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Las Vegas, l’Isis rivendica la strage ma Washington smentisce

È salito a 58 morti e oltre 500 feriti il tragico bilancio della più sanguinosa strage perpetrata con armi da fuoco della storia degli Stati Uniti, di cui è stata teatro ieri sera Las Vegas.

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L’Isis nel pomeriggio aveva rivendicato la paternità dell’attentato asserendo una presunta recente conversione del killer, il 64enne Stephen Paddock che da una camera al 32esimo piano dell’hotel Mandalay Bay Casino ha sparato sulla folla che assisteva al vicino concerto country, prima di suicidarsi al sopraggiungere delle teste di cuoio.

“L’autore dell’attacco a Las Vegas è un soldato dello Stato Islamico, ha eseguito l’operazione in risposta” agli appelli dell’organizzazione a prendere di mira i paesi impegnati nella guerra all’Isis, ha indicato il Califfato nero. Tesi però subito contraddetta da alti responsabili dell’amministrazione USA e dall’FBI secondo i quali “non esiste alcun elemento che consenta di stabilire una relazione tra lo sparatore di Las Vegas e una qualsiasi organizzazione terroristica”.

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In questa fase sembra invece accreditarsi la pista del gesto isolato di un folle, e si scava su possibili precedenti psichiatrici. Gli inquirenti, che stanno cercando di decifrare il movente della strage, scrutano sul passato del 64enne, descritto come una persona apparentemente tranquilla e riservata, un pensionato dalla fedina penale pulita e con la passione per il gioco d’azzardo, la pesca e la caccia.

Secondo gli esperti l’uomo avrebbe esploso oltre dieci colpi al secondo, verosimilmente grazie a un “grilletto a manovella” facilmente acquistabile online e che permette di sparare fino a 700 proiettili al minuto.

Nella camera dell’hotel gli agenti hanno trovato un arsenale di guerra, comprendente pistole semiautomatiche, fucili d’assalto, maxi-caricatori e munizioni di vario tipo. Ma per la Casa Bianca questo non è il momento per riproporre il dibattito sulla libera vendita di armi negli Stati Uniti.

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