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Il risveglio della diplomazia elvetica

Nel 1985, anche Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov beneficiarono dei buoni uffici svizzeri per riavvicinarsi dopo decenni di guerra fredda Keystone

In dieci anni la politica estera della Svizzera ha compiuto una metamorfosi: dalla neutralità ed i buoni uffici ad una presenza internazionale più muscolosa e visibile.

Ormai membro delle Nazioni Unite, la Confederazione ha deciso di orientare la diplomazia in direzione del multilateralismo. Un’opzione di successo.

Durante oltre un secolo, la diplomazia svizzera faceva rima con buoni uffici. Nel 1954 a Ginevra si gioca il destino dell’Indocina. Nel 1962 gli accordi che formalizzano l’indipendenza dell’Algeria vengono firmati ad Evian, sulla riva francese del Lemano, ma la maggior parte delle discussioni si svolgono sulla sponda elvetica.

Ginevra è pure teatro dei negoziati sul disarmo nucleare e del vertice tra il presidente americano Ronald Reagan ed il suo omologo sovietico Michail Gorbaciov: il 1985 diventa la data simbolo dell’inizio della fine della Guerra Fredda.

Per interposte ambasciate

I buoni uffici si esercitano anche all’estero. Sin dalla guerra

franco-tedesca del 1870, la Svizzera si specializza nel rappresentare gli interessi dei paesi che rifiutano di dialogare direttamente. Così, nel 1945, è dalle mani della diplomazia svizzera che gli americani ricevono l’offerta di capitolazione giapponese.

“Per molto tempo – ricorda Yves Besson, professore di relazioni internazionali ed ex direttore dell’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi a Gerusalemme – la lista dei paesi di cui la Svizzera rappresentava gli interessi era la parte centrale del rapporto annuale di politica estera del governo.”

“A volte c’erano questioni politiche, come a Cuba o in Iran all’epoca della presa di ostaggi all’ambasciata americana. Ma spesso la Svizzera si

accontentava di sbrigare faccende di tipo consolare”, rileva Besson, che ha lavorato per dieci anni al servizio della diplomazia.

La svolta

Tutto cambia attorno agli anni Novanta. Malgrado un rifiuto popolare nel 1986, il governo è determinato ad agganciare il vagone svizzero al treno delle Nazioni Unite.

Il rapporto sulla politica estera del 1993 insiste sul valore della pace, sui diritti dell’essere umano, sulla prosperità collettiva e sull’ambiente. La neutralità non è più la pietra miliare della politica estera. Da quel momento si punta su “cooperazione e codecisione internazionali”.

“I diplomatici svizzeri – osserva Yves Besson – hanno dovuto abituarsi ai negoziati multilaterali. Nei settori economici e commerciali sono sempre stati eccellenti, ma in politica hanno dovuto imparare parecchie cose. E lo hanno fatto molto in fretta”.

Gli anni Novanta sono l’epoca delle missioni di Edouard Brunner nel Vicino Oriente e in Georgia. Sono gli anni di Tim Guldimann in Cecenia. La diplomazia svizzera diventa, insomma, visibile.

Nel 1998, poco prima dei bombardamenti alleati su Belgrado, Berna rifiuta di rappresentare gli interessi tedeschi e britannici sul posto. La Svizzera, che aveva condannato severamente le azioni

serbe nel Kosovo, non può ricredersi.

Diplomazia pubblica

Nel 2000, l’obiettivo “supremo” del Consiglio federale in politica estera resta “l’indipendenza e la prosperità della Svizzera”, ma i nuovi orientamenti devono seguire “dei principi etici”.

In modo più marcato rispetto al 1993 si riafferma la necessità di lottare contro la povertà, di promuovere la pace e difendere i diritti dell’essere umano e le risorse naturali.

Due anni dopo la Svizzera aderisce all’ONU. A partire dal 2003 la consigliera federale Micheline

Calmy-Rey inaugura la sua “diplomazia pubblica”. Il buon ministro degli Affari esteri non è più colui, o colei, che sa “stare zitto nelle quattro lingue nazionali”.

Fresca di nomina, Micheline Calmy-Rey esige un incontro al Forum di Davos con l’allora segretario di Stato americano Colin Powell: il suo paese si stava preparando ad invadere l’Iraq.

Di fronte al rifiuto di “negoziati dell’ultima ora”, la Svizzera convoca una Conferenza umanitaria che tenterà di attenuare gli sconvolgimenti della guerra.

Senza rimpianti

Oggi la Svizzera non è più campionessa del mondo dei buoni

uffici. In questo campo, un paese come la Norvegia – che fa parte della Nato – vanta chiaramente migliori risultati.

Ma la svolta non provoca la benché minima nostalgia a Yves Besson. “Spesso – sottolinea senza mezzi termini l’ex diplomatico – i buoni uffici si limitavano ad un ruolo di albergatori”. L’impostazione in corso da qualche anno “è molto più attiva, più difficile e più redditizia”.

Qualche esempio? I negoziati per la creazione del Consiglio dei diritti umani dell’ONU. “In questo caso siamo ad altri livelli. Si tratta – conclude Besson – di autentica diplomazia multilaterale”.

swissinfo, Marc André Miserez (traduzione: Françoise Gehring)

Fino all’inizio degli anni Novanta, la diplomazia svizzera si muove essenzialmente lungo l’asse dei buoni uffici, coltivando l’arte di mediare tra due parti in conflitto, spingendole a negoziare, senza tuttavia prendere parte alle discussioni.

Gli Stati non ne hanno il monopolio. Un’organizzazione internazionale, come pure un privato, possono in ugual misura offrire i loro buoni uffici.

Nel 1999 l’Istituto Henry Dunant di Ginevra (centro di formazione e di ricerca della Croce Rossa) è diventato un centro per il dialogo umanitario, specializzato in materia. Gli esperti del centro sono riusciti, nel 2002, ad ottenere il cessate il fuoco tra l’Indonesia e i ribelli di Aceh e, nel 2004, un accordo sul Darfur (Sudan).

Dal 1994 Ginevra è anche sede del WSP International (progetti per le società distrutte dalla guerra), che assicura programmi di riconciliazione in aree di conflitti come, per esempio, in Ruanda, Mozambico, Somalia e America Latina.

Pur essendo private queste due istituzioni ricevono dalla Svizzera un sostegno finanziario.

Il Dipartimento federale degli Affari esteri (DFAE) dispone di un budget annuale vicino ai 2 miliardi di franchi.
1.3 miliardi sono consacrati alla cooperazione e allo sviluppo.
Il DFAE impiega circa 3’150 funzionari, di cui circa 2’000 nelle rappresentanze diplomatiche e consolari svizzere in 193 paesi del mondo.
171 paesi hanno un’ambasciata o un consolato in Svizzera.

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