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Hannah Villiger: fotografie che catturano l’eternità in attimo

Uno dei pezzi più impressionanti della mostra basilese Keystone

A quattro anni dalla scomparsa prematura a soli 45 anni dell'artista, una delle più affermate della sua generazione (rappresentò la Svizzera alla 22.ma Biennale Internazionale di San Paolo con Pippilotti Rist) la Kunsthalle di Basilea mostra una sessantina di opere fotografiche in un'esposizione realizzata da Eric Hattan.

Un’esposizione che ripercorre le maggiori tappe dello sviluppo artistico della scultrice che ha usato la macchina fotografica come medium. Dalle stampe in bianco e nero ai grandi blocchi di polaroid montati su cartone, in cui il suo corpo si fa sempre più astratto fino a sparire per lasciare alla fine solo i vestiti, tracce di colore quasi accecante.

“Uso tutti i metodi che conosco per annullare lo spazio, nella maniera in cui lo percepiamo, e le leggi di gravità. Il mio obiettivo non è la rappresentazione del soggetto dato, bensì la creazione di un oggetto autonomo. Per raggiungere il mio scopo impiego la pittura, la scultura, la performance, e la fotografia”.

Linguaggio del corpo

In questo articolo di Hannah Villiger pubblicato nel 1986, che appare tra i vari testi del ricco catalogo della mostra, l’artista spiega la natura del proprio lavoro. È interessante notare che tra i vari linguaggi e medium cita la fotografia per ultima. Eppure Hannah Villiger, scultrice di formazione, ha usato negli ultimi 20 anni della sua breve vita solo la Polaroid, ha prodotto solo fotografie. Alla Kunsthalle di Basilea non ci sono oggetti tridimensionali e neppure tele dipinte. Nessun monitor che presenti un video dell’artista durante una performance. Perché dunque Hannah Villiger parla di performance?

Hannah Villiger impugnava la Polaroid e la puntava contro di sé, a volte senza nemmeno guardare, come un occhio tentacolare appeso al suo braccio che esplori il proprio corpo come una sonda la superficie di un pianeta. Doveva per forza contorcersi in strane posizioni per arrivare a comporre i suoi lavori. Noi non vediamo naturalmente quella performance segreta, nessuna l’ha mai fotografata mentre lei fotografava parti di se stessa. Il pubblico vede solo il risultato finale, un autoritratto in cui non c’è però nulla di narcisistico e che in realtà rivela molto poco dell’autrice degli scatti.

I dettagli sono ravvicinati, la macchina quasi entra nel corpo e annulla le proporzioni. Gambe, piedi, mani fluttuano come nel vuoto. A volte l’artista usa dei piccoli specchi che raddoppiano i particolari ravvicinati rendendo il corpo ancora più astratto.

“Carne e sangue”

Dal punto di vista della storia dell’arte, Hannah Villiger, come si legge nel saggio di Claudia Spinelli “Necessità esistenziale”, appartiene ad una generazione che partendo dal minimalismo e post-minimalismo è riuscita a ridar vita all’astrattismo concettuale, infondendolo letteralmente di “carne e sangue” e riuscendo di conseguenza a dargli una nuova dimensione. Inoltre, nei suoi “autoritratti”, in cui si fatica a capire a volte se si tratta di un corpo di donna o di uomo, Hannah Villiger scavalca la contrapposizione dei generi, maschile-femminile. (Il corpo della donna è forse il tema più sfruttato nell’arte di tutti i tempi). Questo è un altro motivo della fama nazionale ed internazionale di Hannah Villiger: il suo contributo all’autocoscienza femminile nel mondo dell’arte.

Negli anni ’70, Hannah Villiger produce foto in bianco e nero, una serie che esplora il tema del movimento nello spazio. Foglie di palme che prendono inspiegabilmente fuoco a mezz’aria, bocce che volano sul terreno di gioco e cadendo sollevano la polvere. Queste immagini, che il visitatore vede nelle prime sale della Kunsthalle, hanno un dinamismo e una spontaneità molto marcati.

All’inizio degli anni ’80 l’artista comincia ad usare la Polaroid per esplorare il proprio corpo, in un dialogo solitario con se stessa. Parallelamente a queste immagini del proprio corpo, fotografa il cortile e il paesaggio di tetti che vede dalla finestra degli appartamenti in cui soggiorna e lavora, a Basilea e a Parigi. È come se ci dicesse: Hannah Villiger vive in quell’appartamento e non in un altro. Hannah Villiger vive in quel corpo e non in un altro. L’intimità e l’unicità dello sguardo rivolto al proprio corpo, diventa l’intimità del proprio punto vista (dal proprio appartamento) sul mondo esterno.

Omaggi all’opera

In concomitanza con la mostra, un ritratto televisivo della regista Edith Jud sarà presentato nella trasmissione Sternstunde, in onda sulla televisione svizzero tedesca domenica 26 agosto alle 12.00. Alcuni film sull’opera di Hannah Villiger (girati da lei stessa con la cinepresa del regista, tanto era la paura di esporsi ad altri fotografi) verranno presentati il 3 ottobre alle 20.30 allo Stadtkino di Basilea. Inoltre l’artista Silvia Buol dedicherà una performance alla mostra di Hannah Villiger il 17 ottobre.

Il catalogo della mostra, pubblicato da Scalo Verlag Zürich è in inglese e tedesco ed è stato curato splendidamente da Jolanda Bucher e Eric Hattan. Contiene circa 150 riproduzioni a colori e in bianco e nero ed un catalogo completo delle opere di Hannah Villiger. Dopo Basilea, la mostra viaggerà nel 2002 in Germania, a Bonn e in Francia, a Grenoble.

Raffaella Rossello, Basilea

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