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I musulmani svizzeri e il post 11 settembre

Preghiera durante la cena che interrompe il digiuno del Ramadan in una casa di Losanna. swissinfo.ch

A dieci anni di distanza dagli attacchi terroristici negli Stati Uniti, i seguaci dell'Islam continuano a subire il peso di discriminazione e diffidenza. Una situazione che alcuni musulmani in Svizzera stanno tentando di cambiare.

«La prima reazione è stata di dirmi che i musulmani non possono compiere qualcosa di così terribile», ci dice Nezhda Drissi. Come la maggior parte delle persone che hanno assistito in televisione agli eventi di dieci anni fa, la marocchina da 20 anni in Svizzera ricorda molto bene le sensazioni vissute l’11 settembre 2001.

Ad essere rimasto impresso nella mente dell’attivista tunisino per i diritti umani Larbi Guesmi, il quale conduce le preghiere alla moschea di Neuchâtel, è stato lo shock provato di fronte alla dimensione degli attacchi. E il timore per le probabili conseguenze.

Guesmi non concorda affatto con le motivazioni di Al Qaeda, secondo cui gli attacchi sono stati la conseguenza dell’atteggiamento degli Stati Uniti. «Ci sono effettivamente numerosi esempi di aggressioni e umiliazioni subite dai musulmani da parte degli Stati Uniti. Ma gli attentati dell’11 settembre non giovano per nulla alla causa dei musulmani».

«Hanno solo permesso alle dittature di controllare la propria gente con la scusa della “guerra al terrorismo”. Un modo di fare tutt’ora presente».

Sospetto e diffidenza

«Ancora oggi – prosegue Guesmi – sentiamo il peso degli sguardi carichi di odio e del desiderio di vendicarsi su di noi».

Drissi, che ritiene di non avere un’apparenza esotica, non ha mai provato questo sentimento di ostilità. Negli Stati Uniti le è però spesso capitato, dopo aver mostrato il nome sul passaporto e i numerosi visti per i paesi arabi, di essere sottoposta a svariate domande.

«Dopo un po’ non ci fai più caso, anche se non perdi per questo la tua dignità. Non è un difetto essere musulmani», afferma.

Essere musulmano

Elham Manea, esperta di scienze politiche dal doppio passaporto svizzero-yemenita, sottolinea come l’11 settembre abbia ristretto la percezione nei suoi confronti. La gente si focalizza sul suo essere musulmana, ponendo così in secondo piano gli altri aspetti della sua identità.

Una constatazione vissuta con rammarico, che ha però almeno un risvolto positivo: i media di un certo livello, osserva, hanno iniziato a parlare di cosa significhi essere musulmano. «Purtroppo i partiti di destra hanno approfittato della situazione per politicizzare la questione e conquistare nuovi elettori».

Drissi ha così deciso di agire in senso inverso, facendo un passo verso i non musulmani. Una sera, durante la celebrazione del Ramadan, ha aperto le porte di casa sua a tutti coloro che desideravano partecipare all’Iftar, la cena che interrompe il digiuno.

«Noi musulmani dobbiamo essere proattivi. Non agisco contro qualcosa, ma per qualcosa. In particolare per il dialogo religioso, interculturale, e per trovare ciò che ci unisce, ciò che ci rende più forti», spiega.

Per la maggior parte degli ospiti che si sono aggiunti alla sua tavola, l’Islam non costituisce affatto un problema. Alcuni, tuttavia, hanno reagito ambiguamente. «Mi ha chiamato un membro dell’Unione democratica di centro [destra conservatrice, ndr], ciò che mi ha fatto molto piacere. Una volta in casa mi ha posto diverse domande, molte delle quali basate sulla paura».

«È stato molto felice della serata e ha lasciato un bel commento sul libro degli ospiti. Credo però che le sue convinzioni siano più forti di ciò che ha potuto constatare qui».

