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Il contributo svizzero all’accordo di pace in Colombia

Il presidente colombiano José Manuel Santos (a sinistra) e il leader delle FARC 'Timoshenko' si stringono la mano il 23 giugno all'Avana per siglare il cessate il fuoco definitivo. Al centro Bruno Rodríguez, ministro degli affari esteri di Cuba. Reuters

Il governo colombiano e le FARC hanno firmato mercoledì a Cuba un accordo storico il cui obiettivo è di porre fine a un conflitto iniziato 52 anni fa e che ha fatto centinaia di migliaia di vittime. Ex mediatore tra la guerriglia e le autorità di Bogotà, lo svizzero Jean-Pierre Gontard saluta il ruolo giocato dalla Confederazione nel processo di pace.

Dopo quattro anni di duri negoziati all’Avana, le parti sono riuscite a raggiungere «un accordo finale, integrale e definitivo» che dovrà essere sottoposto a referendum il 2 ottobre prossimo prima di entrare in vigore.

Questo accordo di sei punti ha l’obiettivo di «porre fine definitivamente fine a un conflitto armato di oltre 50 anni», si legge nel testo firmato dai negoziatori. L’intesa segna pure la chiusura ufficiale dei colloqui iniziati nel novembre 2012 all’Avana sotto l’egida di Cuba e della Norvegia.

I sei punti dell’accordo

1. Riforma agraria

2. Partecipazione degli ex guerriglieri alla vita politica

3. Cessate il fuoco definitivo e consegna delle armi

4. Azione congiunta contro il traffico di droga

5. Risarcimento delle vittime

6. Meccanismi di verifica e di implementazione

L’annuncio è stato accolto con soddisfazione anche dal governo svizzero, che si è felicitato per l’esito dei negoziati. «Si tratta di un passo capitale verso la costruzione di una pace duratura in Colombia», scrive il Dipartimento federale degli affari esteri in un comunicato, ricordando che dal 2001 la Svizzera si è pienamente investita nel processo di pace.

Jean-Pierre Gontard non nasconde il suo entusiasmo: «Gli storici sanno che tutti i presidenti colombiani hanno avuto dei contatti con la guerriglia», però fino ad oggi questi contatti non erano giunti a buon porto. «Quello dell’Avana è stato un processo esemplare, sia per quanto concerne la professionalità, sia per la cautela», sottolinea l’ex negoziatore, che in passato ha fatto da tramite tra le guerriglie e il governo di Bogotà.

Secondo Gontard, il ruolo della Confederazione, che ha messo in piedi un vasto programma di cooperazione in Colombia, inclusa una strategia post-conflitto, è stato rilevante. «Per la Colombia, Berna è stato un partner privilegiato».

Un accordo che dovrà essere avallato dal popolo

Dopo cinque anni di negoziati, le parti in conflitto hanno firmato gli accordi che dovranno ora essere ratificati dal popolo. Il referendum si terrà il 2 ottobre. La campagna a favore di questi accordi è entrata nel vivo. Il risultato dello scrutinio è però lungi dall’essere scontato.

Ostile ad oltranza al processo di pace, l’ex presidente Alvaro Uribe (2002-2010) esorta a votare no, anche se diversi analisti ritengono che si tratti di un’opportunità senza precedenti e che difficilmente si ripresenterà.

«La storia non lo perdonerà», osserva Gontard. A suo parere, un esito negativo alle urne avrebbe un grande impatto sul processo di pace e sarà difficile che la guerriglia accetti il fatto che «un ex presidente abbia sabotato un lavoro negoziale esemplare».

Questo in un contesto di grande polarizzazione, in cui gli abitanti delle regioni urbane hanno perso consapevolezza di un conflitto ormai limitato alle zone rurali, zone in cui la Svizzera lavora in stretta collaborazione con le organizzazioni locali.

«La Svizzera ha un buon accesso a queste zone e conosce bene la realtà sul terreno», indica a swissinfo.ch il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE). La sua strategia di cooperazione ha permesso di ridurre i bisogni in aree in cui lo Stato non può arrivare, di rafforzare i meccanismi di protezione da parte della società civile in caso di sfollamenti forzati, di reclutamento di minorenni, nonché per far fronte agli incidenti causati da mine antiuomo.

Una donna piange dopo un attacco delle FARC che ha fatto 10 morti e numerosi feriti il 23 settembre 2003 nel villaggio di Chita. In 50 anni, il conflitto ha causato la morte di 220’000 persone. Keystone

La speranza e l’appoggio svizzero

La cooperazione svizzera si concentra sull’assistenza umanitaria, la sicurezza umana e lo sviluppo economico. In occasione della prima visita di un presidente della Confederazione in Colombia, avvenuta a inizio agosto, Johann Schneider-Ammann ha annunciato un contributo di 22 milioni di dollari per sostenere lo sviluppo economico del paese.

