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Imprenditori svizzeri alla conquista del sud

Immagine d'epoca di una delle filande di Davide Vonwiller Staatsarchiv, St. Gallen

Nell’Ottocento, il tessile ha rappresentato una fetta importante dell’economia della Campania e del Sud Italia in generale. Un settore che si è sviluppato soprattutto grazie ad industriali elvetici.

Oggi a testimonianza di quello che fu un glorioso passato industriale rimangono solo alcuni fatiscenti edifici. I diversi progetti per la riqualificazione di alcune delle aree dove sorgono i vecchi stabilimenti delle Manifatture cotoniere meridionali, nella regione di Salerno, sono finora rimasti lettera morta.

Glorioso, come detto, poiché verso il 1887 l’industria tessile salernitana dava lavoro a oltre 9’000 persone e rappresentava una seria concorrente per le grandi manifatture del Settentrione.

A far decollare questo settore sono stati principalmente imprenditori svizzeri. Malgrado la distanza, i legami tra la Svizzera e il regno di Napoli erano antichi e dovuti principalmente alla presenza nella città dei Borbone di molti mercenari elvetici. L’impulso decisivo viene però soprattutto dal Blocco continentale (divieto d’attracco per le navi inglesi in qualsiasi porto dei paesi soggetti al dominio francese) decretato da Napoleone nel 1806, che ha spinto alcuni industriali svizzeri, confrontati alla mancanza di materie prime, ad impiantare le loro attività al di fuori dei confini patri.

Egg, il pioniere

Gian Giacomo Egg (1765-1843) era uno di questi. Con il sostegno di Gioacchino Murat, nominato re di Napoli da Napoleone nel 1808, Egg fonda nel 1812 il primo moderno cotonificio del sud, a Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese), portando con sé oltre cento famiglie svizzere. Lo stabilimento di Egg si sviluppa velocemente, fino ad impiegare oltre 1’000 operai, ciò che ne fa il più grande cotonificio meridionale.

Sulla scia di Egg, negli anni successivi, quando sul trono è tornato Ferdinando I, giungono in Campania altri imprenditori svizzeri: Davide Vonwiller, Federico Alberto Wenner, Carlo Schlaepfer…

«In Campania vi era una certa disponibilità di materia prima, poiché durante il decennio francese si era iniziato a coltivare il cotone, in seguito appunto al Blocco continentale. Le industrie si impiantano inizialmente nella valle dell’Irno a causa della presenza del fiume. In un secondo tempo nell’agro nocerino-sarnese. Inoltre proprio a Salerno vi era già un tradizione della lavorazione del tessile, non del cotone ma della lana», spiega Silvio de Majo, professore di storia economica all’Università di Napoli. Non va neppure dimenticato che vi è una volontà politica di attirare investitori stranieri. Murat, ad esempio, concede gratuitamente degli edifici per impiantare le nuove industrie.

Vonwiller, il successore

Il principale protagonista della fase iniziale di questa industrializzazione è soprattutto Davide Vonwiller, nato a San Gallo nel 1794 e inviato giovanissimo a Napoli, nel 1815, come rappresentante di una ditta svizzera di tessuti.

Aiutato dal protezionismo del governo borbonico, nel 1824 Vonwiller decide di saltare il fosso. Si associa al connazionale Federico Züblin e fonda una filanda a Fratte di Salerno.

Vonwiller è l’archetipo dell’industriale moderno, competente sia per quanto concerne l’aspetto industriale che per quello commerciale. «Può contare su una vasta rete di contatti con banchieri e commercianti tedeschi, inglesi e genovesi. Ciò gli permette di avere i capitali per fare arrivare le macchine e probabilmente anche di vendere la produzione», osserva Silvio de Majo. «Nei decenni successivi, quando nascono altre fabbriche, per quanto concerne l’aspetto commerciale tutto fa capo a Vonwiller». Il sangallese e i suoi soci abbozzano anche un modello di integrazione verticale: a Fratte di Salerno nascono così uno stabilimento di tintoria e stamperia, nonché un’officina meccanica, specializzata nella costruzione e riparazione di macchine per l’industria tessile.

Vonwiller muore nel 1856. I suoi funerali attestano dell’importanza dell’industriale svizzero: «Oltre ad una grande partecipazione popolare, vennero contate più di 50 carrozze che seguivano il feretro attraverso la città di Napoli», ricorda Elio Varriale nel saggio Svizzeri nella storia di Napoli (1998).

Nella società Zueblin e Vonwiller, nel 1833 entra anche un altro svizzero, Federico Alberto Wenner, capostipite di una famiglia che, associata agli Schlaepfer, nella seconda metà dell’Ottocento possiede ben sette stabilimenti che impiegano circa 2’500 persone.

