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Il delta del Ticino

Il Ticino non sfocia nel mare, ricordavo all’inizio del viaggio citando Giovanni Orelli. Forma però un delta sul Lago Maggiore, condividendolo con un altro fiume, la Verzasca. L’area è nota con il nome di Bolle di Magadino ed è una riserva naturale.

Alle Bolle ci sono sempre arrivato via terra. Stavolta le coincidenze dei mezzi di trasporto mi inducono ad un altro percorso: Bellinzona-Locarno in treno e quindi Locarno-Magadino con il battello.

La zona delle Bolle si scorge già dopo i primi minuti di navigazione. Al centro, una macchia biancastra si staglia contro il verde della vegetazione. È la cava di ghiaia della Silos Ticino SA, in piena zona A, l’area di massima protezione delle Bolle.

“La sua presenza viola almeno sei ordinanze federali”, s’indigna Nicola Patocchi, responsabile scientifico della riserva, che incontro nella sede della Fondazione Bolle di Magadino.

Nel frattempo il Consiglio di Stato ticinese ha però fissato una scadenza per lo sfruttamento della ghiaia. “Ora è possibile programmare la fase successiva, in collaborazione con gli esperti del Politecnico federale di Zurigo”, osserva Patocchi.

Si tratta di verificare la possibilità di riaprire gli argini interni del Ticino lungo tutto il Piano di Magadino, per ripristinare per quanto possibile le dinamiche naturali del delta. “Una cosa impossibile, finché davanti c’è il tappo della cava”.

Le Bolle, area di transizione fra habitat acquatici e terrestri, non potrebbero esistere senza l’azione costante dell’acqua dei fiumi e del lago.

Fino alla fine dell’Ottocento, l’intero Piano di Magadino era in balia delle piene del Ticino. L’arginatura del fiume, la costruzione delle chiuse sul lago e lo sfruttamento idroelettrico della Verzasca hanno però frenato e modificato le dinamiche del delta.

“Il fattore principale di cambiamento è il fiume”, nota Patocchi. “A ridargli spazio ci sarebbe una continua evoluzione delle Bolle”.

Oggi, abbandonato l’approccio puramente conservativo di un tempo, i responsabili della riserva usano talvolta la forza delle ruspe per compensare quella, persa, del fiume.

“Mettiamo a nudo la ghiaia, per esempio, e la lasciamo ricolonizzare”, spiega il biologo. “Se non facessimo nulla, la zona diventerebbe un bosco umido. Un ambiente importante, ma non quanto le zone di transizione, che sono fondamentali per molte specie in via d’estinzione.”

swissinfo, Andrea Tognina, Magadino

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