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“Nel nostro paese i mandati del popolo vengono attuati”

La Svizzera frenerà l'immigrazione, se possibile d'intesa con l'UE, afferma Johann Schneider-Ammann. Rolf Amiet, swissinfo.ch

L’ex imprenditore non vuole dirigere come un capo il governo durante il suo anno di presidenza, ma intende cercare soluzioni basate sul consenso, per “garantire la libertà, la sicurezza e il benessere della Svizzera”. Johann Schneider-Ammann propugna l’apertura verso il mondo, ma anche la difesa della sovranità nazionale e della democrazia diretta. 

Il ministro dell’economia non è considerato un grande comunicatore e non è neppure molto popolare. In dicembre, il Parlamento lo ha però eletto con un ottimo risultato alla presidenza della Confederazione per il 2016. 

Durante quest’anno vuole impegnarsi per garantire la piena occupazione in tutto il paese, affinché “tutti possano avere delle prospettive”. Per la Svizzera, con il suo piccolo mercato, il libero scambio rimane una premessa fondamentale. A tale scopo, afferma Johann Schneider-Ammann, sarà quindi necessario salvaguardare le relazioni bilaterali con l’Unione europea, minacciate dall’attuazione dell’iniziativa popolare sul freno all’immigrazione. Ma, nel contempo, bisognerà concretizzare il mandato impartito dal popolo, ossia limitare l’afflusso di manodopera straniera. 

swissinfo.ch: L’ondata migratoria e la sicurezza sono due dei temi che preoccupano maggiormente anche gli svizzeri. Dopo gli attentati di Parigi è stato detto che il terrorismo è giunto ormai in Europa. Ciò vale anche per la Svizzera? 

Johann Schneider-Ammann: La grande migrazione verso l’Europa figura tra le principali sfide alle quali il nostro continente deve far fronte dalla Seconda guerra mondiale. Il terrorismo non è una cosa nuova in Europa, ma con gli attentati di Parigi si è raggiunta una nuova dimensione. Non possiamo vedere ogni migrante come un criminale. Ma dobbiamo essere prudenti, verificare attentamente chi giunge tra di noi. Coloro che trovano rifugio da noi per ragioni umanitarie, vengono integrati e devono rispettare le regole. Chi non può rimanere, deve partire.

Per il presidente della Confederazione, è giusto che il segreto bancario rimanga in vigore per i contribuenti in Svizzera. Rolf Amiet, swissinfo.ch

swissinfo.ch: Crede che i rischi di terrorismo siano aumentati con l’afflusso di migranti? 

J.S.-A.: Ritengo che non possiamo diffidare in modo generalizzato di ogni migrante. Nei flussi migratori si sono nascosti anche dei jihadisti dello Stato islamico (IS). Vi è quindi un pericolo. Per questo motivo le nostre autorità di sicurezza verificano molto attentamente le persone che provengono dalle regioni di crisi. Ma la maggior parte dei migranti fuggono per disperazione di fronte allo stesso terrore che ha provocato la tragedia di Parigi. 

swissinfo.ch: Una tragedia simile potrebbe avvenire anche da noi. In che modo la Svizzera cerca di proteggersi da questo pericolo? 

J.S.-A.: Attacchi terroristici non possono essere esclusi neppure in Svizzera. I nostri servizi di sicurezza fanno un ottimo lavoro. Il Consiglio federale ha deciso recentemente di aumentare i loro effettivi. Siamo inoltre integrati nella rete internazionale di sicurezza. I nostri servizi sono molto efficienti in tempi normali e ora hanno rafforzato la loro prontezza di intervento. 

swissinfo.ch: Tra i temi più dibattuti in Svizzera vi sono le relazioni con l’UE, soprattutto dall’accettazione da parte del popolo dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, che impone di frenare in modo incisivo l’immigrazione. È pronto ad attuare questa iniziativa, anche se dovesse compromettere gli accordi bilaterali con l’UE? 

J.S.-A.: Il Consiglio federale si è fissato due obbiettivi. Innanzitutto vogliamo salvaguardare i rapporti bilaterali con l’UE. In secondo luogo intendiamo rispettare il mandato popolare e limitare l’immigrazione. Siamo ora cercando di raggiungere questi due obbiettivi con una clausola di salvaguardia. 

