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Venti contrari sull’esportazione d’armi

Manifestazione contro l esportazione d armi
La Svizzera deve vendere armi anche a paesi coinvolti in una guerra civile? Sì, dice il Consiglio federale. No, dicono i dimostranti nella foto scattata il 1° giugno 2018. Un nuovo rapporto riattizza ora la discussione. KEYSTONE / ANTHONY ANEX

Un rapporto del Controllo federale delle finanze alimenta il dibattito sul progetto del governo federale di allentare le regole per l'esportazione d'armi. Secondo l'organo di sorveglianza, i controlli sono insufficienti e manca una distanza critica dalle ditte esportatrici.

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 All’inizio dell’estate il Consiglio federale aveva annunciato la sua intenzione di allentare ulteriormente le regole per l’esportazione di armi, permettendo le vendite anche verso paesi coinvolti in un conflitto interno.

+ Maggiori dettagli sulla posizione del governo

Eppure già oggi, scrive in un rapportoCollegamento esterno reso noto lunedì il Controllo federale delle finanze (CDF), le aziende belliche possono sfruttare le lacune della regolamentazione in vigore, godendo della benevolenza dell’amministrazione. Talvolta manca da parte di quest’ultima una sufficiente distanza critica dalle ditte esportatrici e dai loro lobbisti.

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“Attuazione favorevole all’economia” 

Nel documento, la CDF si è occupata delle esportazioni di materiale bellico nel 2016, pari a 412 milioni di franchi. Ad occuparsi di queste transazione sono, a seconda della natura delle operazioni, la Segreteria di stato dell’economia (Seco)Collegamento esterno, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE)Collegamento esterno e altri dipartimenti. La Seco, in particolare, decide sulla base della Legge federale sul materiale bellico (LMB)Collegamento esterno, dell’ordinanzaCollegamento esterno in materia e della prassi interpretativa del Consiglio federale.

Stando al rapporto della CDF, tutte le decisioni sono state prese in conformità alle regole. Le modifiche dell’ordinanza e la prassi interpretativa (mediante decisioni confidenziali del Consiglio federale che hanno carattere di principio) hanno tuttavia portato negli ultimi 20 anni a “un’attuazione della LMB piuttosto favorevole all’economia”.

Nelle valutazioni delle richieste di esportazione, le varie istanze federali che se ne occupano “dovrebbero mantenere una distanza critica dalle imprese monitorate e dai loro lobbisti”, nota la CDF. Il rapporto deplora anche il fatto che i controlli sul rispetto delle regole per l’esportazione sono insufficienti e troppo saltuari.

+ Maggiori dettagli sul rapporto della CDF

I rilievi della CDF non sono passati inosservati alla Seco che ha criticato il rapporto sostenendo che il documento sia stato influenzato da un giudizio politico sull’esportazione di materiale bellico e sulle norme che lo regolano.

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Granate all’ISIS

Il rapporto del CDF contribuisce a ravvivare un dibattito già molto accesso. Domenica il periodico SonntagsBlickCollegamento esterno aveva rivelato che bombe a mano fabbricate dall’azienda svizzera Ruag erano probabilmente finite nell’arsenale dell’Isis in Siria. Stando al giornale, le granate sarebbero state sottratte all’Isis dal gruppo Haiat Tahrir al-Scham (o Al Qaida in Siria) in un villaggio della provincia di Idlib, uno degli ultimi bastioni del gruppo jihadista.

Le armi in questione sono poi state mostrate in televisione. Stando a diversi esperti contattati dal domenicale, le granate assomigliano ai prodotti fabbricati dalla Ruag. Non vi è la certezza assoluta, poiché i numeri di serie non sono leggibili. Tuttavia, il portavoce dell’azienda ha affermato che sulla base delle fotografie, le bombe a mano sono effettivamente state prodotte dalla ditta di proprietà della Confederazione.

La decisione del governo di mitigare le regole per l’esportazione d’armi è stata deplorata anche dal Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr). Sempre domenica il presidente del Cicr Peter Maurer ha affermato ai microfoni della radio pubblica SRF che la decisione di rendere più facile la vendita di armi, insieme al rinvio della ratifica del trattato internazionale per il divieto delle armi nucleari, comporta per la Svizzera una perdita “in termini di credibilità e di affidabilità come attore umanitario.”

+ Altri dettagli sulla questione delle granate in Siria e sulla presa di posizione del CICR

“Il Consiglio federale ha perso la bussola morale”

Il rapporto della CDF ha trovato ampio spazio anche nelle colonne dei giornali svizzeri. Il tono è generalmente piuttosto critico.

“In Svizzera chi esporta carri armati e pistole può contare di essere lasciato in pace dallo Stato”, scrive per esempio il Tages Anzeiger. “In media un’azienda che produce armamenti viene controllata dalla Confederazione solo ogni cinque decenni.” “La preoccupazione per i posti di lavoro e per il know how nell’ambito degli armamenti ha finora impedito una svolta”, aggiunge il quotidiano zurighese. “Ma per le omissioni della Seco emerse ora non ci sono più argomenti validi.”

“Per quel che concerne l’esportazione d’armi, il Consiglio federale ha perso la bussola morale”, afferma dal canto suo il Blick. Il tabloid ritiene che sia giunta l’ora di “disarmare parzialmente” il governo in questo ambito. “Con i suoi ampi poteri e con decisioni confidenziali [il governo] prende decisioni incomprensibili, che per la Svizzera hanno maggiore importanza rispetto alle cifre delle esportazioni. Va bene tutto ciò che conduca a maggiori controlli e meno arbitrarietà”.

Anche Le Temps mette in primo piano i rischi per l’immagine del paese. “Il peso geopolitico della Svizzera è dato soprattutto dal suo soft power,” nota il quotidiano romando. “La sua influenza morale, immateriale. Facilitando in tal modo l’esportazione di materiale bellico, il Consiglio federale assume il rischio di minare la forza della diplomazia elvetica.”

“Resta da vedere cosa ne pensa il popolo svizzero”, scrive la Tribune de Genève. Il quotidiano ricorda che i votanti svizzeri avevano respinto con ampia maggioranza nel 2009 un’iniziativa che chiedeva il divieto di tutte le esportazioni di materiale bellico. 

In futuro il popolo avrà tuttavia la possibilità di esprimersi nuovamente sull’argomento, quando sarà messa in votazione l’iniziativa del Gruppo per una Svizzera senza esercito che vuole bloccare i finanziamenti all’industria degli armamenti. “Le posizioni rimarranno senza dubbio inconciliabili”, conclude il quotidiano ginevrino.

0,14% delle esportazioni

Nel 2016 la Svizzera ha venduto materiale bellico per un valore di 412 milioni di franchi. La cifra corrisponde allo 0,14% del totale delle esportazioni elvetiche. A livello internazionale la Svizzera si classifica così all’11° posto tra i paesi esportatori di armi.

I cinque principali paesi destinatari delle esportazioni svizzere di armi sono stati la Germania, il Sudafrica, l’India, gli Stati Uniti e il Pakistan, come scrive il Controllo federale delle finanze nel suo rapporto. Nella versione pubblica del documento i nomi dei maggiori fornitori sono tuttavia occultati.

L’autorità che concede l’autorizzazione per le esportazioni è la Segreteria di Stato dell’economia (Seco). L’attuale ordinanza sull’esportazione di materiale bellico esclude la vendita di armi a paesi coinvolti in conflitti armati interni. In giugno il Consiglio federale ha deciso di allentare questa regola.

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