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Khashoggi e quei sette terribili minuti

Torturato e fatto pezzi all'interno del consolato saudita a Istanbul, sotto gli occhi del capo della missione diplomatica. Un'agonia durata 7 terribili minuti, durante i quali a Jamal Khashoggi sarebbero state tagliate le dita, prima di sedarlo, decapitarlo e smembrarlo.

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A rivelare nuovi agghiaccianti dettagli del presunto omicidio del giornalista dissidente, scomparso ormai da 15 giorni, sono le registrazioni audio che gli 007 turchi avrebbero passato ad alcuni media vicini al governo di Recep Tayyip Erdogan. Intanto il Washington Post ha pubblicato il suo ultimo editorialeCollegamento esterno dal titolo emblematico “Ciò di cui il mondo arabo ha più bisogno è la libertà di espressione”.

Alcuni passaggi del suo editoriale

Nell’articolo, il giornalista analizza gli ostacoli alla libertà dei media a partire dal rapporto “Freedom in the World” del 2018, in cui l’unico Paese classificato come “libero” del mondo arabo è la Tunisia. Il giornalista ricorda quindi le grandi aspettative di cambiamento portate dalle Primavere Arabe del 2011 e le successive delusioni per “il ritorno di queste società o al vecchio status quo o a condizioni anche più dure di prima”. 

Khashoggi denuncia arresti e censure che condizionano la stampa in tutto il mondo arabo, dalla sua Arabia Saudita all’Egitto, fino al Libano, che “era il gioiello della corona della libertà di stampa nel mondo arabo, caduto vittima della polarizzazione e dell’influenza pro-Iran di Hezbollah”.

L’editoriale si conclude con un appello programmatico per il futuro della stampa panaraba: “Il mondo arabo ha bisogno di una versione moderna dei vecchi media transnazionali, in modo che i cittadini possano essere informati su ciò che succede nel mondo. Ancora più importante, dobbiamo creare una piattaforma per le voci arabe. Soffriamo di povertà, cattiva amministrazione e scarsa educazione. Creando un forum globale indipendente, libero dall’influenza dei governi nazionalisti che diffondono l’odio attraverso la propaganda, la gente comune nel mondo arabo potrà affrontare autonomamente i problemi strutturali della propria società”.

“Fatelo fuori di qui, mi metterete nei guai”, si sentirebbe dire al console Mohammed al-Otaibi, che ieri pomeriggio ha lasciato Istanbul per rientrare in patria. “Se vuoi continuare a vivere quando torni in Arabia, stai zitto”, gli risponderebbe uno dei killer.

Khashoggi sarebbe stato portato dall’ufficio del console in uno studio adiacente e steso su un tavolo. Lì, nelle orecchie cuffie per ascoltare musica, il dottor Salah Mohammed al-Tubaigy, capo dell’unità forense giunta da Riad, l’avrebbe fatto a pezzi, forse mentre era ancora in vita.

Squadrone della morte

Secondo il New York Times, il medico legale, esperto di autopsie, è tra le 5 persone in cima alla lista dei sospetti degli investigatori turchi. Le altre sarebbero tutte strettamente legate al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman: tre membri della sua scorta privata e un frequente accompagnatore, Maher Abdulaziz Mutreb, visto e fotografato in sua compagnia anche in diversi viaggi all’estero, a Parigi, Madrid e negli Stati Uniti. 

Per il Washington Post, sono in tutto 12 gli uomini legati ai servizi di sicurezza di Riad che avrebbero fatto parte dello ‘squadrone della morte’ di 15 persone giunto a Istanbul nelle ore cruciali della scomparsa del reporter.

Trump difende Riad

Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si dice convinto che Riad darà entro la fine della settimana quelle risposte sollecitate anche dall’Onu, la polizia turca è entrata nella residenza del console per effettuare l’ispezione bloccata ieri sera dalla presenza di alcuni familiari del diplomatico. Una perquisizione che magistrati e tecnici della scientifica vogliono estendere ai veicoli in dotazione al consolato, in cerca di prove da aggiungere a quelle già trovate nella vicina sede diplomatica.

“Aspettiamo di vedere l’esito delle indagini. Hanno promesso che non ci saranno eccezioni nel perseguire i responsabili. Prima è e meglio è per tutti”, ha spiegato il segretario di Stato Mike Pompeo, che è giunto ad Ankara da Riad per incontrare Recep Tayyip Erdogan. Il leader turco “ha detto chiaramente che i sauditi hanno collaborato con l’indagine”, ha riferito Pompeo, precisando di non aver ascoltato o visto registrazioni della presunta uccisione di Khashoggi. Ma “se esistono”, gli Usa le vogliono, ha assicurato ancora Trump.

Tutti evitano l’Arabia Saudita

Intanto, le prese di distanza da Riad non si fermano. Dopo la sfilza di defezioni di giganti della finanza e dell’editoria dalla ‘Davos del deserto’ organizzata dal principe per promuovere gli investimenti internazionali, arrivano anche quelle istituzionali. Alla conferenza non parteciperà la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde. E anche il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha deciso di congelare la sua missione in Arabia Saudita.

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