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Media liberi per costruire il senso civico

Steve McCurry/magnum

Minacciato nel suo paese, Frank Kodbaye si è rifugiato in Svizzera. Qui il giornalista del Ciad continua la sua lotta per una stampa indipendente, uno strumento indispensabile per liberare il Ciad dalle lotte di clan che lo minano da quando è indipendente.

“La guerra per il potere dura da 50 anni. È quello che sappiamo fare meglio in Ciad”, riassume seccamente Frank Kodbaye, che vive a Ginevra dal 2001. Eppure, quando il leader dei ribelli Idriss Deby ha rovesciato il dittatore Hissène Habré nel dicembre 1990, Frank Kodbaye, come i suoi concittadini, credeva alle promesse di apertura di colui che è ancora oggi il presidente di questo paese del Sahel.

“Tutti ricordano il suo primo discorso. Aveva annunciato che non portava né oro, né argento, ma la libertà”, dice Frank Kodbaye, prima di rammentare l’atmosfera di quel tempo.

Quell’anno, François Mitterrand aveva segnato le menti con un discorso in favore della libertà in Africa, nel corso di un vertice franco-africano svoltosi a La Baule. Pronunciato sulla scia delle rivoluzioni pacifiche dell’ex blocco comunista, l’invito alla democrazia lanciato dall’allora presidente francese avrebbe anche dovuto porre fine al sostegno di Parigi ai regimi dittatoriali del suo ex impero coloniale.

Una primavera della stampa

Un vento di libertà soffiava allora su molti paesi della regione e permetteva l’emergere di una stampa libera. N’Djamena Hebdo, il primo giornale indipendente in Ciad fu lanciato nei giorni successivi al rovesciamento di Habré.

Frank Kodbaye studiava al liceo del Sacro Cuore a N’Djamena, mentre muoveva i primi passi nei media come caporedattore della rivista di quella prestigiosa scuola cattolica. Un ruolo che riprenderà all’università dirigendo il giornale studentesco.

“Il N’Djamena Hebdo è stato poi soppiantato dal settimanale Le Temps, che mi ha assunto nel 1997. All’epoca aveva la più alta tiratura, era il punto di riferimento assoluto per ogni giovane giornalista del Ciad “, racconta Kodbaye.

È così come giornalista che Frank Kodbaye perderà le sue ultime illusioni circa le promesse del presidente Idriss Deby, che era stato il comandante dell’esercito di Habré, prima di ribellarglisi contro.

I media in prima linea

“Questo regime si caratterizza per la sua brutalità, in particolare verso i mezzi di comunicazione. Dei giornalisti sono stati assassinati o imprigionati. E quando non erano in gioco gli interessi vitali del regime, i media erano regolarmente messi sotto processo per diffamazione e condannati a pesanti multe”, denuncia il giornalista esiliato.

“Il regime ha più o meno addomesticato questa stampa, che è diventata sempre più superficiale. I media lanciano regolarmente critiche, ma senza andare a fondo. Ciò fa il gioco del regime che può sbandierare l’esistenza di una stampa libera. Ma i giornalisti non possono più effettuare delle inchieste. Eppure, il Ciad è ai primi posti dei paesi corrotti”.

L’esilio per rimanere libero

Piuttosto che conformarsi alle norme del regime, Frank Kodbaye sceglie di rifugiarsi in Svizzera con l’aiuto di Reporter senza frontiere e il suo programma di assistenza ai giornalisti in esilio.

“Sono stato più volte arrestato e incarcerato. In risposta alle pressioni, alle intimidazioni e alle minacce di morte, ho preso il rischio dell’esilio per poter continuare ad esprimermi liberamente”, dice Frank Kodbaye.

Così va a Berlino per seguire una formazione presso l’Istituto internazionale di giornalismo. “C’era una grande comunità di studenti africani a Berlino. Diversamente da quella francese, la cooperazione tedesca punta su un’alta formazione professionale per ingegneri, giornalisti, agronomi e altri. Non è una cooperazione politica che mira ad ottenere favori per lo sfruttamento delle materie prime. La Germania offre un aiuto prezioso e concreto a paesi che hanno difficoltà a formare i loro quadri”, sottolinea questo francofilo critico, che sta ancora aspettando che la Francia ritiri i suoi soldati presenti in Ciad dal 1986 nell’ambito dell’Operazione Sparviero.

