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Storie sul confine

Quel sentiero di montagna che diede la salvezza a migliaia di ebrei

Foto d epoca con un gruppo di ragazzi scout e due preti
Il gruppo scout delle aquile randagie negli anni '40. RSI-SWI

Nel giorno della memoria una passeggiata lungo un sentiero del Varesotto percorso dagli ebrei in fuga durante la seconda guerra mondiale, fa emergere le storie di chi si adoperò per salvare la vita a molti di loro.

Il sentiero comincia nel centro del paese di Viggiù. Una stradina di scale e sterrato, stretta tra i muri delle case, si inerpica per poi entrare nei boschi sopra l’abitato. Un percorso di diversi chilometri costellato da trincee, cunicoli e bunker della famosa Linea Cadorna – che il governo italiano fece costruire nel 1915 per difendere il confine da attacchi da nord – e che conduce fino ai 1000 metri del Monte Orsa.

Una strada di montagna da sempre percorsa da trafficanti e contrabbandieri utilizzato per portare merce illegale in Svizzera ma che durante la seconda guerra mondiale fu – insieme ad altri sentieri della zona del Varesotto e del Comasco – la strada che migliaia di dissidenti, di oppositori politici e di ebrei percorsero per scappare dalla tirannia e dalla deportazione. 

Terra di salvezza, ma non per tutti

Come Liliana Segre, senatrice a vita italiana e superstite di Auschwitz e alcuni membri della sua famiglia che ne percorsero, però, solo un pezzo. Prima di essere respinti al posto di frontiera di Arzo dalle guardie svizzere, come lei stessa racconta nella testimonianza pubblicata nel libro “Memoranda”: “Con grande fatica attraversammo quei buchi nella rete così stretti per noi, vestiti da città, e inadatti alla clandestinità. Riuscimmo a passare dall’altra parte, ci abbracciammo quando i contrabbandieri ci dissero: ‘Correte, correte che arrivano adesso, a quest’ora le sentinelle, correte, avanti, è la terra di nessuno, correte, al di là c’è la Svizzera’. E quando scendemmo da quella cava di sassi, arrivammo nel boschetto, ci voltammo indietro a guardare le montagne che con una fatica infinita eravamo riusciti a passare. Eravamo felici, eravamo liberi, non avremmo dovuto più fuggire. L’ufficiale del comando di Arzo, il primo paese del Canton Ticino, ci disse: ‘Ebrei, perseguitati in Italia? Non è vero, siete degli impostori'”.

Altri sviluppi

E così lei e la sua famiglia furono arrestati e poi deportati al campo di concentramento di Auschwitz dal quale solo lei ritornò viva a casa.

La Svizzera così vicina all’Italia e che era riuscita a preservare la sua neutralità di fronte al conflitto che attanagliava l’Europa e il mondo intero, era una meta molto ambita. Secondo lo storico Michele Sarfatti a lungo direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, gli italiani che trovarono riparo in Svizzera tra il ’43 e il ’45 furono più di 38’000, 33’000 dei quali entrati in Ticino. Non solo ebrei (si stima che furono meno di 5’000) e non solo civili: tra loro anche oltre 20’000 disertori. E molti passarono da questa strada.

Il sacrificio di un gruppo di scout

Ma ripercorrere questo sentiero porta alla luce anche il sacrificio di un gruppo di scout milanesi che aiutarono migliaia di persone ad attraversare la frontiera. ‘Il viaggio di coloro che scappavano dalla furia nazifascista iniziava a Milano, quando gli appartenenti al gruppo scout delle Aquile Randagie di Milano e Monza fornivano loro documenti falsi per passare il confine svizzero nella zona della Valceresio”, spiega Antea Franceschin, guida ambientale dell’associazione AIGAE (Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche) che proprio nel Giorno della memoria del 27 gennaio ha accompagnato un gruppo di una trentina di persone a ripercorrere il sentiero.


“Nei paesi di Besano, Clivio e Viggiù, questi giovani scout che agivano in clandestinità aiutavano chi cercava riparo in Svizzera a percorrere i boschi della zona per passare la frontiera”. Si trattava per lo più di famiglie con bambini, male equipaggiate per affrontare le montagne, soprattutto in inverno, carichi di valige e spesso costretti a camminare nella neve con pedule di iuta.

L’operazione OSCAR

L’azione degli scout milanesi, che godeva dell’appoggio segreto dell’allora cardinale di Milano Ildefonso Schuster, passò alla storia con il nome di Operazione OSCAR (Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati).

Costò un totale di 10 milioni di lire e ne facevano parte decine di giovani scout studenti, lavoratori ma anche preti che, senza chiedere nulla in cambio, accompagnavano i fuggiaschi sul sentiero di Viggiù e su altri sentieri della zona dopo avergli fornito documenti falsi (3000 quelli prodotti nelle stamperie segrete della curia milanese).

Nei 20 mesi di attività l’operazione OSCAR riuscì a portare almeno 2’166 persone oltrefrontiera salvando loro la vita. Non mancarono salvataggi rocamboleschi come quello di Gabriele, un bambino ebreo che fu liberato dagli scout dopo un blitz all’ospedale di Varese. Ma non sempre tutto andò liscio: il 16 Aprile 1945, l’aquila randagia Nino Verri non ancora ventenne, fu catturato e fucilato dai fascisti mentre stava varcando il confine con la Svizzera per portare in salvo un ebreo.

“La giornata del 27 gennaio l’abbiamo voluta dedicare al cammino e alla scoperta di questa missione segreta: un’operazione di soccorso che salvò tanti ebrei. Nelle trincee e nei bunker abbiamo voluto focalizzare l’attenzione sulla figura degli scout ma anche di altri personaggi di Milano che contribuirono in modo concreto a portare in salvo gli ebrei. Un percorso per salvarsi e salvare. Perché il territorio e l’ambiente sono al pari di un libro scritto, sono testimonianza eterna della memoria storica”, conclude Antea Franceschin.

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