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Il commercio equo ha i suoi campioni: gli svizzeri

Il riso del commercio equo sempre più apprezzato dai consumatori

La Svizzera detiene un record molto particolare: è il paese al mondo con il maggiore consumo pro capite di prodotti equo solidali. Un commercio in crescita nel mondo anche in periodo di crisi.

Con una spesa pro capite di 32,75 franchi all’anno, gli svizzeri e le svizzere sono i maggiori consumatori di prodotti frutto del commercio equo. Seguono, ma molto distanti, i britannici (18 franchi), mentre al terzo posto si classificano i cittadini della Danimarca (11,30 franchi).

Le cifre sono contenute nel rapporto (presentato a fine dicembre 2008) Fair Trade 2007: Facts and Figures che raccoglie sistematicamente i dati di 28 paesi europei, insieme a quelli di Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Il rapporto racconta soprattutto il successo di un movimento nato 60 anni fa, elencando vendite e mercato equo solidale in 33 Paesi del mondo.

Dal 2004 al 2007 le vendite globali certificate dall’organizzazione internazionale Fairtrade Labelling Organizations (FLO) risultano più o meno triplicate: sono salite da 832 milioni di euro ai 2,3 milioni registrati nel 2007.

Gli attori in Svizzera

In Svizzera il primo negozio di prodotti del commercio equo era stato aperto nel mese di dicembre del 1974 a Losanna. Oggi in tutto il Paese le Botteghe del Mondo sono circa 300, mentre i prodotti fair trade sono reperibili in 2’500 supermercati. In Romandia l’Association romande des Magazins du Monde raggruppa una quarantina di negozi, mentre l’Associazione delle Botteghe del mondo della Svizzera italiana coordina sedici botteghe.

La società claro fair trade è la principale centrale di importazione per la Svizzera. Vanta un’esperienza trentennale ed è presente sul territorio della Svizzera tedesca con circa 140 claro-Läden. Sono attive nel campo dell’importazione anche organizzazioni più piccole, ma molto dinamiche, come TerrEspoir, Zur Kalebasse e Helvetas.

Caritas-Faitrade, società legata all’organizzazione umanitaria Caritas Svizzera, si concentra esclusivamente sul commercio equo, funge da importatore, grossista e fornitore con particolare attenzione sull’artigianato. L’organizzazione gebana, tra le pionieri in Europa e molto apprezzata per i suoi approcci innovativi, importa e distribuisce beni prodotti dall’agricoltura biologica e da 30 anni collabora con i piccoli produttori del Burkina Faso, del Brasile e della Tunisia.

La fondazione svizzera Max Havelaar ha il compito di certificare con il marchio di qualità Max Havelaar i beni prodotti e commercializzati secondo gli standard del commercio equo garantiti dalla FLO. Uno dei suoi grandi successi è stato l’ingresso nella grande distribuzione (Coop e Migros).

Nel 2007 entra in scena Swiss Fair Trade, il forum svizzero per il commercio equo, con l’obiettivo di coordinare e rafforzare l’azione e il peso dei principali protagonisti: importatori, organizzazioni non governative, enti di certificazione dei marchi, associazioni mantello del commercio equo.

Per un mondo più giusto

Nella Svizzera italiana, intanto, sono appena stati festeggiati i 30 anni di esistenza del movimento del commercio equo. “Da allora – sottolinea la presidente dell’Associazione Botteghe del Mondo Claire Fischer Torricelli – sono cambiate molte cose. La globalizzazione dei mercati e la fortissima concorrenza hanno trasformato il mondo del lavoro e la società, generando nel contempo nuove forme di disuguaglianze”.

“Il commercio equo – spiega a swissinfo la presidente – contribuisce a rendere questo nostro mondo un po’ più giusto. I numeri della solidarietà del movimento a livello internazionale sono eloquenti: più di 5 milioni di produttori e lavoratori, più di 50 paesi del Sud del mondo, 3’000 associazioni e cooperative di base, 450 organizzazioni importatrici, 100’000 volontari e volontarie, 4’000 Botteghe del Mondo”.

Se è vero che oggi il commercio equo non può più prescindere da logiche di marketing, è anche vero che la forza ideale di cui si nutre non viene meno, anzi ci sono segnali incoraggianti. Mentre la crisi erode spazi crescenti di consumo in tutta Europa, la nicchia del commercio equo tiene. E questo non soltanto per le caratteristiche del prodotto, ma anche e soprattutto per i valori di cui è portatore e promotore in tutto il nostro pianeta.