“L’attuale presidente reclama la partenza delle truppe francesi, ben sapendo che è attraverso di esse che può rimanere al potere. L’esercito francese non è lì per proteggere la popolazione, ma il regime”, afferma il giornalista ciadiano.

Costruire il senso civico

Nel frattempo, Frank Kodbaye porta avanti due progetti giornalistici su Internet.

“Con Ciad Agorà, vogliamo sviluppare il dibattito di idee per il Ciad ed evidenziare le esperienze positive della regione, come in Senegal”, spiega Frank Kodbaye che ha anche lanciato Carrefour – Soleil, un sito francese di giornalismo investigativo.

Tuttavia Internet è ancora un lusso per la maggior parte dei ciadiani che in maggioranza sono ancora analfabeti. Come nella maggior parte dei paesi poveri, è soprattutto attraverso la radio che la gente s’informa.

“Una radio creata dalla società civile del Ciad svolge un ruolo particolarmente importante: si tratta di Liberté FM che parla sia di questioni dei diritti umani sia d’agricoltura o di sanità, spiega Kodbaye. Mobilitando la gente, galvanizzando i giovani, questa radio ha un ruolo importante nell’apprendistato del civismo e nell’unificazione dei ciadiani sulla base di riferimenti comuni, al di là delle appartenenze tribali o di clan”.

Appartenenze sfruttate da tutti i poteri che si sono succeduti a N’Djamena. “Per prendere il potere, occorre avere delle alleanze tribali e giocare sulle divisioni religiose o culturali per seminare zizania opponendo i ciadiani tra loro, mettere quelli del nord contro quelli del sud, i musulmani contro i cristiani”.

La discesa agli inferi di un altro paese della regione del Sahel – il Mali – dimostra la pertinenza di questa osservazione.

Secondo Reporter senza frontiere (RSF), la divisione e la segregazione del web si è accentuata nel 2011. Strumento privilegiato nella lotta per la libertà di espressione, la rete è sempre più presa di mira da governi che vogliono controllarla e che rafforzano la sorveglianza sugli utenti. Questi ultimi accedono così a informazioni diverse, a seconda del luogo di collegamento.

Tra l’altro, RSF denuncia la decisione di Twitter di applicare una censura geo-localizzata e chiede di revocarla. In una lettera aperta inviata in gennaio a Jack Dorsey, il fondatore del social network, l’Ong scrive: “L’argomentazione di Twitter, che lascia intendere che ci sarebbero diverse interpretazioni della libertà di parola a seconda del paese, è inaccettabile”.

 

Per RSF, con questa “forma di censura su scala locale, in collaborazione con le autorità e in conformità di leggi locali troppo spesso in contraddizione con gli standard internazionali che reggono i principi della libertà di espressione”, di fatto “Twitter priva i cyberdissidenti dei paesi dove vige una repressione di uno strumento fondamentale di mobilitazione”.

Nel rapporto 2012 sui “Nemici di Internet”, RSF osserva che la piattaforma nazionale introdotta in Birmania nel 2010 è stata emulata. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha annunciato più volte nel 2011 di voler lanciare un Internet nazionale, con il proprio motore di ricerca e il suo servizio di posta elettronica.

“A costo di istituire due diverse forme di accesso, una per le autorità, l’altra per il resto della popolazione, come consentito oggi per esempio dalla struttura di Internet birmana”, sottolinea RSF.

Risultato, secondo RSF: “Alcuni paesi come la Corea del Nord, il Turkmenistan, l’Uzbekistan e Cuba, ma anche l’Iran, censurano talmente bene l’accesso a Internet che confinano le loro popolazioni in intranet locali senza il minimo paragone con la Rete internazionale”.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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