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L’avvenire incerto di una OMC disarmata

arrestations à Seattle
Seattle, dei manifestanti arrestati e trasportati in bus rifiutano di scendere. È il primo dicembre del 1999, primo giorno della Conferenza ministeriale dell'OMC. L'apertura del vertice, prevista alla vigilia, non ha potuto svolgersi. I manifestanti, formando delle catene umane, sono infatti riusciti a bloccare l'accesso del centro congressi e degli alberghi dove i partecipanti al summit erano ospitati. Keystone / Alan Berner

Privato dei giudici a causa delle pressioni statunitensi, l’organo di appello dell’Organizzazione mondiale del commercio è disattivato. È la crisi più grande mai vissuta dalla più potente organizzazione internazionale con sede a Ginevra, regolarmente criticata fin dai suoi albori. 

Creata nel 1995, l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) ha perso questa settimana il suo strumento più potente. Il tribunale che regolava le dispute commerciali tra economie nazionali (l’organo di conciliazione o Dispute Settlement BodyCollegamento esterno, DSB) non può più contare sull’organo di appello (Appellate BodyCollegamento esterno) che gli permetteva di risolvere una divergenza commerciale con una decisione giuridicamente vincolante. 

Ex direttore generale dell’organizzazione, il francese Pascal Lamy sottolinea il carattere eccezionale del DSB. “È stata la prima volta che gli Stati hanno deciso di passare il Rubicone del sovranazionalisimo” accettando che la risoluzione delle controversie non fosse più sotto il loro controllo, dichiara al quotidiano Le MondeCollegamento esterno.

Un’audacia percepita con diffidenza dagli Stati Uniti fin dal 2001, indipendentemente che la presidenza fosse democratica o repubblicana. Dopo l’elezione di Donald Trump, Washington è passata alla marcia superiore bloccando sistematicamente la sostituzione dei giudici arrivati alla fine del mandato. Da questa settimana, non resta che una giudice sui sette previsti per far parte dell’organo di appello. E ne servono almeno tre affinché possa funzionare legalmente.

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Il ritorno della legge del più forte? 

“Questo blocco dell’organo di appello potrebbe tradursi in altre guerre commerciali, oltre a quella in corso tra Washington e Pechino”, teme il professore Joost PauwelynCollegamento esterno del Graduate Institute di Ginevra, pensando in particolare alla cinquantina di denunce ancora pendenti depositate presso l’organo di conciliazione, o ancora alle recenti tensioni commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea.

Per evitare tali problemi, l’UE e Paesi come la Cina stanno considerando la possibilità di istituire un sistema di arbitrato alternativo. Quanto alla SvizzeraCollegamento esterno, si mobilita con altri 59 Paesi “sviluppati e in via di sviluppo” per assicurare “il successo” della 12esima conferenza dell’OMC prevista nel giugno del 2020 ad Astana. 

“Rimango ottimista”, aggiunge comunque Pauwelyn. “Gli Stati Uniti hanno preso in ostaggio i membri dell’OMC che vogliono un organo d’appello in funzione. Washington dispone di una potente leva sui negoziati che usa per ottenere concessioni. Ma il peso economico degli USA è minore rispetto agli anni ‘90. È anche nell’interesse di Washington avere un sistema che permetta di trovare accordi con la Cina, l’UE o l’India”. 

La disfatta di Seattle

La crisi che sta attraversando l’OMC è profonda, forse esistenziale, ma non è la prima. Vent’anni fa, la giovane OMC è stata contestata in modo radicale da una società civile globale in pieno sviluppo. Questo nel nome dell’ambiente, della socialità e dei Paesi del Sud che la liberalizzazione dei mercati orchestrata e regolata dall’OMC avrebbe sacrificato all’altare del libero scambio e delle multinazionali. 

Culmine delle contestazioni è stata la conferenza ministeriale dell’Organizzazione, organizzata a Seattle alla fine di novembre del 1999 e che ha fallito nel lanciare l’ambizioso ciclo di negoziati chiamato “Millennium Round”.

È stato il primo serio fallimento di questa organizzazione internazionale (senza legami organici con l’ONU) che conta oggi 164 membri. L’OMC non è più riuscita a lanciare un esteso programma di liberalizzazione dei mercati.

“Ci vuole spesso una crisi profonda per fare riforme profonde”
Joost Pauwelyn, Graduate Institute di Ginevra

La fine del libero scambio senza ostacoli

Da allora si sono moltiplicati gli accordi di libero scambio tra Stati o gruppi di Stati. Questi patti devono prendere in considerazione sempre di più le questioni sociali e ambientali, come testimonia l’accordo rinnovato tra Stati Uniti, Canada e Messico voluto da Trump e applaudito anche dai democratici in seguito alla migliore tutela dei lavoratori che contiene, se confrontato con l’intesa del 1994.

Un altro esempio sono gli accordi di libero scambio tra i Paesi latinoamericani del Mercosur e l’UE da una parte, e la Svizzera (tramite l’AELS) dall’altra. Gli ostacoli da superare affinché i parlamenti possano ratificare tali intese mostrano anche che le critiche mosse nel secolo scorso dagli altermondisti sono prese in considerazione o perlomeno meno facili da ignorare, anche in seno all’OMC e ai suoi 164 membri.

Ma pure 20 anni fa l’OMC era incline a considerazioni ecologiche e sociali, come testimonia il discorso del presidente americano Bill ClintonCollegamento esterno pronunciato a Ginevra davanti all’organizzazione nel 1998, in vista della conferenza di Seattle: “Dobbiamo costruire un sistema commerciale per il XXI secolo che rispetti i nostri valori mentre espande le opportunità. Dobbiamo fare di più affinché questa nuova economia incrementi la qualità della vita ovunque nel mondo e la vivace concorrenza tra i Paesi non diventi mai una corsa verso il basso nell’ambito della protezione dell’ambiente, dei consumatori e dei lavoratori”.

Ma queste belle intenzioni avevano poche chances di tradursi in fatti concreti. Mettere d’accordo l’insieme degli Stati membri (134 nel luglio del 1999) era già allora un’ardua sfida.

Una crisi salutare? 

Oggi, la prospettiva è radicalmente cambiata con la crescita in potenza di Paesi come la Cina o l’India (che hanno tratto molti benefici dalla loro entrata nell’OMC) e il calo di regime dei Paesi occidentali. 

Da qui l’impellente necessità di riformare il vigile del commercio mondiale affinché resti un attore chiave del sistema multilaterale sviluppato dal 1945. Ottenendo, tra le altre cose, che Paesi come la Cina (seconda economia del pianeta) rinuncino al loro statuto di paese in via di sviluppo. 

“Ci vuole spesso una crisi profonda per fare riforme profonde”, sottolinea Pauwelyn. Non resta che sperare che questa crisi non diventi abissale.  

Traduzione dal francese, Zeno Zoccatelli

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