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Il Concerto elvetico alla Biennale di Venezia

Il Padiglione Svizzero.
Il Padiglione svizzero, disegnato da Bruno Giacometti nel 1951, è parte della creazione artistica stessa di Latifa Echakhch. © Keystone / Christian Beutler

"The Concert", il concerto, è il nome del progetto che la Svizzera presenta nel suo Padiglione alla 59esima Biennale Arte di Venezia che apre sabato 23 aprile. L’installazione, allestita dall'artista Latifa Echakhch in collaborazione con il percussionista Alexandre Babel e il curatore Francesco Stocchi, è un viaggio a ritroso nel tempo, nei nostri ricordi, che vuole essere anche un ponte tra l’arte contemporanea e il pubblico a cui si rivolge.

Entrare nel Padiglione svizzero alla Biennale d’arte di VeneziaCollegamento esterno, situato quasi all’inizio dei Giardini, a destra dell’entrata principale, ci fa capire subito la moderna sobrietà della Svizzera che preferisce la funzionalità e non si perde in fronzoli inutili.

E da sabato 23 aprile, quando la Biennale d’arte aprirà al pubblico, i visitatori potranno vedere come il Padiglione concepito dall’architetto Bruno Giacometti nel 1951 (si, proprio lui che non si riteneva un artista – pur essendo figlio e fratello di grandi artisti – e che preferiva la funzionalità) intesse un intenso dialogo con le opere di Latifa EchakhchCollegamento esterno esposte negli spazi creati dall’architetto elvetico.

“C’è del legno bruciato, c’è stato forse un rituale, non si capisce bene ma chiaramente siamo arrivati alla fine di qualcosa”.

Francesco Stocchi, curatore

Entrando nello spazio espositivo dopo aver presentato le proprie credenziali e girando a sinistra per accedere al patio del padiglione, il visitatore subito a prima vista intuisce che l’artista si è impossessata degli spazi nella sua interezza per farli dialogare con le sue sculture (realizzate con materiali riciclati da precedenti Biennali). Oppure, se è la prima volta che visita la Biennale e lo spazio elvetico, il visitatore non capisce dove finisca l’architettura e dove inizi l’arte. Dove Latifa Echakhch ha piegato l’architettura al servizio dell’arte.

La ghiaia – sparsa ovunque, anche negli spazi chiusi – sotto i nostri piedi a ogni passo crea musica, ritmo. Pezzi di legno bruciati, lasciati lì quasi per caso, ci fanno capire che in questo luogo deve essere successo qualcosa: “C’è del legno bruciato, c’è stato forse un rituale, una distruzione, non si capisce bene ma chiaramente siamo arrivati dopo qualche cosa, alla fine di qualcosa”, ci racconta Francesco StocchiCollegamento esterno, curatore dell’esposizione e nostra ‘guida’ nell’elaborata installazione di Latifa Echakhch.

Non è Pro HelvetiaCollegamento esterno a decidere chi allestisce il padiglione ma una giuria svizzera e internazionale composta da cinque persone che, su incarico della fondazione, organizza un bando di concorso. Per questa edizione della Biennale sono stati invitati sei operatori culturali. Nel giro di soltanto sei settimane bisognava presentare un progetto. E alla fine è stato scelto quello dell’artista franco-marocchina Latifa Echakhch.

Ci immergiamo così, privilegiati, nell’opera totale dell’artista franco-marocchina che da anni vive in Svizzera: “Il tutto è nato da un desiderio di Latifa – ci racconta Francesco Stocchi – che voleva che il pubblico uscendo dal padiglione dell’esposizione provasse le stesse sensazioni che si provano quando si esce da un concerto”. Invece di partire dall’inizio, questa volta si è partiti dalla fine. “Come dato iniziale avevamo il solo desiderio di Latifa che però era il punto di arrivo, non di partenza”.

Si è così iniziato a lavorare in modo diverso. Vengono coinvolti il musicista elvetico Alexandre BabelCollegamento esterno – considerato un riferimento nella musica sperimentale – e il curatore di arte moderna e contemporanea al Museum Boijmans Van Breuningen di RotterdamCollegamento esterno, Francesco Stocchi, che accompagnandoci continua il suo racconto: “Siamo usciti dall’asse tradizionale artista-curatore e curatore-artista, per creare un gruppo di lavoro, ognuno con la sua identità, ognuno che porta la sua esperienza. Ma c’è stata pure una sovrapposizione di interessi e di ruoli. Ogni gesto, ogni azione, avrebbe avuto delle ripercussioni nel gruppo stesso. Proprio come una band musicale”.

“Latifa ha cercato di ricostruire quello che ci rimane dopo aver assistito a un concerto”.

Francesco Stocchi, curatore

Tornando al desiderio di Latifa Echakhch, l’opera alla Biennale presentata dalla Svizzera, si chiede cosa rimane dopo un concerto, quando la musica è finita e le luci si spengono. Quando la musica diventa memoria. “Rimane il ritmo nella testa, rimane il suono dei nostri passi che tornano a casa” aggiunge Francesco Stocchi mentre ci guida dentro lo spazio chiuso dove le sculture ispirate all’arte popolare sono visibilmente inghiottite da un’oscurità dilagante (come se il tempo scorresse all’indietro dal giorno luminoso alla sera precedente) e illuminate solo a intermittenza da bagliori di luce.

“Possiamo dire che è un viaggio a ritroso nella notte – aggiunge Stocchi entrando nella sala completamente buia – per arrivare al centro di quello che può essere la memoria residua dopo un concerto”. E il concerto nell’opera di Latifa Echakhch non è fatto di suoni bensì creato da impulsi di luce. “Il nostro compositore Alexandre Babel ha cercato di scrivere un pezzo musicale con le luci, senza suoni – conclude Stocchi – per giungere all’essenza della musica che può anche trascendere dal suono stesso”.

L’opera di Latifa Echakhch, Alexandre Babel e Francesco Stocchi ha un pregio notevole: dietro alla sua creazione non c’è un messaggio, non vuole insegnare nulla a nessuno. C’è invece semplicemente una preoccupazione: come poter trasmettere delle emozioni al pubblico. “Latifa ha cercato di ricostruire quello che ci rimane dopo aver assistito a un concerto – conclude Francesco Stocchi -. Così, uscendo dal Padiglione svizzero si vorrebbe che ai visitatori rimanesse l’eco del concerto, un ricordo”. E paradossalmente, ma non troppo, chi visita la mostra – come detto – non sente suoni, se non i suoi passi sul selciato. Ma rimane persistente il ricordo.

L’esposizione è accompagnata da un disco in vinile e da un libro che riflettono le discussioni che hanno guidato il progetto. Il libro presenta materiali d’archivio, interviste e testi critici, incluse considerazioni teoriche attorno al suono, al ritmo e alla nozione di opera d’arte totale. In quanto tale offrirà una chiave di lettura aggiuntiva della mostra. Con il vinile invece portiamo con noi quella musica che non abbiamo sentito ma che abbiamo in un qualche modo intuito.

L’esposizione “The Concert” nel Padiglione svizzero della Biennale Arte di Venezia è stata inaugurata ufficialmente giovedì 21 aprile in presenza del consigliere federale Alain Berset. Da sabato sarà visibile anche al pubblico. Il Padiglione svizzero rimarrà aperto fino al 27 novembre.

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