Una storia che prende fine nel 1918

L’Unità d’Italia e la conseguente adozione del liberismo piemontese colpiscono diversi settori tessili dell’ex Regno delle Due Sicilie, in particolare l’industria laniera, spiega de Majo. L’industria cotoniera svizzero-salernitana è invece risparmiata. Da un lato perché la guerra di secessione americana (1861-1865) interrompe le importazioni di materia prima d’Oltreoceano e favorisce così la produzione campana. Dall’altro per la disponibilità di capitali e la capacità di innovazione di cui hanno saputo dare prova gli industriali elvetici. i Wenner, ad esempio, introducono una tecnica di imbiancatura all’avanguardia e trasformano l’azienda in una fabbrica modello, tanto da ricevere la visita del principe Umberto nel 1869.

Attraverso una politica di incroci con le altre famiglie di industriali svizzeri, i Wenner – il cui esponente di spicco è Roberto – continuano la loro espansione, costruendo nuove fabbriche a Nocera, a Castellammare di Stabia e potenziando quelle già esistenti. A cavallo tra XIX e XX secolo, l’industria tessile salernitana è colpita dalla crisi. La produzione è eccessiva per il mercato interno e troppo cara per i mercati esterni. A queste difficoltà si aggiungono i conflitti con gli operai che, anche per l’intransigenza del padronato, incidono pesantemente sull’attività delle fabbriche.

Malgrado la crisi, su impulso di Roberto Wenner prosegue il processo di concentrazione, che si accelera durante la prima guerra mondiale, quando la componente tedesca delle ditte tessili campane è costretta ad andarsene. Per ovvie ragioni linguistiche, il clima anti-tedesco non risparmia però neppure gli industriali elvetici. Nel 1917 la Banca italiana di sconto acquista la maggioranza delle azioni della Società anonima cotonifici riuniti di Salerno, nelle mani delle famiglie Wenner, Schlaepfer, de Salis e Orelli. L’anno seguente lo stesso istituto acquisisce anche le azioni delle Manifatture Cotoniere Meridionali Roberto Wenner, creando la Società anonima Manifatture Cotoniere Meridionali. Il secolo dei cotonieri svizzeri appartiene ormai al passato.

Il loro ‘regno’ non è però stato effimero. «Da un punto di vista occupazionale, l’impatto delle iniziative industriali degli imprenditori svizzeri è stato sicuramente molto importante, anche se alcuni settori del lavoro a domicilio ne hanno sofferto, sottolinea Silvio de Majo. Sul piano dell’imitazione invece meno. Alcuni hanno ad esempio stigmatizzato il fatto che la borghesia salernitana non sia riuscita a salire sul treno. Comunque nella regione di Salerno è rimasto un humus, una cultura industriale. Non è un caso che proprio in questa area dopo la Seconda guerra mondiale siano sorte moltissime industrie».

In un libro intitolato Vite Parallele, una minoranza protestante nell’Italia dell’Ottocento (Il Mulino, 2006), Daniela Caglioti ha studiato la comunità imprenditoriale protestante, in particolare svizzero tedesca, insediatasi in Campania nell’Ottocento.

«Era una comunità chiusa, che si auto-isolava e si organizzava con le proprie istituzioni, cementando la sua alterità secondo linee religiose», ci spiega la docente di storia all’Università di Napoli.

La comunità si struttura in un primo tempo attorno alla Deutsche-Französiche Evangelische Gemeinde, che nasce nel 1826 con il consenso del governo napoletano. L’’obiettivo è di permettere ai protestanti di professare il loro culto in un’ambasciata, in un contesto di extra-territorialità, essendo il Regno delle Due Sicilie uno Stato confessionale.

«Dal culto domenicale comincia a svilupparsi una vera e propria comunità, da cui nascono istituzioni come il catechismo per i bambini, una scuola nella quale sono ammessi solo i protestanti, un’infermeria (diventerà l’ospedale internazionale, che esiste tuttora), associazioni di beneficenza, dei circoli ricreativi…», osserva Daniela Caglioti.

L’Unità d’Italia non modifica praticamente nulla. La comunità svizzera tedesca continua in sostanza a vivere una vita parallela.

«Le famiglie di imprenditori svizzeri inviano i figli in patria per l’istruzione scolastica, la lingua continua ad essere lo svizzero tedesco. Tra i Wenner, ad esempio, si inizia a parlare italiano solo dopo lo scoppio della prima guerra, quando il clima è profondamente anti-tedesco. E soprattutto si continua a cercare moglie in Svizzera, tanto che il tasso di endogamia raggiunge l’80-90%».

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