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Adozioni illegali, le autorità elvetiche sapevano

Neonato di etnia Tamil in Sri Lanka
Keystone / Kitsiri Wanasinghe

Ci sono state gravi irregolarità nelle adozioni effettuate tra gli anni Settanta e Novanta dallo Sri Lanka e le autorità federali e cantonali hanno contribuito a questo fenomeno tollerando colpevolmente pratiche illegali.

È il duro atto d’accusa che emerge dal rapporto ordinato dal Consiglio federale dopo le inequivocabili conclusioni della ricerca pubblicata in febbraio dalla Scuola universitaria professionale di scienze applicate di Zurigo (ZHAW) sulle procedure di adozione di piccoli srilankesi.

In conferenza stampa, lunedì a Berna, la responsabile del Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) Karin Keller-Sutter ha riconosciuto che Confederazione e Cantoni erano a conoscenza delle pratiche in gran parte illegali, ma nonostante ciò non hanno agito perché ognuna si è trincerata dietro i propri limiti di competenza.

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Oltre a riconoscere le colpevoli omissioni delle autorità il governo federale si impegna ora ad assicurare agli adottati in questione il sostegno nella ricerca della loro origini e a promuovere una verifica sulla prassi attuale in materia di adozioni internazionali, che nel frattempo però sono diminuite considerevolmente rispetto a una trentina di anni fa.

Qualora dovessero emergere criticità dagli approfondimenti del sistema attuale delle adozioni internazionali, il governo potrebbe proporre modifiche alla legge.

Come è stato accertato dagli studi già fatti, molti degli 881 adottati in Sri Lanka, con il contributo di intermediari senza scrupoli, tra il 1973 e il 1997 provenivano da “Baby farm”, vere e proprie fabbriche di neonati realizzate da organizzazioni criminali dove venivano coinvolti anche uomini bianchi al preciso scopo di far nascere bimbi con la pelle più chiara e le madri naturali venivano ricompensate con pochi dollari mentre i genitori svizzeri sborsavano cifre che andavano dai 5’000 ai 15’000 franchi.

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