Capri espiatori

Guesmi è meno intraprendente di Drissi. Ma anche per il tunisino l’ostilità nei confronti dell’Islam affonda le sue radici nella paura. «Prego per quelle persone che manifestano odio e sentimenti razzisti, prigioniere dei propri pregiudizi. Le compatisco e suggerisco loro di farsi curare».

Questa paura è pericolosa per la società, aggiunge. «Tutti devono agire perché altrimenti tutti ne usciremo perdenti».

Manea e Drissi condividono la stessa convinzione: nessuno vuole essere vittima di questa situazione e servire da capro espiatorio. Molti musulmani, ovvero la maggioranza silenziosa, sopportano l’ostilità in attesa di tempi migliori, annota Drissi. «Certo, sei spinto ad agire in questo modo dal momento che hai la tua vita, le tue cose. Ma è sbagliato. Hai le tue responsabilità, i tuoi figli: quale futuro vuoi offrire loro?».

«Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità ed essere parte della società», le fa eco Manea. «Non basta sedersi e lamentarsi. Bisogna reagire».

I capri espiatori sono sempre esistiti, in qualsiasi società, compresa quella musulmana, riconosce. Nella storia della Svizzera sono diverse le comunità di migranti ad essere state prese di mira. Lo stesso vale per le religioni: ad aver subito discriminazioni non sono stati soltanto gli ebrei, ma pure i cattolici.

Sviluppi positivi

Attiva in seno a gruppi di musulmani progressisti, Manea intravvede comunque alcuni sviluppi positivi dopo l’11 settembre. «Diversi musulmani si sono fatti avanti e hanno iniziato a esprimersi su temi delicati: ad esempio sul fondamentalismo islamico e sul fatto che bisogna reagire di fronte alle frange che predicano l’odio e la violenza».

Ad interessare i numerosi musulmani che fanno appello ai consigli di Manea non è tanto il sentimento di discriminazione, quanto l’alienazione che provano all’interno della loro stessa comunità. Una condizione che non dipende dai precetti religiosi, bensì dalla struttura patriarcale e dalle tradizioni.

Per Manea si tratta di un normale sviluppo intergenerazionale. I giovani musulmani, ritiene, troveranno il loro modo di praticare la religione e le tradizioni, conformemente alla loro identità svizzera.

In Svizzera risiedono fra i350mila e i 400mila musulmani di oltre cento nazionalità diverse.

Circa il 12% ha la cittadinanza svizzera.

Il loro numero è cresciuto molto negli ultimi decenni. La loro quota nella popolazione svizzera è salita dal 2,2% nel 1990 al 4,3% nel 2000, anno dell’ultimo censimento federale di cui sono stati pubblicati i risultati.

Attualmente la loro proporzione è stimata a circa il 4,5% della popolazione svizzera.

La maggior parte dei musulmani che vive nella Confederazione proviene dall’ex Jugoslavia (56%) e dalla Turchia (20%). Risiedono in prevalenza nella Svizzera tedesca.

Quattro voli commerciali sono dirottati per colpire obiettivi civili e militari sul territorio degli Stati Uniti.

Due aerei si schiantano sulle Torri Gemelle del World Trade Center di New York, uno va a colpire il Pentagono (Virginia).

Il quarto velivolo, apparentemente diretto contro il Campidoglio o la Casa Bianca, si schianta in un campo della Pennsylvania dopo il tentativo di passeggeri ed equipaggio di opporsi ai dirottatori.

Nel più grave attacco terroristico su suolo statunitense muoiono quasi 3’000 persone di 70 nazionalità.

I sospetti cadono rapidamente sulla rete terroristica Al Qaeda, che poco dopo rivendica gli attentati. L’operazione, comunicano gli estremisti islamici, è la risposta alla presenza di truppe americane in Arabia saudita (sede della Mecca, il sito più sacro dell’Islam), al supporto degli Stati Uniti a Israele e alle sanzioni contro l’Iraq.

L’allora presidente americano George W. Bush reagisce lanciando la cosiddetta “guerra al terrorismo”. Scopo dichiarato: annientare Al Qaeda e tutte le organizzazioni estremiste islamiche.

Traduzione di Luigi Jorio

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