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I popoli lacustri candidati all’Unesco

Keystone

Tra i patrimoni culturali e archeologici più importanti d'Europa, i siti lacustri dell'arco alpino sono ufficialmente in corsa per l'iscrizione a Patrimonio dell'Unesco. Una candidatura transnazionale presentata lunedì dalla Svizzera, che va ad aggiungersi a quella ancora in sospeso delle opere di Le Corbusier.

Non sembra arrestarsi la corsa della Svizzera al marchio Unesco. Due settimane dopo l’iscrizione delle città orologiere di La Chaux-de-Fonds e Le Locle – che ha portato a dieci il numero dei siti elvetici patrimonio dell’umanità – la Confederazione torna alla carica con una nuova candidatura. Si tratta dei siti lacustri dell’arco alpino, un bene culturale che porta i segni di 7000 anni di storia e racconta la vita dei primi contadini del centro Europa.

Una scoperta archeologica che risale al 1854 quando lo storico Ferdinand Keller riconobbe nelle distese di pali di Meilen – sul lago di Zurigo – i resti di alcuni villaggi preistorici. Da allora sono stati identificati 1000 insediamenti dalla Francia fino alla Slovenia, risalenti a un periodo tra il 5000 e l’800 avanti Cristo.

«I siti lacustri rappresentano uno dei patrimoni culturali e archeologici più importanti d’Europa», spiega Christian Harb, segretario generale dell’associazione “Palafitte”. «Protette dall’acqua, le materie organiche – come il legname, i resti di cibi, gli utensili e perfino i vestiti – sono giunte fino a noi in un perfetto stato di conservazione e permettono di risalire il cammino della storia con estrema precisione».

Coordinato dalla Svizzera, il dossier comprende 156 siti in altri cinque paesi alpini: Germania, Italia, Francia, Austria e Slovenia. «Una trentina di istituzioni archeologiche sono coinvolte nel progetto che, per la prima volta nella storia della ricerca, ha permesso la creazione di un inventario transnazionale».

Il mito del popolo delle palafitte

In Svizzera i primi insediamenti lacustri risalgono al 4300 avanti Cristo. Alcuni sono tuttora nascosti sui fondali dei laghi, mentre altri sono stati scoperti in aperta campagna, dove le acque si erano ritirate, o perfino nei centri urbani.

Le prime ipotesi parlavano di villaggi costruiti su delle palafitte poste al di sopra dell’acqua e collegate tra di loro da ponti e passerelle. Il “popolo delle palafitte” divenne presto un mito e affascinò non solo gli studiosi, ma anche artisti e politici, che lo trasformarono nel simbolo romantico di una giovane Confederazione alla ricerca di un’identità.

Negli ultimi decenni però, grazie alle moderne tecniche di analisi scientifica, si è scoperto che questi popoli vivevano in realtà sulla terra ferma, generalmente in zone paludose, per recuperare prezioso terreno agricolo. «Le palafitte servivano a proteggere le abitazioni dalle repentine variazioni del livello delle acque, spiega Christian Harb, e a garantire a queste popolazioni nomadi una certa stabilità».

Una storia da riscrivere

Al di là del valore scientifico dei ritrovamenti organici, la scoperta di Meilen viene tuttora considerata come una rivoluzione per l’archeologia europea, sottolinea Christian Harb, perché rappresenta il punto di partenza per le ricerche sulla preistoria. «Gli archeologi non devono più accontentarsi di simboli di morte – come tombe o armi – ma hanno tra le mani oggetti che raccontano le abitudini di vita di questi popoli, le loro tradizioni agricole e il loro rapporto con gli animali».

«In nessun altro luogo d’Europa, l’evoluzione del processo di civilizzazione, delle tecnologie, dell’economia e dell’ambiente può essere seguito con tanta precisione e coinvolge così tanti ricercatori di diversi paesi», prosegue Harb. «E proprio per questo i 156 siti meritano di essere iscritti nella lista del Patrimonio dell’Unesco».

E come se non bastasse, è grazie a questi ritrovamenti che la Svizzera ha elaborato una nuova coscienza storica, facendo coincidere le sue origini non più con la nascita dell’Impero romano ma con l’evoluzione di questi popoli lacustri.

