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Furto di dati: condannato ex-banchiere

Un CD… da collezione imagepoint

Un ex collaboratore del Credit Suisse è stato condannato dal Tribunale penale federale per aver venduto alle autorità tedesche dati relativi a clienti dell'istituto. Resta invece da chiarire in che modo tali informazioni potranno essere utilizzate in futuro.

Dopo Rudolf Elmer, l’ex dirigente di Julius Bär condannato a gennaio in prima istanza a Zurigo per ripetuta violazione del segreto bancario (ma il cui processo dovrà essere ripetuto), un altro ex impiegato reo di aver comunicato a terzi dati bancari ha dovuto fare i conti con la giustizia svizzera.

Giovedì 15 dicembre, il Tribunale penale federale di Bellinzona (TPF) ha infatti inflitto 2 anni di carcere e una multa di 3’500 franchi – entrambe le pene sospese condizionalmente – a un ex dipendente del Credit Suisse, colpevole di aver rubato dati bancari e di averli in seguito venduti alle autorità fiscali tedesche.

L’uomo è stato in particolare riconosciuto colpevole di spionaggio economico, di riciclaggio di denaro, nonché di violazione del segreto professionale e bancario. Inoltre, a titolo di risarcimento dovrà versare 30’000 franchi all’ex datore di lavoro e 180’000 franchi alla Confederazione.

Precise richieste

L’uomo, oggi 28enne, operava in seno al Credit Suisse come assistente di alcuni consulenti finanziari presso diverse filiali della banca nella regione zurighese. Stando a quanto dichiarato durante il processo, egli avrebbe incominciato a raccogliere dati bancari inizialmente soltanto per «passione» e «interesse storico».

La documentazione raccolta – dimenticata in un centro fitness – sarebbe poi casualmente finita nelle mani di un suo conoscente, un imprenditore austriaco. Quest’ultimo, resosi conto del potenziale di lucro, l’avrebbe contattato e da quel momento l’intera operazione ha preso forma.

Nel 2008 – con la complicità dell’austriaco, che ha funto da tramite con le autorità del Nord Reno-Westfalia – l’uomo ha quindi raccolto dati relativi a 1’500-2’500 clienti tedeschi, i cui depositi complessivi si avvicinavano ai 2 miliardi di franchi.

Avvalendosi del cittadino austriaco, le autorità hanno inoltre potuto far pervenire al funzionario svizzero richieste di informazioni mirate relative alla clientela tedesca (per esempio: data dell’apertura del conto, movimenti, interessi). Per il suo ruolo nell’operazione l’intermediario è stato retribuito con 2,5 milioni di euro, 320’000 dei quali sono finiti nelle tasche dell’impiegato elvetico.

Tragico epilogo

In Svizzera la caccia al delatore era iniziata nei primi mesi del 2010, in seguito alle rivelazioni della stampa tedesca concernenti l’acquisto di dati bancari da parte della autorità fiscali. A quel punto, il Ministero pubblico della Confederazione aveva deciso di aprire un’inchiesta.

Le indagini hanno poi condotto all’identificazione delle due persone implicate. L’austriaco – ritenuto dagli inquirenti la vera mente dell’operazione – è stato arrestato il 15 settembre 2010 nella Repubblica Ceca. L’uomo si è però suicidato mentre si trovava in detenzione preventiva nel carcere regionale di Berna.

Sentenza definitiva

La decisione del Tribunale penale federale è passata in giudicato: le parti hanno infatti dichiarato già durante i dibattimenti che non avrebbero inoltrato ricorso contro la sentenza.

È dunque probabile che le autorità tedesche ricevano prossimamente richieste di assistenza giudiziaria da parte della Svizzera, dal momento che la ricompensa di 2,5 milioni di euro – di cui una parte si trova in Germania – è considerata dalla Confederazione come frutto di un atto illecito, e quindi da confiscare.

L’esito della vicenda è comunque tutt’altro che scontato: precedenti sollecitazioni da parte elvetica in merito alle persone coinvolte nell’acquisto di dati bancari sono infatti rimaste senza risposta.

E ora?

Il caso appena giudicato non costituisce un unicum. I dati bancari relativi ai clienti tedeschi hanno causato negli ultimi anni diverse tensioni tra Berna e Berlino. Per la Germania, i preziosi CD si sono rivelati una manna: hanno permesso di identificare numerosi evasori, e ne hanno spinto altri ad auto-denunciarsi.

A far discutere dal profilo giuridico è però la liceità di utilizzare il risultato di un furto per scopi fiscali. Della questione si è occupata pure la Corte costituzionale tedesca, la quale – in una decisione del novembre 2010 – ha ammesso questo particolare utilizzo della “refurtiva”, rafforzando in tal modo la posizione dell’erario.

Con un distinguo: ad essere ammesso è l’uso di dati offerti alla Germania, e non il loro acquisto. E il caso recentemente trattato a Bellinzona mostra invece chiaramente il ruolo attivo svolto dal fisco tedesco.

Questioni aperte

In futuro l’acquisto di dati fiscali da parte delle autorità tedesche dovrebbe in realtà cessare, conformemente al nuovo accordo fiscale tra i due Stati firmato a Berlino nel settembre 2011.

Stando all’accordo, le autorità tedesche si impegnano a non tentare di ottenere attivamente dati concernenti clienti delle banche svizzere. A questo proposito, il ministro tedesco delle finanze Wolfang Schäuble aveva dichiarato che tale disposizione sarebbe stata rispettata da subito.

La situazione è comunque lungi dall’essere risolta: l’accordo tra Svizzera e Germania è osteggiato dall’opposizione tedesca, e la sua entrata in vigore rimane per ora ancora oggetto di discussione.

Il segreto bancario elvetico è stato decisamente allentato in seguito all’azione legale dell’erario statunitense contro l’UBS, accusata di avere sistematicamente aiutato per anni contribuenti americani ad evadere o frodare il fisco del loro paese.

Una pratica denunciata da Bradley Birkenfeld, un ex dipendente della grande banca. Le autorità americane volevano costringere l’UBS a consegnare i dati riguardanti 52mila conti di clienti USA.

Nell’agosto del 2009 Stati Uniti e Svizzera hanno firmato un accordo con cui Berna si impegnava a trasmettere entro un anno i dati relativi a 4’450 conti bancari di clienti americani dell’UBS sospettati di avere evaso il fisco USA.

Dal canto suo, Washington rinunciava a misure unilaterali per aver informazioni, riguardanti soprattutto milionari e società offshore.

D’altra parte, sempre nel 2009, la Svizzera è stata messa sotto pressione dall’OCSE che minacciava di metterla sulla lista nera dei paradisi fiscali.

Per evitare questo Berna ha concluso nuove convenzioni di doppia imposizione (CDI), che soddisfano le condizioni dell’OCSE, con 35 Stati.

Concretamente ciò significa estendere l’assistenza amministrativa anche all’evasione fiscale e non più limitarla alla frode fiscale.

Traduzione e adattamento: Andrea Clementi

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