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Il pericolo della “mafia invisibile”

Erwin Beyeler è procuratore generale della Confederazione dal 2007. Keystone

La lotta alla criminalità organizzata e la collaborazione internazionale delle magistrature sono state al centro dell'incontro a Roma tra il procuratore generale della Confederazione, Erwin Beyeler, e il capo della Direzione italiana antimafia Piero Grasso.

«Preoccupato? No, ma consapevole che occorra essere molto vigili». Così si esprime Erwin Beyeler, procuratore federale della Confederazione, al termine del suo incontro romano (26 ottobre) con Piero Grasso, l’ex magistrato che da cinque anni guida in Italia la Procura nazionale antimafia.

Ottima collaborazione fra Berna e Roma, ci tengono a sottolineare entrambi. Anche perché sta crescendo da parte elvetica la consapevolezza del rischio rappresentato dalle attività mafiose in Svizzera. E soprattutto della ‘ndrangheta calabrese, considerata da tempo la più potente, ricca e pericolosa fra i gruppi della criminalità organizzata italiana.

Tentacoli in Svizzera

«I proventi di attività illecite cercano sempre più rifugio, possibilità di riciclaggio del danaro sporco e occasioni di investimento all’estero, nei paesi dove il segreto bancario è ancora ben tutelato, quindi e inevitabilmente anche nella Confederazione», ci dice Piero Grasso, che in un suo recente libro cita Leonardo Sciascia – «l’ombra della palma che si allunga verso nord» – frase premonitrice di come le attività mafiose si sarebbero inevitabilmente spostate verso l’Italia settentrionale e verso altri paesi europei.

È in particolare dal 2004, con il rapporto sulla sicurezza interna, che l’Ufficio federale di polizia ha segnalato come la criminalità organizzata sia attiva in Svizzera.

E ancora in una recente intervista Michael Perler, da un anno a capo della polizia federale, rilevava che «la ‘ndrangheta – attiva essenzialmente nel traffico della droga e delle armi – utilizza la Svizzera per riciclare il denaro sporco; investe nel settore dell’edilizia, dell’immobiliare e della ristorazione, soprattutto in Vallese e in Ticino».

Collaborazione internazionale

È la cosiddetta “mafia invisibile”. «Mentre in Italia la criminalità organizzata si esprime anche in modo violento, ed è quindi anche un problema di ordine pubblico, in un paese come il vostro opera silenziosamente», sottolinea il procuratore nazionale Grasso.

«Non rappresenta un pericolo per la popolazione – prosegue – ma lo è per il mondo finanziario ed economico, perché i soldi diventano anch’essi pericolosi quando sono in mano a gente pericolosa».

In Svizzera, tutta una serie di recenti inchieste, processi ed estradizioni ne sono la conferma. E la collaborazione internazionale è l’arma indispensabile contro le cosche, non più quelle “delle coppole e dei pizzini”, ma quelle ormai capaci di utilizzare anche le operazioni finanziarie più sofisticate.

«Rimane però ancora da superare il problema delle diverse legislazioni: benché come europei apparteniamo tutti alla stessa cultura giuridica, le leggi in materia di lotta alla criminalità organizzata possono cambiare da Stato a Stato. Dobbiamo puntare a una maggiore armonizzazione, perché il confine del diritto non può trasformarsi in una frontiera che rende più difficili le inchieste».

Una mafia da 130 miliardi

Ma di quanti soldi dispongono le organizzazioni criminali? Lo chiediamo a Lirio Abbate, giornalista costretto a vivere sotto scorta dopo le rivelazioni fatte in articoli e libri. «Per capire di cosa stiamo parlando – ci spiega – basta citare un calcolo fatto dalla Confesercenti, una delle principali organizzazioni degli imprenditori della Penisola. Ebbene, insieme mafia siciliana, camorra napoletana e N’Drangheta gestirebbero un giro d’affari annuo di 130 miliardi di euro e profitti e accantonamenti per 70 miliardi di euro». Un impressionante fiume di denaro sporco, costantemente in cerca di nuovi “mercati”.

«Bisogna dunque colpire i beni frutto dell’illegalità», rileva il procuratore Grasso, che al termine dell’incontro con il collega svizzero, e pur sottolineando la buona collaborazione in atto, esprime un doppio auspicio: «Ci auguriamo che la Svizzera possa adottare norme che consentano il sequestro preventivo dei patrimoni mafiosi, che in Italia avviene al di fori del processo penale e che ha dato ottimi risultati».

Ma, soprattutto, puntualizza Grasso, «auspichiamo che la Svizzera accetti le sentenze della magistratura italiana in materia di prevenzione patrimoniale, frutto di procedure che offrono la massima garanzia».

Ottimismo e realismo

Auspicio, quest’ultimo, non facile da accogliere per la Svizzera. Mentre sul “sequestro preventivo” il procuratore federale Pierluigi Pasi, responsabile dell’antenna della Procura a Lugano, e che a Roma ha accompagnato Beyeler, ha espresso da tempo un giudizio positivo, sostenendo anche di recente che, a fianco delle norme prettamente penali, si potrebbero varare nella Confederazione procedure di tipo amministrativo, che consentano “in prmis” di sequestrare e confiscare beni delle mafie.

Infine, la preoccupazione sulle lacune e la lentezza della giustizia elvetica di fronte alle organizzazioni criminali, espressa anche dal giudice federale Jacques Ducry. Preoccupazione condivisa da Erwin Beyeler? «È stata anche una nostra costante preoccupazione. Tuttavia oggi siamo più ottimisti. Dal prossimo gennaio, con l’entrata in vigore del nuovo codice penale, le cose dovrebbero migliorare: da una parte vi sarà un allargamento dei diritti dell’imputato, ma dall’altra si accorceranno i tempi del processo».

Tuttavia, conclude, all’armamentario giuridico occorre affiancare una maggiore consapevolezza, nel mondo politico e nell’opinione pubblica, del rischio rappresentato per la Svizzera dalle infiltrazioni del crimine organizzato: «Senza drammatizzazioni, ma con molto realismo».

La ‘ndrangheta è un’organizzazione di cosche mafiose calabrese.

Il termine ‘ndrangheta deriva probabilmente dal greco andraghatia, che significa virilità, coraggio.

Le sue attività oggi sono piuttosto concentrate sui traffici di droga e di armi e sull’infiltrazione dell’economia. Secondo il rapporto dell’Eurispes, il suo giro d’affari nel 2008 era stimato a 44 miliardi di euro all’anno.

In concorrenza con la camorra, la ‘ndrangheta controlla ormai il narcotraffico del Nord Italia, in particolare in Lombardia.

Il suo funzionamento è di tipo clan-familiare, senza gerarchia piramidale. Ciò faciliterebbe il suo insediamento in Svizzera, in particolare in Ticino e in Vallese.

2001: l’ex giudice ticinese Franco Verda è condannato a 18 mesi di detenzione per corruzione. Aveva fornito informazioni e accettato regali dal boss mafioso Gerardo Cuomo.

2003: l’avvocato luganese Francesco Moretti, di origine calabrese, è condannato a 14 anni di reclusione per avere riciclato oltre 60 milioni di franchi per conto della mafia.

2006: un boss della ‘ndrangheta è arrestato a Briga, in Vallese. Sarà processato e condannato alla reclusione perpetua in Italia per un doppio omicidio.

2009: è celebrato il processo della cosiddetta mafia delle sigarette al Tribunale penale federale di Bellinzona. Dei nove imputati sospettati di appartenere a un’organizzazione criminale e di aver smerciato illegalmente 215 milioni di stecche di sigarette, due sono condannati in prima istanza.

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