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Gli orologi svizzeri tornano a volare

L'industria orologiera ha lasciato dietro di sé la crisi del 2009 Reuters

Il peggio sembra passato per l'industria orologiera elvetica, che dall'inizio dell'anno ha registrato un aumento delle esportazioni di quasi il 22%. Sull'arco di tutto il 2010, l'export dovrebbe avvicinarsi al record registrato nel 2008, ossia circa 17 miliardi di franchi.

Dopo un 2009 caratterizzato da un vistoso calo delle vendite, il settore orologiero svizzero può tornare a sorridere.

Il calo del 22,3% (-3,8 miliardi di franchi) delle esportazioni registrato lo scorso anno è ormai stato praticamente assorbito, stando a quanto emerge dalle cifre pubblicate martedì dalla Federazione orologiera svizzera (FH).

Nei primi 11 mesi del 2010, vi è infatti stata una crescita del 21,8%. Per il solo mese di novembre, le esportazioni hanno fatto segnare un balzo in avanti di quasi il 30%. Se la progressione si confermerà anche in dicembre, l’esercizio 2010 potrebbe in definitiva risultare il secondo migliore della storia, dopo il 2008. Il settore orologiero ha contribuito anche a spingere il commercio estero svizzero nel suo insieme: in novembre le esportazioni sono cresciute del 7,4% in termini reali rispetto all’anno precedente.

A far da traino è stato soprattutto il segmento degli orologi di valore superiore ai 3’000 franchi e il mercato dell’Estremo Oriente, Giappone escluso. A Hong Kong, ad esempio, il valore delle esportazioni ha raggiunto quasi tre miliardi di franchi, il 12,6% in più rispetto al 2008, mentre in Cina si è passati dai 773 milioni del 2008 a 966 milioni (+25,1%).

Strutture sane

Questa relativamente rapida ripresa non ha nulla a che vedere con la fortuna ed è da imputare soprattutto alle «strutture sane» del settore, sottolinea François Matile, segretario generale della Convenzione padronale dell’industria orologiera svizzera.

«Quando è arrivata la crisi, il settore orologiero usciva da un periodo di crescita continua iniziato nel 2001, periodo durante il quale ha assunto più di 10’000 persone ben formate, ha investito nei macchinari, negli stabilimenti, nella ricerca e sviluppo. Le strutture erano buone, l’unica cosa che mancava erano i clienti. Adesso che i clienti tornano non c’è bisogno di procedere a una ristrutturazione».

Inoltre il settore non si è fatto prendere dal panico quando le comande hanno subito un brusco arresto.

«Durante la fase di difficoltà, principalmente nel 2009, l’industria orologiera ha registrato un calo del giro d’affari di circa il 25%; gli impieghi sono invece diminuiti dell’8%, solo la metà dei quali sono stati dei licenziamenti». In altre parole, le aziende hanno conservato i loro dipendenti, attiggendo alle riserve e soprattutto facendo ricorso alla disoccupazione parziale. «Queste misure, sicuramente costose per l’economia, si sono rivelate però socialmente giuste e strategicamente paganti, poiché adesso che gli affari riprendono le ditte hanno a disposizione il personale necessario», sottolinea Matile.

Naturalmente vi sono ancora aziende che fanno fatica, in particolare le ditte subappaltatrici, poiché in generale «si constata un ritardo di sei mesi tra il momento in cui l’economia riparte e gli affari riprendono, raggiungendo la velocità di crociera», spiega il segretario generale della Convenzione padronale.

La schiarita si nota anche sul fronte dell’impiego: «Non posso dire in che misura, ma incontestabilmente vi è una ripresa, se mi baso sulle testimonianze che ricevo e le offerte di lavoro». Un’inchiesta apparsa martedì sul quotidiano romando Le Temps, fa stato di 700 posti di lavoro vacanti nell’arco giurassiano.

Forza del franco

Sulla ripresa pende però una spada di Damocle: la forza del franco, che ormai da due anni continua ad acquistare valore nei confronti dell’euro.

Per ora l’industria orologiera non sembra essere stata toccata, spiega François Matile, che però precisa: «Il settore consegna oggi dei pezzi comandati qualche mese fa; per ora non mi è però giunta eco di difficoltà causate dalla forza del franco».

Responsabile della politica economica estera per economiesuisse, Jan Atteslander ritiene da parte sua che la ripresa globale dell’economia, con un conseguente aumento dei redditi, ha compensato la forza del franco. «Inoltre l’orologio svizzero è sempre considerato un prodotto di qualità che dura tutta la vita».

Atteslander rileva però che la crescita è dovuta principalmente al mercato asiatico, in particolare Hong Kong, Singapore e Cina, mentre il mercato statunitense (10% delle parti di mercato per l’orologeria) è ancora convalescente.

Il rappresentante di economiesuisse ritiene che la progressione delle esportazioni orologiere dovrebbe proseguire anche il prossimo anno. Tuttavia, se l’euro continuerà a perdere colpi e il franco continuerà a rafforzarsi, la crescita dovrebbe rallentare: «Questa evoluzione tocca tutti i settori. Le esportazioni verso l’Asia dovrebbero aumentare in modo più marcato, mentre quelle verso l’Europa – dove finisce il 60% dei prodotti svizzeri [per l’orologeria la percentuale è del 40%] – la crescita si attenuerà».

L’industria orologiera svizzera rappresenta la terza industria d’esportazione elvetica, dopo le macchine e la chimica. È impiantata principalmente nei cantoni di Neuchâtel, Berna, Ginevra, Soletta, Giura e Vaud.

Il settore ha raggiunto l’apice alla fine degli anni ’60, con

circa 90’000 dipendenti impiegati in più di 1’500 imprese.

All’inizio degli anni ’70, l’industria orologiera ha conosciuto una profonda crisi, in concomitanza con l’arrivo degli orologi al quarzo dall’Asia.  

Nella metà degli anni ’80, le 500-600 imprese rimaste impiegavano circa 30’000 persone.   

Il rilancio è avvenuto in un primo tempo grazie alla produzione di massa e in particolare agli orologi prodotti dalla Swatch, mentre nell’ultimo decennio a fare da traino sono stati soprattutto gli orologi di lusso.

Nel 2000, i lavoratori attivi nell’industria orologiera erano 37’000 e le ditte 575. Nel 2008 i dipendenti del settore erano invece 53’300 (629 ditte); a causa della crisi, l’anno successivo è stata registrata la perdita di 4’000 posti di lavoro (e di 20 aziende), perdita compensata nel 2010.

2000: 10,297 miliardi di franchi

2001: 10,653

2002: 10,639

2003: 10,167

2004: 11,109

2005: 12,390

2006: 13,736

2007: 15,955

2008: 17,033

2009: 13,229

Con la collaborazione di Gaby Ochsenbein

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