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I tre scenari per la Turchia di Erdogan dopo le elezioni

La carta di Laura Canali (Limes) tvsvizzera

Di Giorgio Cuscito (Limes)

In Turchia alle ultime elezioni parlamentariCollegamento esterno il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (conosciuto con l’acronimo turco Akp) del presidente Recep Tayyip Erdoğan ha perso la maggioranza assoluta. L’Akp, guidato formalmente dal primo ministro uscenteCollegamento esterno Ahmet Davutoğlu, ha ottenuto circa il 41% dei voti, ben nove punti in meno rispetto alla tornata elettorale del 2011.

Il leader turco, diventato capo dello Stato lo scorso anno dopo esser stato primo ministro dal 2003 al 2014, sperava che il suo partito guadagnasse 400 seggi su 550. In questo modo avrebbe avuto i numeri per riformare la Costituzione turca e trasformare la Turchia da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale. Ciò avrebbe consentito al “sultano” Erdoğan di consolidare il suo potere.

Il Partito Popolare Repubblicano (Chp, fondato da Mustafa Kemal Atatürk) ha ottenuto circa il 25% dei voti, confermandosi come principale forza politica d’opposizione ma perdendoCollegamento esterno un punto rispetto al 2011. Il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp) ha invece ottenuto tre punti in più rispetto all’ultima tornata elettorale e ha raggiunto circa il 16%.

La vera novità riguarda il Partito Democratico dei Popoli (Hdp, il partito dei curdi), guidato da Selahattin Demirtaş, che è entrato per la prima volta in parlamento ottenendo il 13% dei voti, tre punti in più rispetto alla soglia di sbarramento. Nelle tornate elettorali precedenti, l’Hdp aveva aggirato l’ostacolo del 10% presentando candidature indipendenti, anziché correre come partito. L’Hdp non solo ha nettamente prevalso nell’Est della Turchia, dove si concentra la minoranza curda (circa il 20% della popolazione) ma ha anche saputo raccogliere consensi nel resto del paese. In città come Istanbul e Ankara ha ottenutoCollegamento esterno rispettivamente circa il 12% e il 5%.

In altre parole, l’Hdp sta progressivamente diventando un partito nazionale, capace di raccogliere non solo il consenso dei curdi ma di rappresentare parte della classe media turca scontenta del governo del “sultano”. Il fatto che il Chp, principale partito d’opposizione, non sia stato in grado di “rubare” voti al partito di Erdoğan e che questi siano stati raccolti in larga parte dall’Hdp ne sottolinea il successo.

Per affermarsi nella politica turca il Partito di Demirtaş dovrà essere abile nel conquistare definitivamente la fiducia degli elettori non curdi che l’hanno votato. L’ascesa dell’Hdp potrebbe fornire ad Ankara un partito politico affidabile con cui discutere dei problemi della minoranza etnica e trovare una soluzione pacifica e duratura nei negoziati in corso con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) di Abdullah Öcalan, l’organizzazione militante per l’auto-determinazione del Kurdistan turco.

Il successo dell’Hdp e la diminuzione del consenso verso Erdoğan sono dipesi in parte dalla storia degli ultimi tre anni della Turchia. In particolare hanno inciso le proteste di Gezi ParkCollegamento esterno, gli scandali di corruzioneCollegamento esterno che hanno coinvolto il presidente, la censuraCollegamento esterno che in più occasioni è stata imposta a Internet (vedi YouTubeCollegamento esterno, TwitterCollegamento esterno) e i tentativi di rafforzamentoCollegamento esterno del controllo del potere esecutivo sul giudiziario. Hanno contribuito poi a esacerbare il contesto politico le (ragionevoli) paranoie del “sultano”Collegamento esterno, che in più occasioni ha affermato di essere oggetto di complotti. Il primo responsabile per Erdoğan sarebbe l’ex alleato Fethullah GülenCollegamento esterno, il leader del movimento Hizmet, oggi in esilio negli Usa.

