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Gli ebrei in fuga e la frontiera ticinese

Persecuzione degli ebrei: all'ingresso della biblioteca di Bellinzona delle gabbie che ricordano i vagoni dell'orrore swissinfo.ch

La storia degli ebrei in fuga dalla barbarie nazista si intreccia anche con il Ticino, dove non sono mancati gesti di solidarietà, ma in cui erano manifesti sentimenti antisemiti e filofascisti.

Parte di questa storia si ferma quest’anno a Bellinzona, dove una serie di eventi di alto livello – compresa una mostra – rievoca queste pagine buie in relazione con la posizione della Svizzera.

In una Svizzera oggi non immune da forme di razzismo e di xenofobia, la rilettura della storia ha il valore – almeno questa è la speranza – di un antidoto all’odio.

Odio che negli anni dell’orrore e della persecuzione, tra il 1938 il 1945, serpeggiava oltre le frontiere, le trapassava a grande velocità lasciando tracce concrete nei territori che attraversava.

Le parole di un parlamentare ticinese di quegli anni, ricordate dal curatore della mostra Flavio Panzera, sono più che eloquenti: occorreva “impedire che questa razza dominatrice nel campo economico” mettesse radici “nel nostro Paese”.

“La Svizzera e la persecuzione degli ebrei in Italia, 1938-1945” è dunque il cappello che raggruppa la mostra (principale iniziativa) e il ciclo di manifestazioni (conferenze, cinema) volte a non dimenticare il passato e a riflettere sul presente.

Indietro nel tempo

Nell’atrio della biblioteca cantonale di Bellinzona, che ospita la mostra, due grandi gabbie di legno grigio. Due enormi gabbie che ricordano i vagoni ferroviari. I vagoni merci, dove venivano stipati gli ebrei, spinti e schiacciati come sardine dai nazifascisti.

L’impatto è forte. Perché appena si lascia alle spalle la porta di ingresso, la gabbia è lì, davanti a te. E tu ci puoi entrare, nella gabbia, destinata alla “razza ebraica”, come indica un cartello che vedi alzando appena lo sguardo da terra.

All’interno e all’esterno dei vagoni della morte diventati vagoni della memoria, ci sono fotografie, ritagli di giornale, vignette, lettere, documenti che attestano il passaggio del treno della storia, anche in Ticino. In un Ticino pervaso a quei tempi da sentimenti fascisti e antisemiti, ma anche di slanci di solidarietà e di generosità nei confronti di chi cercava la salvezza alle frontiera.

In quegli anni non va per esempio scordato il ruolo di Guglielmo Canevascini e di Soccorso operaio con i rifugiati. Ma anche la chiesa ticinese aprì le porte dei suoi conventi accogliendo le persone in fuga, ebrei compresi.

Ritagli del passato da ricordare

I documenti illustrati con cura nella mostra, divisa in due parti, sono molto interessanti anche perché riportano alla luce tracce di storia che il tempo ha cancellato: come la fotografia dello scomparso ristorante Venezia di Lugano, dove gli ebrei si radunavano in preghiera.

Ma c’è anche la riproduzione della prima pagina del mensile del sanatorio di Agra “Die Terrasse” (agosto 1937) nel quale si mostra issata su un pennone la bandiera svizzera e accanto una bandiera con la svastica; e poi un volantino in cui si invitano ad un raduno a Lugano i gruppi nazisti tedeschi.

C’è poi anche la fotografia del Kinderheim di Ascona, diretto da Lilly Volkart, che accolse numerosi ragazzi ebrei, offrendo loro comprensione e protezione. E quella dei rifugiati che attraversano il fiume Tresa, che traccia il confine tra il Ticino e l’Italia.

Alla frontiera meridionale

Se la commissione Bergier ha guardato, nel suo poderoso rapporto, che cosa si è mosso alla frontiera nord della Svizzera, la mostra in corso a Bellinzona si prefigge invece di guardare a Sud. Un compito assunto dall’Archivio d Stato del canton Ticino insieme ad gruppo di ricerca del Fondo nazionale di ricerca. Oltre tredicimila dossier personali con verbali di interrogatorio di chi è entrato in Ticino, costituiscono il Fondo rifugiati custodito presso l’Archivio.

Occorre tuttavia tenere presente che fino al 1943 le direttive emanate dal Consiglio federale su chi avesse diritto di attraversare la frontiera, furono severe ed inflessibili. Il coraggioso Paul Grüninger – il capitano della polizia sangallese a cui il regista svizzero Richard Dindo ha poi dedicato un documentario – è uno dei pochi che osò violare, a sue spese, quelle direttive.

Solo dopo lo sbarco degli americani in Sicilia, fu possibile riavvolgere il filo spinato alle frontiere. Al confine meridionale della Svizzera (Grigioni, Ticino e Vallese) tra il 1943 il 1945, furono circa 45 mila le persone in fuga, tra cui seimila ebrei italiani. Ma prima di allora la presenza di ebrei riconosciuti come rifugiati politici erano poco meno di mille, di cui quattrocento in Ticino.

La mostra di Bellinzona a questo serve: a ricordare il passato e a camminare verso il futuro. Un futuro in cui i pregiudizi razziali non abbiano terreno fertile. Ma il pericolo è già dietro l’angolo.

swissinfo, Françoise Gehring, Bellinzona

L’Archivio di Stato del Cantone Ticino e la Biblioteca cantonale di Bellinzona organizzano – in collaborazione con il Centro interdipartimentale di storia della Svizzera “Bruno Caizzi” dell’Università degli Studi di Milano e l’Associazione per la storia del movimento cattolico nel Ticino di Lugano – una mostra e una serie di incontri sulla persecuzione degli ebrei scatenatasi in Italia tra il 1938 e il 1945.

La serie di incontri, in calendario fino alla fine del mese di maggio, è rivolta in modo particolare ai giovani, ripercorre le cause e le conseguenze della tragica persecuzione degli ebrei – e più in generale quelle della Shoah – e le ripercussioni sulla Svizzera. Una Svizzera non immune, oggi, da forme di razzismo e di xenofobia.

La mostra, aperta dal 25 gennaio al 10 marzo 2007, si compone di due parti:

– la prima parte è intitolata 1938- 1945 La persecuzione degli ebrei in Italia ed è un’esposizione curata del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano in collaborazione con lo Studio Pro Forma di Carpi, già presentata in alcune città italiane. La mostra illustra, con impostazione scientifica e completezza storica, la persecuzione degli ebrei in Italia dal 1938 al 1945;

– la seconda parte, intitolata La Svizzera e la persecuzione degli ebrei in Italia, 1938-1945, si propone di illustrare gli atteggiamenti delle autorità e della popolazione svizzera, in particolare nei cantoni alla frontiera meridionale, nei confronti dei perseguitati razziali negli anni della seconda guerra mondiale. Vengono però anche affrontati i temi della presenza ebraica in Svizzera, del riconoscimento del diritto di cittadinanza agli ebrei e delle varie forme di antisemitismo manifestatesi nel nostro Paese.

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