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Il dinamismo dell’UE stupisce – specialmente la “paralizzata” Svizzera

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in visita dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Keystone / Ukranian Presidential Press Serv

La guerra in Ucraina sta favorendo la compattezza del Vecchio Continente, ma la Svizzera non ha ancora trovato il suo posto in Europa. E tutti i segnali lasciano intendere che fino ad allora potrebbe volerci anche troppo. Analisi.

Mentre la Svizzera continua pacatamente a definire l’Unione europea come uno spazio economico, questa si è evoluta da tempo in una comunità di valori. Ed ora la Svizzera si rende conto che la guerra in Ucraina ha favorito la trasformazione dell’UE in un attore sullo scacchiere geopolitico. Le sanzioni decretate contro la Russia superano la somma economica delle singole misure, che il Cremlino non ha esitato a tacciare di “guerra economica”.

La pandemia ha accelerato la coesione europea, sia sul piano economico che logistico. Ed ora l’alleanza si consolida anche nei settori della difesa, dell’energia e della politica estera. Rafforzata al suo interno, l’unione di Stati si presenta verso l’esterno con sorprendente agilità e determinazione, mostrando per la prima volta la sua vera potenza. Uno sviluppo che fa gola, prova ne è la triplice richiesta di adesione inoltrata da Ucraina, Georgia e Moldavia. L’UE non è più soltanto sinonimo di benessere, ma ora anche di sicurezza.

Tra benevolenza e aspettative

Quali sono le implicazioni per il rapporto tra la Svizzera e l’Unione europea? Senza dubbio che il nostro Paese si trova dinanzi una nuova controparte. Ma anche una nuova costellazione, visto che, malgrado la neutralità, ha preso nuovamente coscienza di quanto sia in fondo legato all’Occidente, sul piano politico, economico e dei valori. Addirittura, a livello militare la Svizzera sta strizzando l’occhio alla Nato e all’UE stringendo alleanze per la sicurezza. A tutto questo si contrappone tuttavia il gelo calato sulle relazioni dopo l’interruzione unilaterale da parte svizzera dei negoziati sull’accordo quadro istituzionale, nel maggio del 2021. Bruxelles l’ha presa decisamente male.

La Svizzera ha riavviato i colloqui praticamente in contemporanea con l’invasione dell’Ucraina. Il fatto che il nostro Paese abbia ripreso le sanzioni dell’UE non è certo passato inosservato a Bruxelles, che comunque non si aspettava altro. Allineandosi alle decisioni europee, la Svizzera si è perlomeno guadagnata una telefonata di un quarto d’ora ai massimi livelli: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si è presa il tempo di parlare con il presidente della Confederazione Ignazio Cassis. Prima, per la Svizzera non era disponibile neppure il vicepresidente Maros Sefcovic.

Se tutto questo potrà tradursi in vantaggi per le prossime tornate negoziali è ancora da vedere. Roland Fischer, consigliere nazionale dei Verdi liberali, prevede che la guerra in Ucraina rallenterà il processo di riavvicinamento tra Berna e Bruxelles. “Al momento l’UE ha altre priorità.” Rimane tuttavia fiducioso, visto che il momento è quanto mai propizio, su entrambi i fronti, per raggiungere una buona intesa.

Anche Christian Wasserfallen, consigliere nazionale liberale, è di questo avviso: “Di fronte all’aggressione russa, l’Occidente ha un interesse vitale a serrare i ranghi.” L’Europa deve affrontare sfide di varia natura ed è quindi ora che smetta di giocare al gatto con il topo con la Svizzera. “È il momento di reimbastire le nostre relazioni”, sostiene Wasserfallen. La Svizzera deve dar prova di impegno costruttivo. Il politico liberale accenna alla prevista votazione popolare sul contributo svizzero all’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera Frontex. “In questo momento un no alle urne sarebbe fatale”, commenta.

Su tutto questo pesa un dilemma di fondo: è fuori dubbio che l’UE voglia mantenere buone relazioni con la Svizzera, ma si guarderà bene da proporre un pacchetto troppo vantaggioso per non suscitare invidie al suo interno. Le spinose trattative sulla Brexit e i dissapori con Polonia e Ungheria sono solo un esempio di quanto sia cresciuta l’autostima della Commissione europea.

Solidarietà svizzera: il presidente Ignazio Cassis a una manifestazione per la pace a Berna nel marzo 2022. © Keystone / Peter Klaunzer

Sul piano dei contenuti, le aspettative reciproche rimangono molto diverse. La Svizzera vorrebbe concludere un nuovo pacchetto bilaterale e disciplinare l’accesso al mercato unico sul piano settoriale. L’UE ripete invece in maniera martellante che deve esserci un recepimento dinamico del diritto e un meccanismo giuridico di appianamento delle vertenze. In tempi di guerra e distruzione questi aspetti formali e tecnici possono sembrare fuori luogo sia da un lato che dall’altro, ma proprio nel caso dell’UE salta all’occhio come il mostro burocratico di un tempo si sia ormai trasformato in un attore agile con processi decisionali brevi.

