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Il percorso di un ex delegato del CICR riabilitato

Un dettaglio della locandina del film di Frédéric Gonseth dedicato a André Rochat

Il film "Citadelle humanitaire" del cineasta Frédéric Gonseth ripercorre l'esperienza di André Rochat, ex delegato del CICR che negli anni Sessanta guidò la prima missione umanitaria nello Yemen. Intervista.

Sotto la responsabilità del capo missione André Rochat, nato a Orbe (canton Vaud) nel 1925, decine di delegati e medici furono inviati nel cuore dello Yemen, che allora versava in condizioni medievali.

Dopo l’esplosione di tre aerei dirottati dai palestinesi a Zarka, il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) si separa da Rochat, uomo dalla spiccata vocazione per l’aiuto umanitario. Quella ferita, che si porta dentro dal 1971, non si è ancora cicatrizzata.

swissinfo: Grazie ai suoi archivi e alle bobine girate in formato 8 mm durante l’operazione, il film di Frédéric Gonseth illustra un’epoca in cui non si parla ancora di Organizzazioni non governative (ONG). Sul terreno dell’aiuto umanitario c’è solo il CICR. Per lei è stato un battesimo del fuoco…

André Rochat: Venivo dal settore alberghiero e avevo già una bella carriera alle mie spalle, in particolare come direttore del Papillon al Montreux Palace. All’inizio degli anni Sessanta ha lasciato tutto per entrare nel CICR. Non avevo nessuna esperienza ma, senza saperlo, avevo una qualità assolutamente necessaria: la vocazione.

swissinfo: Una vocazione rimasta intatta anche dopo 35 anni e manifestata anche in occasione della proiezione del film, quando alla platea si è rivolto con “Vi saluto in Croce Rossa”. L’opera di Frédéric Gonseth rende bene la realtà?

A.R.: Il cineasta non ha chiesto la mia opinione e ha lavorato in piena libertà. Non so se avrei fatto lo stesso film che ha realizzato lui, ma non ho nessuna critica da formulare.

swissinfo: Attratto dall’impegno umanitario, lei abbandona il settore alberghiero sebbene nulla la predestinasse a quell’avventura, in un paese chiuso tanto quanto una cittadella. “Mi mandano al buio” disse allora…

A.R.: Effettivamente, sono stato nominato due giorni prima della mia partenza come delegato generale del CICR. L’ordine di missione comportava la menzione “per lo Yemen”. Ma avevano scordato di dirmi che il conflitto interessava una decina di paesi.

A quel livello del CICR, cioè un uomo di terreno e con certe responsabilità, significava per forza di cose essere anche un diplomatico. Tra i suoi compiti, infatti, c’erano anche gli incontri con i principali ministri, i direttori delle carceri e i comandanti dell’esercito dei paesi interessati.

swissinfo: Come è diventato delegato, lei che era figlio del macellaio di Orbe, che ha lasciato la scuola molto presto e che si è fatto nel mondo degli alberghi da solo?

A.R.: La scuola non insegna ad essere delegati della Croce Rossa. Il CICR è un’istituzione sacra, insostituibile. La sua missione mondiale è caratterizzata da specificità uniche.

Nessuna altra organizzazione può entrare nei penitenziari, visitare i prigionieri politici nei campi, entrare nelle sale dove si svolgono gli interrogatori dinnanzi a persone che sono state torturate. Certo, molte persone sono andate sul terreno senza esperienza. Per i medici è forse un po’ più facile, rispetto al laico quale ero.

swissinfo: “Il CICR è un osservatorio della sofferenza umana che non ha pari”, aveva scritto nel libro “L’homme à la croix, une anticroisade”. È facile restare motivato?

A.R.: La motivazione non si comanda. Quando si è sul terreno, all’inizio non immagini quanto si possa essere imprudenti e quali rischi si possano correre. Ogni volta che ho esposto la vita dei miei compatrioti o dei miei colleghi, è stato terribile. In queste condizioni, è necessario che il consenso interno alla missione sia onnipresente.

swissinfo: Nel 1971 viene inviato in Giordania in condizioni estremamente difficili, per affrontare il più grande dirottamento della storia. Tre aerei esplodono nel deserto. Il CICR decide allora di separarsi da lei. La grande cicatrice brucia ancora, malgrado nel 2008 il CICR le abbia consegnato una medaglia. Un riconoscimento tardivo?

