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Il tappeto rosso per i capi di Stato

Visita di stato: tutto è preparato a puntino, anche sulla Piazza federale Keystone Archive

Possono sembrare anacronistiche, ma continuano ad avere un ruolo nella simbologia della cosa pubblica: le visite di Stato.

Il presidente italiano Ciampi, atteso mercoledì, sarà il prossimo protagonista della drammaturgia con cui le istituzioni si mettono in mostra.

Il 14 maggio arriva Carlo Azelio Ciampi in visita ufficiale. È il cinquantunesimo capo di Stato che raggiunge la Confederazione per riaffermare formalmente le buone relazioni tra Italia e Svizzera.

Come tutti i cinquanta capi di Stato che lo hanno preceduto, anche il Presidente della Repubblica italiana sarà accolto con un cerimoniale consolidato. Una sorta di rito diplomatico dalle regole fisse e calcolate fino all’ultimo dettaglio.

«Sono mesi che prepariamo questa visita», afferma Livio Zanolari, portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri. «E l’incidente diplomatico degli scorsi giorni non cambierà niente al programma previsto, come non ha nessuna rilevanza sulle relazioni fra i due paesi», aggiunge l’ambasciatore svizzero a Roma, Alexis Lautenberg.

Per l’arrivo del Presidente italiano tutto sarà pronto, come lo è stato in tutti gli altri casi.

Ritualità consolidata

Il tappeto rosso è d’obbligo per accogliere gli ospiti d’eccezione: l’aereo di rappresentanza atterra il mattino, con precisione si ferma davanti alla striscia srotolata. È dai tempi dell’antica Persia che il colore è immutato; testimonia il rispetto che va dato all’invitato.

Normalmente segue lo spostamento in treno verso la capitale. Nei vagoni di rappresentanza si mangia un primo spuntino. Sono le Ferrovie che offrono il viaggio. Orgoglioso, il direttore generale accoglie personalmente gli ospiti nel convoglio speciale.

All’arrivo, intere scuole vengono vuotate per salutare l’ospite. Le bandierine dei due paesi vengono distribuite e al ritmo della fanfara i colori nazionali sventolano felici. Davanti a Palazzo federale c’è poi il saluto militare e il governo in corpore saluta l’illustre ospite, normalmente in diretta televisiva.

Contrattempi, come nel caso della visita del Presidente cinese Jiang Zemin – in cui i tetti delle case del centro erano occupati da dimostranti che denunciavano l’occupazione del Tibet – sono rari.

Cordialità diplomatica

Una volta entrati a Palazzo, nella Sala dei passi perduti, in un gioco di echi e rimbalzi, il padrone di casa e l’ospite si scambiano delle cortesie: nei discorsi si elogiano le buone relazioni fra i rispettivi paesi, si ricordano le strette relazioni, umane, storiche, possibili e auspicabili.

Poi c’è lo scambio dei doni: per mesi le commissioni delle due parti discutono su opportunità, valore simbolico e forse anche sulla praticità del regalo. Non solo orologi preziosi, oggi si può offrire anche un biglietto in prima fila a teatro.

Se gli ospiti sono coronati non si discute di dossier politici. Nel caso di Ciampi invece i temi da chiarire ci sono: nel pomeriggio una delegazione ministeriale italiana incontrerà i vertici svizzeri per discutere di rapporti bilaterali.

Ma durante l’incontro, l’ospite è soprattutto impegnato a visitare il territorio. Montagne e località pittoresche, fabbriche di orologi o cioccolato, musei o spettacoli: in poche ore i capi di Stato vengono condotti attraverso gli aspetti patinati della realtà elvetica. «Nel secondo giorno della visita, il Presidente italiano sarà in Ticino», comunica Livio Zanolari. Una visita di cortesia al cantone di lingua italiana.

Anacronistico?

Nell’era della comunicazione globale, la politica quotidiana avviene piuttosto con la posta elettronica e gli incontri tecnici a tutti i livelli. Che posto dunque può ancora avere un incontro così ritualizzato?

Una recente pubblicazione dell’Archivio federale suggerisce una risposta: le visite ufficiali sono uno dei rari momenti in cui lo Stato prende forma. Attraverso l’incontro dei rappresentanti ufficiali, ma soprattutto grazie alla copertura mediatica, i cittadini possono vedere un’espressione concreta dell’entità statale di cui fanno parte.

Attraverso strette di mano, luoghi e parole è possibile trasmettere nei due paesi un’immagine convenzionale, rispecchiata da paesaggi e tradizioni, ma anche moderna e dinamica, illustrata dall’industria e dalla creatività.

Gli incontri permettono inoltre al Consiglio federale di conoscere personalmente i propri interlocutori. E la cordialità dei rapporti, si dice, facilita le relazioni bilaterali. Non è dunque un caso che solo dal 1985 ci sia almeno una visita di Stato l’anno. Ultimamente addirittura due.

swissinfo, Daniele Papacella

L’Archivio federale ha dedicato una pubblicazione alle visite di Stato con una serie di approfondimenti e dozzine di episodi e ricordi: «Helvetia hält Hof – Helvetia tient sa cour», Berna 2002.

Nel 1910 la Svizzera ha accolto il primo capo di stato in visita ufficiale: l’allora presidente francese Armand Fallières. Da lì in poi si sono succeduti 50 illustri ospiti in rappresentanza di altri Stati.

Ma non ogni visita ufficiale è una visita di Stato. Un primo ministro o un principe ereditario, pur essendo rappresentanti ufficiali di una nazione, non sono capi di Stato e dunque degni dei massimi onori.

Negli altri paesi, il presidente o il monarca rappresenta lo Stato. Ma non in Svizzera. Il Presidente della Confederazione è solamente un «primus inter pares». A rappresentare il paese ci deve essere il governo in corpore.

I più affezionati sono i presidenti delle repubbliche confinanti direttamente con la Svizzera.
Fra i monarchi europei si contano la britannica Elisabetta II (1980), il belga Baldovino I (1989) o, in tempi lontani, Guglielmo II imperatore di Germania (1912).
Da altri continenti sono arrivati anche regnanti di dinastie tramontate, come lo scià di Persia Reza Phalevi (1948) o l’imperatore etiope Haile Selassie (1954).

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