In quell’occasione, il presidente svizzero ha definito il processo di pace (iniziato nel 2012 all’Avana) «un avvenimento che infonde speranza». Un avvenimento a cui la Svizzera ha contribuito in diversi modi, a partire da un’assistenza fornita a Cuba.

L’agenda bilaterale contempla pure altri aspetti: la Svizzera è depositaria degli accordi di pace tra il Governo e le FARC, partecipa ai dialoghi con l’altro movimento guerrigliero colombiano, l’Esercito di liberazione nazionale (ELN), sostiene il centro di memoria storica e la lotta contro le violazioni dei diritti umani.

Il DFAE ricorda pure l’implementazione, iniziata 10 anni fa, di due iniziative, la Guida Colombia e il Compromesso Etico, il cui obiettivo è di sensibilizzare le aziende multinazionali ai loro doveri in materia di diritti umani.

La pace, pilastro della diplomazia elvetica

I buoni uffici della Svizzera per la pace in Colombia hanno una lunga tradizione. «Con oltre cent’anni di relazioni bilaterali, la Svizzera ha svolto un ruolo molto importante in Colombia», rileva Gontard.

I legami si sono intensificati nel 1998, quando furono avviati i cosiddetti negoziati del Caguán. «Rappresentanti delle FARC e dell’ELN vennero all’Istituto universitario di studi sullo sviluppo [ndr: di cui all’epoca Gontard era vice-direttore e che oggi si chiama Istituto di alti studi internazionali e sullo sviluppo] per vedere se potevamo aiutarli», ricorda il nostro interlocutore.

Tra il 1998 e il 2002 furono organizzate a Ginevra quattro conferenze. «Fu uno sforzo ben strutturato e i partecipanti lo apprezzarono. La Svizzera era un partner privilegiato».

Tuttavia, nel corso degli anni e in seguito alle sconfitte subite dalle FARC (tra cui l’assalto a un loro campo in Ecuador in cui morì il leader Raul Reyes) e alla rocambolesca liberazione di Ingrid Betancourt nel 2008, Uribe, «che aveva sempre parlato di pace», ha di fatto optato per le armi, decidendo di porre fine alla mediazione internazionale.

Il «caso» Gontard

Ricorrendo a uno stratagemma, che col tempo si rivelerà tale, accusò Gontard di «finanziare la guerriglia», affermando che nel 2001 il negoziatore svizzero aveva consegnato un riscatto per la liberazione di due dipendenti della multinazionale elvetica Novartis ostaggi delle FARC.

L’arrivo del mediatore Jean-Pierre Gontard (al centro) a San Vicente del Caguan, dove è ricevuto dal comandante delle FARC Ricardo Palmera. Il processo di pace condotto a Caguan tra il 1998 e il 2002 è poi fallito. Keystone

La giustizia colombiana aprì un’indagine contro Gontard e la situazione tra Berna e Bogotà precipitò. Il Dipartimento federale degli affari esteri chiese alle autorità colombiane di «cessare i reiterati attacchi contro il mediatore svizzero», smentendo quanto sostenuto da Uribe: «Il signor Gontard contribuì alla riuscita della negoziazione tra l’azienda e le FARC. Non consegnò però mai denaro e la azienda svizzera in questione lo ha confermato a chiare lettere».

Durante una visita in Colombia nell’agosto 2008 in occasione del centenario delle relazioni bilaterali, la ministra degli esteri dell’epoca Micheline Calmy-Rey ribadì la posizione svizzera: «Siamo convinti che il nostro negoziatore abbia agito in maniera esemplare. Non è mai stato implicato in nessun pagamento destinato alle FARC».

È stato però solo nel 2012 che la giustizia colombiana ha ammesso che non vi era luogo a procedere. Inoltre, ha sottolineato che le attività del mediatore svizzero rientravano nel quadro «dei poteri concessi dal governo colombiano» ed erano «eminentemente umanitarie».

«Ero fiducioso, ma l’attesa è stata un po’ lunga», dichiarò allora a swissinfo.ch Jean-Pierre Gontard. Oggi tutto quanto successo è per lui «storia passata». Ciò che importa è la pace. «È stata una lunga strada per coloro che hanno lavorato per la pace. Spero adesso che la comunità internazionale assuma una posizione chiara», per rafforzare anche dall’esterno il processo di pace in Colombia.

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Traduzione e adattamento dallo spagnolo: Daniele Mariani

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