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Il fallimento del Ceta e l’ulteriore implosione dell’Ue

Le regioni linguistiche del Belgio Roberto Dagnino, Limes

Dopo la mancata ratifica da parte del parlamento vallone, l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada pare ad un passo dal fallimento. La volontà degli Stati membri di avere l’ultima parola sul tema aveva già privato la Commissione europea della sua primaria funzione istituzionale. Ed ora il rifiuto della comunità francofona del Belgio assume uno straordinario valore simbolico.

Lunedì scorso il primo ministro belga Charles Michel ha annunciato che al momento il suo paese non può ratificare il Comprehensive Economic and Trade Agreement (Ceta) stipulato dalle istituzioni comunitarie e dal governo di Ottawa. La principale ragione è il veto posto dalla regione francofona del paese e dalla città di Bruxelles, preoccupate per la competizione in termini di posti di lavoro e dall’arrivo sul mercato locale di prodotti nordamericani. Specie di quelli statunitensi che potrebbero giungere in Europa attraverso il Canada.

Oltre a segnalare le difficoltà che incontrerebbe l’eventuale accordo di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, il deragliamento del Ceta palesa la frammentazione dell’architettura comunitaria. Dopo aver manifestato l’intenzione di impedire ai parlamenti degli Stati membri di ratificare l’accordo, lo scorso luglio il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker si era arreso alle rimostranze dei vari governi. Specie di Francia e Germania, che da tempo hanno rinunciato al ruolo di «motore comunitario» e che in vista delle elezioni nazionali del prossimo anno intendevano cautelarsi nei confronti dell’opinione pubblica.

Inevitabile che il lungo e tortuoso processo di ratificazione, riguardante i 28 Stati membri più eventuali parlamenti regionali, avrebbe messo in pericolo il trattato di libero scambio e inficiato ulteriormente la tenuta dell’Unione Europea. Con la commissione destituita della sua principale prerogativa (la negoziazione commerciale), nonché platealmente succube dei diktat della varie cancellerie continentali.

È altresì molto significativo che a infliggere un duro colpo al Ceta e alle istituzioni comunitarie sia un parlamento locale e che questo sia belga. L’integrazione europea è spesso avvenuta per volontà esclusiva dei governi nazionali, senza interpellare l’opinione pubblica o senza considerare le rimostranze della popolazione locale. Quasi fosse previsto dalla legge del contrappasso, ad inserirsi tra il Ceta e la sua applicazione è stata la disfunzionalità del Belgio, Stato artificiale per eccellenza, dilaniato da spinte centrifughe e tribali. Eppure sede dell’Unione Europea, di cui costituisce una allegorica miniatura.

Teoricamente il Ceta potrebbe ancora essere salvato – se il governo belga riuscisse a superare l’opposizione dei francofoni – ma le possibilità restano assai esigue. Così come pare inarrestabile la volontà degli Stati membri di recuperare gran parte delle prerogative concesse in passato alle istituzioni comunitarie. Anche in materia commerciale.

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