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Il futuro della pace comincia dal passato

Keystone

La rielaborazione del passato dopo un conflitto assume un ruolo fondamentale in ogni processo di pace per riconoscere i diritti delle vittime ed evitare nuove violenze. La diplomazia svizzera, attiva in quest'ambito in diversi paesi, ha tracciato un bilancio a Berna delle attività svolte finora.

“Dopo ogni conflitto, bisogna sempre fare tutto allo stesso tempo: ricostruire le infrastrutture, garantire la sicurezza, combattere la fame. In queste situazioni, la lotta contro l’impunità appare spesso come un elemento che infastidisce”, ha ricordato la responsabile del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) Micheline Calmy-Rey, nel corso della conferenza annuale della Divisione politica IV, tenuta giovedì a Berna.

“Bisogna guardare al futuro e dimenticare il passato, si sente dire molto spesso. Ma è impossibile lasciar dietro di sé il passato dopo simili momenti di barbarie. Affinché la pace possa essere duratura, dobbiamo sostenere coloro che vogliono affrontare il passato”.

Dal 2003 il sostegno alla rielaborazione del passato è così diventato una delle componenti fondamentali delle attività di promozione della pace svolte dalla Confederazione. Negli ultimi anni, su invito degli Stati interessati o di organizzazioni internazionali, la Svizzera ha offerto in tale ambito un contributo significativo in una decina di Stati, tra cui Colombia, Guatemala, Nepal, Indonesia, Burundi, Serbia e Bosnia.

Scetticismo iniziale

“Quando abbiamo cominciato ad integrare la rielaborazione del passato nelle nostre attività, molte persone all’interno dello stesso DFAE avevano espresso un certo scetticismo. Ci chiedevamo in particolare se i processi di pace non dovessero essere orientati piuttosto verso il futuro, che non verso il passato”, dichiara a swissinfo l’ambasciatore Thomas Greminger, capo della Divisione politica IV.

6 anni dopo, tracciando un primo bilancio, i responsabili della diplomazia svizzera e numerosi rappresentanti di organizzazioni internazionali, invitati alla conferenza di Berna, hanno sottolineato l’importanza delle attività svolte finora: l’analisi del passato costituisce ormai una delle parti integranti di quasi tutti gli accordi di pace.

“Abbiamo costatato che proprio la mancanza di un confronto approfondito con il passato e la rinuncia a cercare le responsabilità dei crimini più gravi commessi durante un conflitto rappresentano una delle ragioni principali che conducono al fallimento di molti accordi di pace e all’emergenza di nuove crisi”, spiega Thoma Greminger.

La dignità delle vittime

Le attività svolte dalla Svizzera – tramite sostegni politici, tecnici e finanziari, come pure l’invio di esperti sul terreno – si ispirano ai “prinicipi Joinet” sull’impunità, elaborati dall’esperto francese Louis Joinet ed approvati nel 1997 dalla Commissione dei diritti umani dell’ONU. Tali principi si basano su 4 pilastri: diritto di sapere, diritto alla giustizia, diritto a riparazioni e garanzia di non ripetizione.

In primo luogo va sostenuta la ricerca della verità su quanto è accaduto, raccogliendo fatti, documenti e testimonianze, istituendo commissioni d’inchiesta, rivedendo i libri di storia. “Il diritto di sapere è un primo contributo al ristabilimento della dignità delle vittime”, sottolinea Navanethem Pillay, che dirige l’Alto commissariato dell’ONU per i diritti umani.

Occorre poi mettere in moto un processo di giustizia, affinché i responsabili rispondano delle loro azioni, ma anche per riconoscere i diritti delle vittime e per offrire una nuova protezione giuridica alla popolazione. Questo lavoro viene realizzato tramite l’istituzione di tribunali nazionali o internazionali, la protezione dei testimoni, la creazione di un nuovo quadro giuridico.

Il diritto a riparazioni non si limita alla concessione di indennizzi finanziari o al recupero dei beni persi, ma include un processo di riabilitazione delle vittime, tramite ad esempio scuse pubbliche e commemorazioni. Per finire è necessaria una riforma delle istituzioni per evitare il ripetersi delle violazioni dei diritti umani e l’apertura di nuovi conflitti.

Credibilità internazionale

“Fino a pochi anni fa la pace e la giustizia, dopo un conflitto, erano spesso viste come due cose incompatibili. La pace sembrava possibile solo garantendo l’impunità dei responsabili dei crimini commessi. Oggi, però disponiamo di nuovi strumenti, a cominciare dai tribunali penali internazionali: la ricerca simultanea della pace e della giustizia non solo sono possibili, ma sono ormai riconosciute come una necessità per prevenire nuove violenze”, ha dichiarato Navanethem Pillay, che ha lodato l’impegno della Svizzera per la rielaborazione del passato in molti paesi.

Un impegno che si iscrive nella tradizione dei “buoni uffici” della diplomazia elvetica, ma anche nel lavoro svolto da oltre un decennio dalla Svizzera per rivedere il proprio passato, in particolare attraverso il lavoro della Commissione Bergier sulla Seconda guerra mondiale o le ricerche sui rapporti con l’ex regime dell’apartheid in Sudafrica.

“Il fatto che la Svizzera abbia analizzato il proprio passato, sembra aver rafforzato la nostra credibilità agli occhi di molti partner, che non ci considerano come un paese che si ritiene al di sopra degli altri”, ha sottolineato Micheline Camy-Rey. “È vero, anche noi abbiamo sofferto delle nostre contraddizioni e abbiamo cercato di imparare le lezioni della storia”.

Armando Mombelli, swissinfo.ch

La coesistenza pacifica tra i popoli figura tra gli obbiettivi principali della politica estera svizzera.

Per perseguire questo obbiettivo, il governo svizzero si impegna a livello bilaterale e multilaterale in favore della prevenzione della violenza armata, della regolamentazione dei conflitti e del consolidamento della pace.

Finanziata tramite un importo di circa 50 milioni di franchi all’anno, la politica di pace della Confederazione viene attuata in particolare tramite numerose iniziative promosse dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE):

– programmi di gestione civile dei conflitti in diverse regioni di crisi del mondo (Balcani, Medio Oriente, Grandi Laghi, Colombia, Nepal, Sri Lanka, Sudan)

– invio di osservatori incaricati di sorvegliare la regolarità di elezioni e di esperti che collaborano alla costruzione di una società civile

– iniziative diplomatiche e partenariati strategici per promuovere la risoluzione dei conflitti

– mediazione tra Stati in caso di crisi o tra le parti in conflitto.

La Divisione politica IV del DFAE si occupa dei progetti di sostegno della “sicurezza umana.

Questo settore di attività della politica estera elvetica comprende la promozione della pace, i diritti umani, la politica umanitaria e la migrazione.

Dal 2003 tra gli strumenti impiegati per la promozione della pace figurano anche le attività di analisi del passato nei paesi che escono da un conflitto.

La rielaborazione del passato, che mira a riconoscere i diritti delle vittime e nel contempo ad evitare il riprodursi di un conflitto, prevede una serie di misure: chiarimento dei fatti, applicazione della giustizia, riparazione e riforma delle istituzioni

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