Un patrimonio a rischio

Così come altri beni culturali e naturali che hanno superato indenni i segni del tempo, anche questi insediamenti si trovano oggi confrontati alle minacce legate alla crescente urbanizzazione e ai cambiamenti climatici. A lanciare l’allarme è lo stesso presidente dell’associazione “Palafitte” Claude Frey: «Lo sviluppo edilizio, il traffico nautico, le bonifiche e l’abbassamento del livello dei laghi rischiano di distruggere i resti di questi villaggi millenari e soltanto una presa di coscienza collettiva può evitare il peggio».

L’iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale rientra proprio in quest’ottica, spiega Anne Weibel, portavoce dell’Ufficio federale della cultura. «Il marchio Unesco permetterebbe non solo di tutelare questi siti archeologici, ma anche di aumentarne la visibilità e di sensibilizzare meglio la popolazione sull’importanza di conoscere e salvaguardare questa eredità collettiva».

Contrariamente ai castelli di Bellinzona o all’abbazia di San Gallo, gli insediamenti dei popoli lacustri non rappresentano certo un’attrazione turistica e il loro interesse resta spesso confinato a storici e ricercatori. Qualche iniziativa però è già stata lanciata negli ultimi anni per far conoscere meglio questo universo subacqueo. Nel 2004 una ventina di musei, tra cui quello nazionale, hanno organizzato una serie di esposizioni sul mito del popolo lacustre. Inoltre a Lucerna come a Neuchâtel le ricostruzioni dei villaggi permettono al pubblico di immergersi in questo mondo magico e di sperimentare – anche se solo per qualche minuto – una vita tra le palafitte.

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Le Corbusier, un’architettura a misura d’uomo

La candidatura dei siti lacustri sarà esaminata dal comitato dell’Unesco nell’estate del 2010 assieme a quella relativa alle opere architettoniche e urbane di Le Corbusier. Sostenuto congiuntamente da Argentina, Belgio, Germania, Giappone e Svizzera sotto l’egida della Francia, il dossier sarà rielaborato per rispondere alle esigenze del comitato dell’Unesco, che a giugno ne aveva decretata la posticipazione.

L’attuale candidatura comprende 22 immobili, di cui quattro in Svizzera, che testimoniano non solo la creatività e la versatilità di questo genio franco-svizzero, ma soprattutto l’evoluzione della principale corrente architettonica del XX secolo, il modernismo.

Nato e cresciuto a La Chaux-de-Fonds, Le Corbusier credeva fermamente che attraverso una nuova architettura e un nuovo urbanismo si potesse cambiare profondamente la società. Così, ognuno a modo suo, i suoi progetti cercano di rispondere ai bisogni dell’uomo perché secondo la sua concezione «solo l’utente ha la parola».

Stefania Summermatter, swissinfo.ch

Coordinato dalla Svizzera, il dossier comprende 156 siti in sei paesi alpini.

La Svizzera ne conta 82 in 15 cantoni, Germania e Italia 25, Francia 15, Austria 8 e Slovenia 1.

La candidatura sarà trasmessa entro fine anno al Comitato dell’Unesco e, con ogni probabilità, la decisione sarà resa nota nell’estate del 2011.

Inoltrato nel 2008, il dossier è coordinato dalla Francia con la collaborazione di Argentina, Belgio, Germania, Giappone e Svizzera.

La candidatura comprende 22 immobili, suddivisi in sette categorie, che testimoniano la creatività e la versatilità dell’architetto franco-svizzero.

Quattro di queste opere si trovano in Svizzera: la Ville Jeanneret-Perret (Casa Bianca) e Schwob (Villa turca) a La Chaux-de-Fonds, la “piccola casa” in riva al Lemano e la Casa Clarté a Ginevra.

Il Comitato del patrimonio mondiale, su consiglio dell’ICOMOS, ha deciso nell’estate del 2009 a Siviglia di rinviare l’esame del dossier al 2010.

Il 27 ottobre 2008 la Svizzera ha presentato la sua candidatura a uno dei 21 seggi del Comitato del Patrimonio mondiale.

Questo organo definisce le politiche relative alla protezione dei beni naturali e culturali e sceglie i siti da iscrivere sulla lista.

Le elezioni avranno luogo nell’ottobre 2009 a Parigi.

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