guardate però l’aria a Pechino. La popolazione non accetta più questa situazione. Sono convinto che il governo sia seriamente intenzionato a migliorare le cose. Altrimenti tutti coloro che ne hanno i mezzi se ne andranno».

Parole seguite da atti?

Un altro attore importante è la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC, l’agenzia umanitaria svizzera), che quest’anno investirà tra sei e sette milioni di franchi (ossia il 70% del suo budget annuale per la Cina) per le questioni climatiche. La DSC mette l’accento in particolare sulla revisione della legislazione cinese, nell’ottica di rafforzare le misure di protezione dell’aria. Philippe Zahner, responsabile delle attività in Cina dell’ente svizzero, promette risultati concreti «ancora per quest’anno o al più tardi l’anno prossimo».

Le autorità cinesi hanno veramente intenzione di affrontare di petto i problemi ecologici pur rischiando di frenare la crescita? «Sì!», afferma senza ombra di dubbio Philippe Zahner, sottolineando la trasparenza mostrata durante il grave episodio di smog a Pechino. «A mio avviso, significa che hanno deciso di prendere le cose in mano ».

Il sociologo Li Dun, specialista di questioni ambientali all’università Tsinghua, non ne è così sicuro. Secondo lui, le autorità hanno altre priorità. «Parlano molto, ma agiscono poco. Fino a quando la libertà d’espressione, garantita dall’articolo 35 della Costituzione, rimarrà lettera morta, i cittadini non potranno fare sufficientemente pressione su chi inquina e incitare il governo a risolvere i problemi ambientali».

(traduzione dal francese: Daniele Mariani)

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