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Gruyère, il formaggio senza buchi prodotto negli Stati Uniti

Un casaro con una forma di Gruyère tra le braccia.
Il Gruyère non sarà più un prodotto solamente svizzero. © Keystone / Jean-christophe Bott

C’è Gruyère e gruyère. E ora questa frase è ancora più vera. Una Corte statunitense ha deciso che il famoso formaggio a pasta dura elvetico potrà essere prodotto anche Oltreoceano. La DOP, che protegge gli alimenti provenienti da un preciso territorio, negli USA non ha nessuna rilevanza.

C’è un’incomprensione di fondo legato a uno dei più famosi formaggi svizzeri: il Gruyère. Non si sa né come né quando ma nella versione italiana è diventato il groviera che a sua volta indica in verità un altro formaggio svizzero altrettanto famoso, quello pieno di buchi: l’Emmental. Da qui il detto “bucato come un groviera” che, come capirete, è davvero fuorviante.

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Il Gruyère, amatissimo formaggio a pasta dura conosciuto dai buongustai di tutto il mondo, viene prodotto da secoli – la prima documentazione risale al 1115 – nei caseifici di tutta la regione attorno al comune di Gruyères, nel Canton Friburgo, seguendo la ricetta tradizionale.

Dal luglio 2001 l’Unione europea ha riconosciuto al Gruyère la denominazione di origine controllata, ovvero ‘DOP’ o in francese ‘AOC’. Un marchio che viene attribuito dall’Ue agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti. Nel nostro caso, il formaggio viene prodotto nel distretto di Gruyère e nelle zone limitrofe.

Per una forma di Gruyère di 35 kg occorrono circa 400 litri di latte crudo fresco. Le mucche che producono questa preziosa materia prima si nutrono d’estate dell’erba dei pascoli e di fieno durante la stagione invernale. L’uso di additivi è assolutamente vietato. Durante i numerosi mesi di stagionatura, le forme vengono periodicamente spazzolate, lavate con acqua salata e capovolte. L’umidità permette alle muffe di svilupparsi e queste favoriscono poi la maturazione del formaggio, dalla crosta verso l’interno. È questo processo che dà al Gruyère DOP il suo specialissimo sapore.

Non c’è ”DOP’ che tenga

Tutto perfetto. Produttori contenti, consumatori altrettanto. Qualità garantita e soprattutto controllata. La storia che vi raccontiamo per contro non è così lieta. Nonostante la protezione DOP, una corte statunitense ha deciso che anche negli Stati Uniti si potrà produrre il Gruyère.

La decisione è arrivata dopo una lunga battaglia legale. Nel 2013 l’Interprofessione del Gruyère era riuscita a registrare il nome “Gruyère” negli USA, che non riconoscono le DOP. La U.S. Dairy Export Council si era opposta, sostenendo che il termine “gruyère” poteva essere utilizzato indipendentemente dalla provenienza del formaggio.

Un tribunale dello Stato della Virginia le ha ora dato ragione: “gruyère” è inteso dal pubblico americano come termine generico che non si riferisce necessariamente a una zona geografica particolare. Ciò significa che formaggi prodotti negli Stati Uniti potranno essere venduti con il nome “gruyère”.

Considerato che il Gruyère è uno degli ingredienti fondamentali della fondue al formaggio, c’è da chiedersi se il piatto tipico elvetico diventerà anch’esso una specialità yankee.

Un problema che arriva da lontano

D’altra parte, interpellato già 10 anniCollegamento esterno fa su questo possibile pericolo, il governo federale aveva ammesso che gli USA avevano palesato una totale inflessibilità in materia di protezione delle Indicazioni geografiche (IG è il termine che ingloba le DOP e le IGP). D’altronde, gli americani difendono da anni questa posizione ostile nei confronti delle IG sulla scena internazionale, sia sul piano bilaterale che in seno all’OMC (Organizzazione mondiale del commercio).

Un danno, secondo gli svizzeri, che mina la reputazione del prodotto originale e il suo posizionamento sui mercati esteri. Ma è anche un danno economico. Nel 2021 è stato raggiunto un record di 4’000 tonnellate esportate negli Stati Uniti, su un totale di 32’000 tonnellate vendute all’estero. Per gli americani ciò rappresenta meno dell’1% del mercato, per i produttori elvetici rappresenta invece una cifra enorme. Oltre al danno pure la beffa.

Il pittoresco villaggio di Gruyères.
Il pittoresco villaggio di Gruyères, patria del formaggio omonimo. Keystone / Laurent Gillieron

Non è la prima volta

Ci viene in mente un altro caso finito, anch’esso davanti alla giustizia. Una disputa tra Svizzera e Francia o meglio, tra produttori di vino del comune elvetico di Champagne nel canton Vaud e il “Comité interprofessionnel des vins de Champagne”. La vertenza ruotava attorno all’utilizzo del termine ‘Champagne’. Nel 2004, all’entrata in vigore degli Accordi bilaterali tra Svizzera a Unione europea, i produttori svizzeri di Champagne, villaggio di poco meno di 1’000 abitanti, dovettero eliminare la parola ‘Champagne’ dalle etichette dei loro vini. Pena: la Francia avrebbe bloccato tutti gli accordi tra Ue e Svizzera. E c’è da credere che lo avrebbero fatto. Lo champagne è pur sempre una gloria nazionale transalpina.

Nonostante ciò, i produttori elvetici si rivolsero alla Corte europea di giustizia che dichiarò però irricevibile il ricorso dei 43 viticoltori elvetici. Come fece notare la Corte, lo Champagne francese è attestata sin dal Medio Evo e il nome Champagne compare nei documenti sin dall’anno 885.

Per gli americani il concetto di Medio Evo è difficile da digerire e il fatto che il Gruyère sia attestato dal 1115 con la sua tradizionale ricetta, poco importa. Dunque, attenti se andate negli USA, potreste mangiare un gruyère che non è il Gruyère svizzero. Magari però ci trovate qualche buco.

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