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L’epopea del contrabbando

Guardie e ladri sul confine

Per molte persone che vivevano nella zona di confine, il contrabbando è stato un modo per arrotondare dei magri stipendi. Ma su questa attività si sono costruite anche fortune. Le storie di alcuni contrabbandieri.

Nel dicembre del 1968 alcuni militari del nucleo di polizia tributaria di Varese fermarono presso l’Ospedale di Luino un’ambulanza. Non stava trasportando un malato, ma un carico di sigarette di contrabbando di provenienza svizzera. L’autista del mezzo, raccontano le cronache del tempo, alternava la guida del veicolo sanitario all’attività illegale che fino all’arresto aveva reso molto bene, visto che a lui era intestata anche un’automobile Porsche.

Questo è solo uno dei tanti episodi coloriti riportati sui quotidiani di quell’epoca entrata nella storia come la “tratta delle bionde”, un periodo che si estende dalla fine della Seconda guerra mondiale alla metà degli anni ’70.

Rivisti oggi molti episodi di allora rievocano un mondo di altri tempi, una guerra a guardie e ladri che vedeva da una parte gli “sfrusaduu”, i contrabbandieri, e dall’altra i finanzieri, che in gergo venivano chiamati “burlanda” o “burlandòtt”. Il termine era chiaramente di accezione spregiativa: indicava una minestra insipida e, per estensione, un uomo senza sostanza e senza personalità.

In questi anni non mancarono ovviamente episodi criminali gravi, ma l’attività di contrabbando era esercitata a vario titolo da ampie fasce della popolazione di confine in modo innocuo. Erano molto diverse le motivazioni che spingevano le persone a dedicarsi al contrabbando. Per alcuni era effettivamente solo il modo per arrotondare i magri stipendi dell’epoca o per avere una modesta fonte di sostentamento, per altri, parte di traffici più imponenti e strutturati, erano in realtà fonte di arricchimento e la base di fortune considerevoli ancorché di origine illecita.

Il simbolo per eccellenza del contrabbando erano le bricolle, i sacchi di juta rinforzati con cartone, che venivano riempiti di merce, caricati sulle spalle e trasportati oltre il confine. Negli anni ’60 il trasporto di una bricolla di sigarette poteva portare a un ricavo fino a 15’000 lire; nelle zone di maggiore traffico alcuni contrabbandieri potevano fare più viaggi al giorno. I più attivi potevano arrivare a guadagnare fino a 400 – 500’000 lire al mese, in un’epoca in cui lo stipendio di un operaio specializzato era intorno alle 60’000 lire. Guadagni anche più elevati spettavano agli autisti che trasportavano poi le sigarette nelle città dove venivano smerciate. Ma, complessivamente, il fenomeno non suscitava particolari sentimenti di riprovazione sociale. Anzi, si compenetrava con convivenza civile. Scriveva così nel novembre del 1962 il giornale “L’Ordine”, stampato in una delle province italiane sul confine: «La nostra è una vallata dove il contrabbandiere è di casa. Lo spallone, il contrabbandiere non è un fuorilegge».


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