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Esperti svizzeri a caccia dello smog in Cina

La mascherina di protezione non è la soluzione per lottare contro le particelle fini sospese nell’aria. Keystone

Gli allarmi smog nell’inverno 2013 hanno rammentato l’urgenza del problema dell’inquinamento dell’aria in Cina. Per meglio seguire ed eliminare alla fonte le particelle fini che avvelenano letteralmente i cinesi, si è fatto ricorso alla collaborazione internazionale. I ricercatori svizzeri sono in prima linea.


Durante quell’inverno, una fitta nebbia grigia oscurò a più riprese il cielo di alcune province cinesi. Nelle metropoli quali Pechino, Shanghai e Canton, la visibilità era ridotta a zero. Con ironia, ma non senza inquietudine, le reti sociali coniarono il termine “airpocalisse”.

Guidato dall’Istituto Paul ScherrerCollegamento esterno (PSI) di Villigen, nel canton Argovia, e dall’Istituto dell’ambiente terrestre dell’Accademia cinese delle scienze, un gruppo di esperti internazionali ha studiato le fonti delle particelle sospese nell’aria e i mezzi per tenerle sotto controllo. I risultati di queste ricerche sono stati pubblicati nel settembre 2014 sulla rivista scientifica NatureCollegamento esterno.

Misure d‘urgenza

L’inquinamento da particelle fini è un problema diverso da quello del riscaldamento climatico. Il CO2, responsabile dell’effetto serra, persiste a lungo nell’atmosfera, mentre le particelle fini rimangono soltanto per una o due settimane.

L’inquinamento uccide

L’inquinamento dell’aria rappresenta un grave rischio per la salute. È all’origine di patologie vascolari cerebrali, di cardiopatie, di tumori ai polmoni e di problemi respiratori, cronici o acuti, compresa l’asma.

Nel 2012, il numero di decessi prematuri nel mondo provocati dall’inquinamento è stato stimato a 3,7 milioni. L’88% di questi decessi è avvenuto in paesi con redditi bassi o intermedi, principalmente in Asia.

Sarebbe possibile limitare alcune grandi fonti di inquinamento atmosferico urbano investendo in trasporti più ecologici, in alloggi e industrie con un miglior rendimento energetico e ottimizzando la gestione dei rifiuti.

Le regioni in sviluppo potrebbero limitare numerose fonti d’inquinamento riducendo le emissioni generate dall’impiego domestico di carbone e biomassa, dall’incenerimento di scarti agricoli, dagli incendi nelle foreste e dalla produzione di carbone vegetale.

Oltre all’inquinamento dell’aria esterna, pure il fumo all’interno delle economie domestiche rappresenta un grave rischio sanitario per circa 3 miliardi di persone nel mondo, le quali cucinano e si riscaldano con legna, idrocarburi e carbone.

Fonte: Organizzazione mondiale della sanità

Secondo André Prévôt, specialista della chimica degli aerosol al PSI, «con misure efficaci basterebbero 10 o 20 anni per migliorare considerevolmente la qualità dell’aria».

Nell’attesa, il governo cinese adotta misure d’urgenza durante i giorni con forte smog: le scuole rimangono chiuse, gli abitanti sono pregati di rimanere in casa e sui cantieri si spruzza acqua per evitare che la polvere si alzi da terra. Ma ciononostante, i casi di malattie respiratorie segnalati agli ospedali aumenta in modo esponenziale.

Le mascherine di protezione, che si vendono molto bene durante i giorni di smog, sono davvero efficaci? «Sono evidentemente meglio di niente. Lasciano però passare le particelle più fini e, in ogni modo, non sono la soluzione per lottare contro il problema di salute pubblica causato dall’inquinamento», risponde André Prévôt.

Il governo cinese ha fissato il suo piano di prevenzione dell’inquinamento atmosferico. L’obiettivo: ridurre entro il 2017 la concentrazione di particelle fini del 25% rispetto al livello del 2012.

Ma da dove vengono queste particelle? Per due anni, i ricercatori svizzeri e cinesi guidati dal dottor Ru-Jin Huang del PSI hanno esaminato le origini di queste particelle e la loro composizione chimica a Pechino, Shanghai, Canton e Xi’an.

Colpa del carbone, ma non solo

Fino a tre quarti di queste particelle si formano durante le reazioni chimiche che avvengono nell’atmosfera, a partire da «precursori gassosi» emessi nell’aria. Si tratta soprattutto di diossido di zolfo (prodotto dalla combustione del carbone), di ossido d’azoto (emesso dai veicoli e dalle centrali elettriche), di ammoniaca e di alcuni composti organici volatili.

Dal canto loro, le particelle emesse direttamente nell’aria provengono principalmente dal carbone (che libera anche idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti quali l’arsenico e il piombo) e dai riscaldamenti a legna.

I ricercatori raccomandano quindi di controllare attentamente le emissioni di precursori gassosi. Per la principale sostanza che rientra in questa categoria, il diossido di zolfo, la Cina ha fatto qualche progresso. Dal 2006, grazie alle tecnologie di desolforazione dei gas nelle centrali a carbone, la sua concentrazione nell’aria è diminuita.

Purtroppo, però, la densità di ossidi di azoto ha continuato ad aumentare a causa del traffico stradale, delle centrali elettriche e delle lacune nell’applicazione della regolamentazione vigente.

Ridurre le emissioni del traffico

I ricercatori affermano comunque che la cosa più urgente è l’adozione di misure contro le emissioni di composti organici volatili, un problema che non ha finora suscitato molto interesse. Si tratterebbe ad esempio di utilizzare dei sistemi di riscaldamento più performanti e di mettere in atto misure più efficaci per ridurre le emissioni dei veicoli.

«Inoltre, è pure necessario migliorare l’isolamento degli edifici per ridurre il consumo di energia durante l’inverno. E non soltanto nelle città», indica André Prévôt.

Da sottolineare che questa ricerca ha anche permesso di sviluppare nuovi strumenti di raccolta e di analisi delle particelle, che grazie al loro costo contenuto potrebbero essere utili anche in altri paesi in transizione o in via di sviluppo. La Cina non è l’unico paese ad avere un’aria fortemente inquinata.

(Testo originale in cinese)

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