In tal modo possiamo limitare l’immigrazione, senza rimettere in discussione il principio della libera circolazione delle persone che fa parte del primo pacchetto di accordi bilaterali. 

swissinfo.ch: Questi sono gli argomenti della Svizzera, ma l’UE la vede allo stesso modo? 

Johann Schneider-Ammann 

Nato nel 1952 a Sumiswald, nel canton Berna, Johann Schneider-Ammann ha studiato elettrotecnica al Politecnico federale di Zurigo. 

Ne 1982 ha ottenuto un Master di amministrazione commerciale presso l’INSEAD di Parigi. 

Nel 1981 è stato assunto presso l’azienda Langenthaler, appartenente alla famiglia di sua moglie, con la quale ha avuto due figli. 

Dal 1990 fino alla sua elezione in Consiglio federale nel 2010 ha diretto il gruppo Ammann. Dal 1999 al 2010 ha presieduto l’associazione delle industrie metalmeccaniche Swissmem. 

Membro del Partito liberale radicale, Johann Schneider-Ammann dirige dalla sua entrata in governo il dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca. 

Il 9 dicembre 2015, l’Assemblea federale lo ha eletto alla presidenza della Confederazione per il 2016. 

J.S.-A.: Intendiamo raggiungere una soluzione concordata con l’UE. Ma se ciò non dovesse essere possibile, la Svizzera introdurrà la clausola di salvaguardia in modo unilaterale. Dall’inizio di quest’anno mi occuperò di proseguire il dialogo con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker, che Simonetta Sommaruga ha curato ottimamente durante il suo anno di presidenza della Confederazione. E rappresenterò la Svizzera, non l’UE. 

swissinfo.ch: Il governo svizzero vuole introdurre entro un anno la clausola di salvaguardia per frenare l’immigrazione, anche se non venisse trovata una soluzione concordata con l’UE. In tal modo non si pone da solo sotto pressione? 

J.S.-A.: Il Consiglio federale vi ha riflettuto bene. Ma ha ricevuto un chiaro mandato costituzionale dal popolo e intende attuarlo. Nel nostro paese i mandati del popolo vengono rispettati e attuati. 

swissinfo.ch: Anche se si devono sacrificare gli accordi bilaterali? 

J.S.-A.: Va fatto il possibile per evitarlo. Non sappiamo come reagirà l’UE. Ma sappiamo che, anche per l’UE, i rapporti con la Svizzera sono positivi e preziosi. Le relazioni commerciali sono intense – un miliardo di franchi per ogni giorno lavorativo. Fruttano un’eccedenza di 70 miliardi nella bilancia commerciale dell’UE. I Ventotto devono quindi riflettere bene, tenendo conto anche dei loro problemi di occupazione, se vogliono introdurre degli ostacoli nei rapporti economici con la Svizzera. Non è realistico ipotizzare che l’UE voglia semplicemente togliere la spina. 

swissinfo.ch: L’economia svizzera soffre per il franco forte. Dall’abolizione della soglia minima di cambio euro-franco, le aziende hanno soppresso o delocalizzato migliaia di posti di lavoro. Che cosa intraprende, quale ministro dell’economia, per evitare una perdita ancora maggiore di posti di lavoro? 

J.S.-A.: Il livello del corso di cambio concerne la politica monetaria ed è quindi di competenza della Banca nazionale svizzera (BNS). 

Per quanto riguarda la politica economica, abbiamo fatto quanto potevamo. Già nel gennaio 2015 ho autorizzato il “lavoro ridotto” [le aziende possono ridurre temporaneamente il lavoro, per preservare gli impieghi, e i loro collaboratori ottengono prestazioni dalla cassa disoccupazione per compensare la perdita parziale del lavoro] per le aziende messe in difficoltà dall’apprezzamento del franco. Prossimamente chiederò al Consiglio federale di estendere il periodo del lavoro ridotto da 12 a 18 mesi. Il Consiglio federale ha inoltre aumentato di 20 milioni i mezzi finanziari impiegati dalla Commissione per la tecnologia e l’innovazione a favore delle imprese di esportazione. Ciò viene molto apprezzato dall’economia. Stiamo inoltre riflettendo su ulteriori misure per il 2016. 