Lo spazio economico europeo come nuova opzione?

Di fronte alla guerra in Ucraina, l’UE appare assai più capace di agire e meglio preparata della Svizzera. Sembra governata meglio e organizzata in modo più snello e compatto. Il che le conferisce non solo maggior potere, ma anche più sovranità. E proprio quest’ultima è il nocciolo della questione nel rapporto bilaterale tra Berna e Bruxelles.

La Svizzera invece si barcamena, fomentando – perlomeno sul piano interno – una crescente irritazione. Il modello elvetico evidenzia una volta ancora le sue lacune nella gestione delle crisi. I rimproveri che molti confederati hanno spesso indirizzato a Bruxelles si stanno materializzando a Berna: cavilli burocratici e un federalismo paralizzante, un apparato amministrativo ingigantito ma dai piedi d’argilla e un’unione che potrà certo funzionare sul piano economico, ma con poca voce in capitolo a livello politico.

I movimenti europeisti in Svizzera hanno il vento in poppa. Da mesi parlamentari e organizzazioni della società civile intimano al governo di proseguire i negoziati con l’UE, e con lo scoppio della guerra le sollecitazioni all’interno del Parlamento si sono moltiplicate.

È pur vero che all’interno del Parlamento è solo una ristretta minoranza a caldeggiare un’adesione all’UE. Per contro, è tornato d’attualità lo Spazio economico europeo (SEE), caduto nel dimenticatoio dopo il responso negativo alle urne sul libero scambio negli anni 1990. Roland Fischer, consigliere nazionale dei Verdi liberali, ha depositato in Parlamento un postulatCollegamento esternoo che incarica il Consiglio federale di esaminare l’adesione allo SEE. Se in passato lo SEE era considerato una tappa transitoria verso la piena adesione, oggi è una realtà ben consolidata. “Bisognerebbe discutere anche questa variante”, sostiene Fischer. Il momento è propizio, i consenti elevati. Inoltre, lo SEE potrebbe sperimentare una rinascita nei Balcani occidentali in alternativa all’allargamento zoppicante dell’Ue e in contrapposizione all’influenza russa, recepita come destabilizzante.

In Parlamento si discutono anche altre opzioni, ad esempio le alleanze selettive con l’Ue, simili alla partecipazione allo spazio Schengen. Dal canto suo, il presidente dell’Alleanza del Centro Gerhard Pfister ha lanciato la discussione su come integrare la flotta aerea nella strategia di difesa europea –in vista del previsto acquisto dei jet da combattimento statunitensi F-35.

Altro che “catalettica”! Dopo i dubbi esternati a lungo sulla sua stessa ragion d’essere, l’alleanza militare Nato ha vissuto una rianimazione quasi istantanea. Mentre l’intelligence americana metteva urgentemente in guardia da un’invasione, gli europei sono stati presi in contropiede.  

Molti Stati hanno ora annunciato di voler innalzare al 2 per cento del Pil le loro spese militari. In Finlandia, Paese non allineato, e nella neutrale Svezia si sta discutendo di una possibile adesione alla Nato, passo assolutamente fuori discussione prima che l’Ucraina venisse attaccata dalla Russia. Il fatto che la Svezia, come molti altri Paesi europei, abbia fornito armi a Kiev dimostra quanto sia cambiata la politica di sicurezza nel Continente e come possano cadere in fretta i tabù.

Per la Svizzera l’adesione alla Nato è fuori discussione, afferma il consigliere nazionale liberale Christian Wasserfallen. “Ci sono però altri livelli di cooperazione, ad esempio nel quadro dell’OSCE.” Potrebbe immaginare che un domani la Svizzera prenda parte a missioni di mantenimento della pace in Ucraina su mandato delle Nazioni Unite, in analogia all’attuale impegno in Kosovo. Anche il presidente del partito Thierry Burkart non ha dubbi: la Svizzera deve avvicinarsi alla Nato.


Non tutti sono tuttavia favorevoli a un avvicinamento: l’UDC (destra conservatrice), di cui singoli esponenti hanno relativizzato l’invasione russa e criticato l’adozione delle sanzioni contro la Russia, ha preannunciato un’iniziativa volta a rafforzare la neutralità elvetica nella Costituzione e rinsaldare la via unilaterale della Svizzera.

L’ordine europeo del dopoguerra si sta palesando in una rivalità tra ovest ed est, una sorta di rivisitazione della Guerra fredda. Rispetto ad allora, l’integrazione europea è tuttavia di ben altra natura e va molto al di là delle questioni economiche. Il dibattito sul posizionamento della Svizzera è appena iniziato.

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