Tali sviluppi hanno spinto una parte della popolazione a dimenticare i risultati raggiunti dal capo di Stato negli ultimi 11 anni, in primo luogo la crescita economica e la stabilità politica.

Anche l’assertiva politica estera turca non ha portato risultati. Il celebre motto “zero problemi con i vicini”, enunciato dall’allora ministro degli Esteri e autore “profondità strategicaCollegamento esterno” (la “bibbia” geopolitica turca), si è ormai rovesciato nell’opposto “molti problemi con tutti i viciniCollegamento esterno“. A cominciare dal rivale Iran (cui Ankara è legata però dagli interessi energetici), l’antagonista Siria e Israele, con il quale i rapporti sono in crisi dall’incidente della nave turca Mavi MarmaraCollegamento esterno nel 2010. In Siria, la Turchia ha permesso l’afflusso di “combattenti stranieri” per rovesciare il regime di Bashar al Asad. Tentativo sinora fallito, che ha indirettamente favorito l’attività di reclutamento dello Stato IslamicoCollegamento esterno. Anche se Ankara teme più Damasco che i terroristiCollegamento esterno, oggi la Turchia osserva con apprensione le bandiere nere che sventolano pochi chilometri oltre il confine con la Siria.

Le elezioni riflettono il calo dei consensi verso Erdoğan ma non ancora al punto da intaccare lo zoccolo duro del suo elettorato. L’Akp ha ancora il 41% dei voti con un distacco di 16 punti percentuali rispetto al Chp, quindi rimarrà probabilmente il principale partito turco anche nei prossimi anni.

Ad ogni modo ora i risultati delle urne apronoCollegamento esterno a molteplici scenari. L’Akp deve cercare un partner con cui coalizzarsi per formare il governo. Più facile a dirsi che a farsi. L’Mhp, che con il primo partito turco condivide in parte l’ideale conservatore e nazionalista, potrebbe essere il più propenso. Tuttavia, una simile alleanza potrebbe danneggiare i negoziati con il Pkk, cui l’Mhp si oppone.

Qualora l’Akp non riesca a formare il governo, il tentativo spetterebbe al secondo partito turco, il Chp, che potrebbe cercare un’alleanza con l’Mhp – con l’appoggio esterno dell’Hdp. Tuttavia è improbabile che secolaristi, nazionalisti e curdi si alleino, date le evidenti differenze ideologiche.

Altra ipotesi è che l’Akp formi un governo di minoranza e che Davutoğlu si presenti in parlamento senza consultarsi con i partiti, ma sperando di ottenere comunque la fiducia.

Se non sarà possibile formare alcuna coalizione, o se il governo di minoranza non otterrà la fiducia entro i prossimi 45 giorni, il presidente Erdoğan potrebbe indire elezioni anticipate. Forse lo scenario che il “sultano” predilige, visto che la necessità di formare un governo stabile potrebbe convincere gli elettori indecisi a dare di nuovo fiducia all’Akp.

Lo stallo politico sarebbe dannoso per la Turchia. In primo luogo sul quadro economico, che non è dei migliori. Nel 2014 l’aumento del pil è stato pari al 2.9%Collegamento esterno (l’anno prima si è attestato al 4.2%) e nel 2015 dovrebbe raggiungere il 3.1%Collegamento esterno. Inoltre, oggi il tasso di disoccupazione è pariCollegamento esterno circa all’11%. In più, i risultati elettorali e il timore di possibili tumulti nel paese hanno determinato il crollo della lira turca e della borsa di IstanbulCollegamento esterno. Infine, i problemi di politica interna potrebbe distrarre in una certa misura Ankara dallo scenario siriano dalle ambizioni regionali turche. Insomma, per Erdoğan non è certo il momento di mostrare debolezza.

Per approfondire: Erdoğan ha perso la battaglia. Non vuole perdere la guerraCollegamento esterno

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