In un contesto di grandi mutamenti, anche il commercio equo ha vissuto piccole e grandi trasformazioni: sul mercato non si sono solo affacciati diversi marchi (Max Havelaar, per esempio), ma anche la grande distribuzione. “Per le Botteghe del Mondo questa nuova concorrenza – precisa Claire Fischer Torricelli – rappresenta una grande sfida: essere anche noi attori economici senza perdere la nostra identità e i nostri ideali, che rimangono quelli di garantire ai produttori del Sud una vita più dignitosa”.

La qualità e le sfide del volontariato

Se in questi anni il commercio equo ha conosciuto una costante progressione negli indici di gradimento dei consumatori e delle consumatrici, è anche grazie al miglioramento della qualità. “I primi prodotti – spiegano Daniela Sgarbi Sciolli e Ingrid Joray, responsabili della sede centrale svizzero italiana delle Botteghe del Mondo – rispondevano prevalentemente o quasi esclusivamente ad un criterio di solidarietà”.

Con il tempo la qualità è diventata un parametro sempre più importante, senza però incidere sul principio dell’equità e della solidarietà, ovvero assicurare ai produttori del sud un compenso equo, in grado di garantire loro un degno tenore di vita, tenendo conto del lavoro impiegato e delle condizioni di vita.

“Ma la qualità – osservano Sgarbi Sciolli e Joray – da sola non basta. Occorre anche professionalizzare il volontariato per mantenere a medio e lungo termine la realtà delle Botteghe del Mondo. Fare proprie alcune regole basilari del mercato – insistono Daniela Sgarbi Sciolli e Ingrid Joray – non significa sacrificare gli ideali di solidarietà e giustizia, ma darsi gli strumenti per continuare a ‘vendere’ in modo duraturo la meravigliosa idea del commercio equo dalla parte di chi garantisce l’origine solidale dei prodotti. E assicurare così il futuro delle Botteghe del Mondo”.

Françoise Gehring, swissinfo.ch

Quando si parla di commercio equo solidale, La Svizzera si conferma campionessa e guida la classifica dei paesi in base alla spesa annua pro capite.

1. Svizzera: 21,06 euro (32,75 franchi)
2. Gran Bretagna: 11,57 euro (18 franchi)
3. Danimarca: 7,27 euro (11,30 franchi
4. Lussemburgo: 6,72 euro (10,45 franchi)
5. Finlandia: 6.56 euro (10, 20 franchi)
6. Austria: 6,36 euro (9,90 franchi)
7. Irlanda: 5,40 euro (8,40 franchi)
8. Svezia: 4,66 euro (7,25 franchi)
9. Norvegia: 3,87 euro (6 franchi
10. Francia e Belgio: 3,31 euro (5,15 franchi)

(Fonte: Trade 2007: Facts and Figures, FINE Advocacy Office, Bruxelles)

● il commercio equo rappresenta lo 0,01 per cento dell’insieme degli scambi commerciali mondiali.
● è uno dei mercati in più rapida crescita al mondo: una media del 20% all’anno a partire dal 2000.
● sono coinvolti più di 5 milioni di produttori e lavoratori in provenienza da più di 50 paesi del sud del mondo
● le organizzazioni importatrici specializzate sono più di 450 mentre le botteghe del mondo hanno raggiunto quota 4’000
● 100’000 volontari e volontarie dedicano parte del loro tempo al commercio equo, soprattutto in Europa.

1959 Kerkrade, Olanda:
Nasce il movimento per un commercio equo e solidale. Un gruppo di giovani membri di un’associazione politica cattolica della città di Kerkrade, fondano l’associazione SOS Wereldhandel.

1964 Ginevra, Svizzera:
Alla prima conferenza dell’ONU per il commercio e lo sviluppo (UNCTAD) a Ginevra, i paesi del Sud insistono sulla necessità di scambi giusti. Il loro motto trade not aid (commercio, non assistenza) segna l’inizio di un nuovo percorso.

1969 Breukelen, Olanda:
Nella piccola città olandese nasce la prima Bottega del Mondo. L’idea prende rapidamente piede anche in Germania, Svizzera, Austria, Francia, Svezia, Gran Bretagna e Belgio.

1994 Parlamento europeo:
Con l’approvazione della Risoluzione Langer, Bruxelles inserisce organicamente nella sua politica di cooperazione e sviluppo il principio del fair trade.

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