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I rischi di raccontare la mafia romana

Parlare del lato oscuro dell'Italia odierna resta pericoloso peri giornalisti e le giornaliste, sostiene Federica Angeli nella nostra serie "Voci di libertà dal mondo".

La giornalista italiana Federica Angeli vive da anni sotto scorta a causa di un reportage sulla mafia nel comune di Ostia, frazione di Roma. “La libertà di espressione per me è poter raccontare le cose che nessuno vuole raccontare”, spiega.

È da oltre 20 anni che Angeli, oggi 46enne, pubblica inchieste sulla rete della criminalità organizzata per il quotidiano La Repubblica.

Dopo il reportage su Ostia, Angeli ha cominciato a ricevere serie minacce. “Con questa inchiesta ho avuto enormi difficoltà, anche sociali, perché c’era una resistenza culturale qui a Roma a credere nell’esistenza di una mafia che parlasse il dialetto romano”. Per molti, la mafia era qualcosa che doveva esistere solo al Sud, dice a SWI swissinfo.ch dalla sede romana di Repubblica. Anche durante l’intervista, due agenti la sorvegliavano. Lo fanno da nove anni.

Grazie al lavoro di Angeli, un gruppo criminale guidato dalla famiglia Spada, che estorceva denaro alle attività commerciali in cambio di “protezione” e seminava terrore lungo la costa, è stato smantellato.  

Lo scorso gennaio, nell’ambito di un processo nei confronti di 17 boss e persone affiliate al gruppo criminale, la Corte di Cassazione ha stabilito che il clan Spada di Ostia è a tutti gli effetti un clan mafioso, confermando quanto sostenuto dal lavoro della giornalista.

Nel 2015, il presidente italiano Sergio Mattarella ha conferito ad Angeli il titolo di Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica. Tre anni dopo, la giornalista ha scritto un libro: A mano disarmata. Cronaca di millesettecento giorni sotto scorta. Il successo è stato tale che ne è stato tratto anche un film, diretto da Claudio Bonivento e con Claudia Gerini nel ruolo di Federica Angeli.

Angeli è una degli oltre 20 giornalisti e giornaliste che attualmente vivono sotto scorta in Italia. “Non è normale che siamo così tanti”, dice. “È un’anomalia che suscita interesse in altri Paesi in Europa e nel mondo. C’è evidentemente qualcosa che non funziona in Italia.”

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