A parte questi provvedimenti, è importante alleggerire il carico delle imprese: meno burocrazia e costi più bassi. Dobbiamo aver cura della nostra piazza economica. 

swissinfo.ch: La piazza finanziaria svizzera si è ritrovata negli ultimi anni sotto pressione. Il segreto bancario per i clienti stranieri è stato ormai quasi abolito. Rimane invece in vigore per i clienti in Svizzera. Le sembra una cosa giusta? 

J.S.-A.: Sì. Da noi vi è un rapporto di fiducia tra cittadini e Stato, sul quale si basa anche il segreto bancario. I cittadini fanno la loro dichiarazione d’imposte e lo Stato controlla. Chi fornisce consapevolmente dati errati, viene punito. Chi agisce correttamente, ha il diritto di evitare che lo Stato si intrometta nei suoi affari. 

swissinfo.ch: I contribuenti svizzeri sono più onesti di quelli di altri paesi? 

J.S.-A.: Le nostre aliquote fiscali sono relativamente basse. Per questo la maggior parte dei contribuenti dichiarano quanto guadagnano e posseggono. Se le aliquote sono invece così alte che bisogna lavorare da gennaio a settembre solo per pagare le imposte, molte persone diventano creative per sfuggire al fisco e aumenta l’illegalità. 

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swissinfo.ch: Lei si è impegnato per la conclusione dell’accordo di libero scambio con la Cina, in vigore da un anno e mezzo. Da allora il commercio bilaterale è notevolmente aumentato, benché le tasse doganali vengano diminuite solo progressivamente nel corso di diversi anni. Come spiega questa crescita? 

J.S.-A.: L’accordo di libero scambio con la Cina è effettivo dal 1° luglio 2014, anche se non tutte le tasse doganali sono state ridotte. Già dalla conclusione dei negoziati tecnici nel 2012, il mercato cinese era diventato molto più interessante per le nostre imprese. L’aspettativa del nuovo regime doganale ha spinto il commercio verso l’alto ancora prima dell’entrata in vigore dell’accordo. 

I dati per il primo anno sono positivi. Le esportazioni svizzere sono aumentate dello 0,9% a livello mondiale, mentre verso la Cina la crescità è stata del 2,3%. Questo accordo contribuisce ad assicurare dei posti di lavoro presso le nostre aziende. 

Le autorità cinesi e quelle svizzere lavorano bene assieme. Se qualcosa non funziona, i problemi vengono risolti in modo efficiente. Mi capita spesso di sentire lodare l’accordo di libero scambio con la Cina da parte di chi lavora per questo mercato. Abbiamo un vantaggio rispetto ai concorrenti europei, dato che non dispongono ancora di un simile accordo. 

swissinfo.ch: L’accordo soddisfa soprattutto gli ambienti economici, ma vi sono anche delle critiche. Ad esempio per il fatto che con questo trattato la Svizzera tollera in pratica le violazioni dei diritti umani in Cina. Che cosa ne pensa? 

J.S.-A.: Non, non è assolutamente così. Nella premessa dell’accordo si fa un chiaro riferimento alla Carta delle Nazioni unite e indirettamente alla questione dei diritti umani. 

In margine all’accordo di libero scambio abbiamo stipulato con la controparte cinese un capitolo separato relativo alle sfide ecologiche  e abbiamo concluso un accordo supplementare concernente gli aspetti sociali. 

Più i cinesi sono integrati nel mercato globale e più sono esposti alla trasparenza internazionale. E più aumenta quindi anche il loro rispetto per l’ecologia e le questioni sociali

swissinfo.ch: Il libero scambio con la Cina riguarda un mercato importante. Ancora più importante, dopo quello europeo, è però il mercato americano. Stati uniti e UE sono vicini alla conclusione di un accordo di libero scambio. La Svizzera rischia di uscirne svantaggiata? 

J.S.-A.: È possibile che questo accordo venga concluso ancora durante il mandato del presidente Obama. Ci stiamo impegnando per rimanere vicini a queste trattative, in modo da poter reagire rapidamente al momento giusto. Già nel 2012 l’incaricato del commercio americano ha promesso di tenerci al corrente sugli sviluppi di questo accordo. Da allora, l’ho incontrato a più riprese, l’ultima volta l’estate scorsa a Washington. Da parte americana ci è stato fatto capire più volte che, al momento della conclusione dell’accordo con l’UE, anche noi potremo agganciarci. Ma non potremo negoziare altre condizioni: prendere o lasciare. 

Traduzione di Armando Mombelli

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