A.R.: Non è mai troppo tardi per rendere giustizia a un “uomo giusto nella Croce Rossa”. Ci fu un grande malinteso con i colleghi dell’epoca. La “Médaille de l’Hospitalier” che mi è stata consegnata dal presidente del CICR Jakob Kellenberger, è molto più di un riconoscimento con la lettera di accompagnamento in cui si esplicita la volontà di accordarmi una “riabilitazione nella Croce Rossa”.

swissinfo: Ma basta per cancellare tutte le cicatrici?

A.R.: No, non è possibile. Del resto gli uomini dell’epoca sono morti. Non c’è null’altro da aggiungere. Devo anche assumere il fatto dI aver procurato molte preoccupazioni, sebbene non sia mai uscito dal sentiero del Diritto.

swissinfo: Ora il CICR è confrontato con la presa di ostaggi nelle Filippine, dove uno svizzero e un italiano sono ancora nelle mani dei rapitori. Come reagire dinnanzi a questa evoluzione nel campo dell’aiuto umanitario?

A.R.: La presa in ostaggio dei delegati esiste dalla fine dell’ultima guerra mondiale. E’ spaventoso. Occorre assolutamente che il CICR trovi e applichi tutte le misure necessarie per uscire da lì.

swissinfo: Anche pagando un riscatto?

A.R.: Certo. La vita di un essere umano non ha prezzo. Bisogna pagare. E’ il contro-valore umanitario. È il minimo che si possa sperare. Ma non si può dirlo.

swissinfo: Perché, alza il prezzo per un eventuale rilascio?

A.R.: Certo.

swissinfo: Dalla guerra nel Biafra, si parla di un diritto di ingerenza umanitaria giustificato, in nome dell’urgenza e di un mandato di intervento sovranazionale…

A.R.: Quando si pronunciano queste due parole “diritto di ingerenza”, come pensa di essere accolto, se non con un colpo di fucile? È un’assurdità entrata nella storia moderna dell’aiuto umanitario. Preferisco parlare del diritto statutario d’iniziativa conferito al CICR dalle Convenzioni di Ginevra.

Intervista swissinfo, Olivier Grivat
(traduzione e adattamento dal francese Françoise Gehring)

André Rochat nasce a Orbe il 4 dicembre 1925. Lascia la propria casa senza aver ultimato una formazione professionale. Fa diversi lavori, diventa portiere di notte in un albergo di Losanna. È capitano nel corpo di fanteria di montagna durante la Seconda guerra mondiale.

Nel 1945 svolge uno stage al Central-Bellevue di Losannae dieci anni dopo, dirige il Papillon del Montreux-Palace.

Nel 1963 entra nel CICR, spinto dal desiderio di impegnarsi in campo umanitario. Nello Yemen conduce delle trattative non autorizzate con gli inglesi del protettorato di Aden. Per venire in aiuto ai feriti, si interpone in mezzo ai combattimenti armato unicamente della bandiera della Croce Rossa.

Nel 1971, in occasione del più grande dirottamento della storia a Zarka, nel deserto giordano, conduce i negoziati con i terroristi palestinesi. Ma i tre aerei di linea, tra cui un velivolo di Swissair, esplodono, fortunatamente senza fare vittime. Il CICR decide di separarsi da lui.

Nel 1974 diventa consigliere di Nestlé in Arabia Saudita

Nel 1978, ritorna al suo primo amore, il settore alberghiero.

Nel 2008 il presidente del CICR Jakob Kellenberger gli consegna la “Médaille de l’Hospitalier”.

Tre delegati del CICR sono stati rapiti il 15 gennaio 2009 dal gruppo armato Abu Sayyaf nel sud delle Filippine durante la visita a una prigione.

La delegata filippina Mary Jean Lacaba è stata liberata il 2 aprile, mentre la sorte dello svizzero Andreas Notter e del delegato italiano Eugenio Vagni rimane incerta.

Il governo filippino valuta la possibilità di chiedere aiuto agli Stati Uniti per arrivare alla liberazione dei due ostaggi in mano ad Abu Sayyaf.

Lo ha affermato il 13 aprile il vice portavoce presidenziale, Lorelei Fajardo, sottolineando che il governo potrebbe fare ricorso alla “moderna tecnologia militare” che gli Stati Uniti hanno nelle Filippine per cercare di liberare i
due operatori della Croce Rossa tenuti in ostaggio a Jolo e diversi insegnanti filippini rapiti nella provincia di Basilan.

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