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Hitler da ridere, ed è controversia

Helge Schneider nel ruolo di Hitler (Eos Entertainment) Helge Schneider as Hitler (Eos Entertainment)

A gettare uno sguardo ironico sul Führer ci aveva già pensato Chaplin ne «Il grande dittatore». Ora è il turno del regista svizzero Dani Levy. La sua è la prima commedia su Adolf Hitler girata in Germania.

Levy sa che dovrà fare i conti con molte critiche. Da un sondaggio risulta che solo un terzo dei tedeschi trova buona l’idea del film.

La «verità veramente più vera su Hitler», questo promette l’ultimo film di Daniel Levy, regista ebreo nato a Basilea.

Con «Mein Führer: die wirklich wahrste Wahrheit über Adolf Hitler», Levy si muove su un terreno tabù fino a pochi anni fa e mostra un Hitler depresso, impotente e incontinente. Un Hitler che si droga, che gioca a battaglia navale nella vasca da bagno, che infila il suo cane in un’uniforme nazista e che si fa portare un ebreo da un campo di concentramento per prendere lezioni di recitazione.

Fare una commedia sugli orrori del nazismo aveva portato qualche critica anche a Roberto Benigni per «La vita è bella». Ma se Benigni aveva scelto la prospettiva della vittima, mettendo in scena una satira su Hitler, Dani Levy si spinge più in là. Anche se – si legge nelle prime recensioni – forse non abbastanza, quasi si fosse spaventato della sua stessa audacia.

In effetti, il regista 49enne, che oggi vive a Berlino dove è stata girata la pellicola, sa di essersi messo «in un edificio di vetro che sta sopra un’immensa fossa comune», un edificio fragile, che potrebbe andare in frantumi.

Approccio diverso

Il film di Levy arriva a poco più di due anni di distanza da un’altra discussa pellicola tedesca, «La caduta» (Der Untergang, 2004). Nominato per l’oscar ed interpretato dallo svizzero Bruno Ganz, il film era incentrato sugli ultimi giorni di vita di Hitler di cui tracciava un ritratto intimista e umano. Proprio questa umanizzazione del mostro aveva suscitato molte controversie.

Per Levy, «La caduta» e altri recenti film sul periodo del nazionalsocialismo hanno la tendenza ad illustrare il regime nazista in modo troppo realistico con il risultato di mettere Hitler su un piedistallo. La sua, per contro, vuole essere un’opera «piccola, veloce, impertinente e politicamente scorretta».

«Non volevo concedere l’onore di un ritratto realistico ad un rottame cinico e psicopatico», racconta Levy. «Avevo la sensazione che il tema andasse affrontato in modo diverso, con gli strumenti della commedia», quegli strumenti che permettono di prendere un particolare e d’ingigantirlo arrivando alla parodia e alla satira.

Farsa

L’azione di «Mein Führer» prende il via nel dicembre del 1944. Berlino è un ammasso di macerie e Hitler è troppo depresso per parlare alla popolazione. Per tentare di risolvere la situazione, Goebbels – il ministro della propaganda – ha l’idea di ripescare da un campo di concentramento Adolf Grünbaum, un attore ebreo che aveva già dato lezioni a Hitler all’inizio della sua carriera.

Grünbaum – il personaggio è frutto della fantasia – vorrebbe uccidere Hitler, ma non ci riesce. Sfrutta allora il suo ruolo d’insegnante per costringere il Führer ad esercizi umilianti, come l’interpretare un cane mettendosi a quattro zampe e abbaiando.

Una sceneggiatura del genere – afferma Paul Nolte, professore di storia contemporanea alla Libera università di Berlino – sarebbe stata impensabile dieci anni fa. Ora, con l’inesorabile scomparsa della generazione che ha vissuto il periodo del nazionalsocialismo – più dell’80% dei tedeschi è nato dopo il 1941 – il paese sta cominciando a guardare con più distacco al suo passato.

Ripensamenti

Tuttavia, un recente sondaggio ha rivelato che solo il 35% dei tedeschi giudica buona l’idea che sta alla base del film di Dani Levy. Nell’ex Germania dell’est, la percentuale scende addirittura al 22%.

Dal canto suo, Levy spiega che ha sentito il bisogno di fare questo film per gridare al mondo una domanda che lo tormenta da tempo: come è stato possibile che i tedeschi seguissero Hitler?

L’urlo di Levy però – dicono alcuni commentatori – potrebbe nascondere il rischio di una trivializzazione dell’era nazista. «C’è qualcosa di liberatorio nella capacità di vedere i lati ridicoli di Hitler, perché effettivamente è un uomo ridicolo» dice Ralf Fücks della Fondazione Heinrich Böll. «Ma non bisogna dimenticare che è un uomo ridicolo che ha scatenato una guerra mondiale e che si è macchiato del genocidio di sei milioni di ebrei».

Il pubblico al quale è stato mostrato il film in corso di lavorazione non l’ha dimenticato e si è sentito offeso dall’idea originale di Levy che assegnava a Hitler – mai morto – il compito di raccontare la sua storia. Nella versione finale, l’io narrante è affidato al personaggio dell’attore ebreo Adolf Grünbaum. Una scelta che per taluni fa del film più una tragedia che una tragicommedia.

Anche l’attore che interpreta Hitler, il comico e musicista tedesco Helge Schneider, si è distanziato dalla versione finale che giudica «piuttosto piatta».

swissinfo, Thomas Stephens
(traduzione e adattamento, Doris Lucini)

Dani Levy è nato a Basilea il 17 novembre 1957.
È attore e regista cinematografico e teatrale.
Il suo film di maggior successo è la commedia «Alles auf Zucker» (Zucker!… come diventare ebreo in sette giorni, 2004) che racconta la storia di due fratelli – uno ebreo ortodosso e l’altro non praticante – costretti a riconcialiarsi per ottenere l’eredità della madre.
«Mein Führer» è arrivato nelle sale tedesche l’11 gennaio; in Svizzera, il film sarà proiettato a partire dal 18 gennaio.

Tra i film che tematizzano il personaggio di Hitler vanno ricordati:

– The Great Dictator (Il grande dittatore, 1940) di Charlie Chaplin
– To Be or not To Be (Vogliamo vivere, 1942) di Ernst Lubitsch
– The Producers (Per favore non toccate le vecchiette, 1968) di Mel Brooks
– Der Untergang (La caduta, 2004) di Oliver Hirschbiegel.

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