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Fukushima: autorità giapponesi non all’altezza

Hans Rudolf Lutz è stato il primo direttore della centrale nucleare di Mühleberg (canton Berna), in funzione dal 1972. RDB

Il fisico nucleare svizzero Hans Rudolf Lutz ritiene che il rischio di uno tsunami in Giappone è stato sorprendentemente sottovalutato. Nel contempo, l'ex direttore della centrale di Mühleberg ribadisce la sua fiducia nell'energia atomica.

Il mito della perfezione giapponese per quanto attiene alla qualità e alla sicurezza ha subito un duro colpo in seguito al disastro di Fukushima.

L’accaduto ha profondamente stupito Hans Rudolf Lutz: lo scienziato non riesce a capacitarsi che proprio in Giappone il rischio di uno tsunami non sia stato preso abbastanza in considerazione.

swissinfo.ch: La catastrofe di Fukushima sembra aver mostrato chiaramente che la tecnologia nucleare non è infallibile…

Hans Rudolf Lutz: Evidentemente la tecnologia nucleare non è infallibile. D’altronde lo si è visto in occasione degli incidenti di Three-Mile-Island [Stati Uniti, 1979] e Cernobyl [1986], anche se il disastro avvenuto in Ucraina non ha assolutamente nulla in comune con quanto accaduto in Giappone.

Personalmente, non riesco a capire perché l’eventualità di uno tsunami – che è una parola giapponese – sia stata sottovalutata. Per esempio, i generatori d’emergenza non sono stati costruiti a prova di maremoto: l’onda ha verosimilmente spazzato via le cisterne situate all’esterno, che a Mühleberg sono invece interrate.

Di conseguenza, ne deduco che le autorità giapponesi hanno fallito.

swissinfo.ch: È opinione diffusa che il Giappone sia la patria del perfezionismo, con standard di qualità elevatissimi. Ma cosa è realmente successo, allora?

H.R.L.: A mio parere tale visione non è del tutto esatta. Sono stato in Giappone, e ho potuto constatare che i treni circolano effettivamente puntualissimi; però, quando si verifica un contrattempo – per esempio una semplice nevicata – anche lo Shinkansen [treno super-veloce] resta fermo per due ore. Se messa a dura prova da eventi esterni importanti, anche la migliore tecnologia può pertanto risultare insufficiente.

swissinfo.ch: In passato si è comunque spesso ripetuto che una situazione come quella di Cernobyl non si sarebbe mai verificata in Occidente, ma la tecnologia utilizzata a Fukushima è occidentale. Come spiegarlo?

H.R.L.: A Cernobyl c’è stata un’esplosione nucleare, una sorta di bomba atomica, seguita da un incendio. In Giappone, invece, è successo un incidente simile a quello di Three-Mile-Island, causato da problemi di raffreddamento.

Inizialmente il fumo nero aveva fatto pensare a un incendio anche a Fukushima, ma in realtà si è trattato soltanto di cavi bruciati. Inoltre, finora il livello di radioattività in Giappone è in ogni caso rimasto contenuto.

swissinfo.ch: Che dire però della radioattività riscontrata nell’acqua di Tokyo?

H.R.L.: I limiti di tolleranza stabiliti in Giappone sono molto inferiori rispetto a quelli europei. Da quanto mi risulta, quelli fissati in Germania sono addirittura dieci volte maggiori. Anche in Svizzera, i valori ammessi sono circa quattro volte superiori.

Riassumendo: in circostanze analoghe, non vi sarebbe stato alcun allarme in Germania o in Svizzera. Ritengo quindi che vi sia una certa isteria collettiva.

swissinfo.ch: Alcune persone tendenzialmente favorevoli all’energia nucleare si sono espresse a favore di un cambiamento di rotta. Coma valuta questo fatto?

H.R.L.: Nella maggioranza dei casi si tratta di politici. Non ho invece sentito nessuna presa di posizione in tal senso da parte di chi lavora davvero in questo settore.

In Giappone, Cina, India, Russia, Finlandia, Francia e Stati Uniti l’abbandono dell’energia nucleare non è nemmeno preso in considerazione. E lo stesso dovrebbe valere anche per quanto concerne la Svizzera. In ogni caso, sono convinto che la Confederazione non si allontanerà dall’energia nucleare.

swissinfo.ch: Non pensa che la Svizzera potrebbe avere l’intenzione di abbandonare a medio termine l’energia nucleare?

H.R.L.: No. Nella sola Cina sono attualmente in costruzione 25 nuovi reattori, la cui durata di vita si situa oggigiorno attorno ai 60 anni. Sono convinto che tra cinque o sei anni nessuno parlerà più di un eventuale abbandono dell’energia nucleare. Anzi: saranno costruite altre centrali atomiche, poiché esse costituiscono la soluzione migliore per produrre elettricità e calore.

swissinfo.ch: La sua valutazione dell’energia nucleare non è quindi affatto mutata dopo l’incidente di Fukushima?

H.R.L.: No, è rimasta positiva. Proprio come in Giappone: lì vi sono ancora 48 centrali nucleari in attività, e nessuno s’immagina di spegnerle.

swissinfo.ch: Attualmente in Giappone vi sono alternative valide all’energia nucleare?

H.R.L.: L’unica opzione davvero interessante è l’energia da fusione. Se ci sarà uno sviluppo importante di questa tecnologia, al punto da renderla economicamente conveniente, allora essa potrà sostituire il nucleare. Tuttavia, considerando la situazione attuale, ciò potrebbe richiedere ancora parecchio tempo.

In ogni caso al Giappone – che dipende soltanto per un terzo dall’energia nucleare – non mancano le alternative: gas naturale liquido, petrolio oppure carbone proveniente dalla Cina.

swissinfo.ch: L’energia nucleare presenta comunque dei rischi che concernono anche la Svizzera, come terremoti e scorie radioattive…

H.R.L.: Non ricominciamo la discussione sulle scorie! I rischi in un deposito di scorie a 500 metri di profondità sono migliaia di volte minori rispetto a quelli nel reattore, dove la temperatura è pari a 2’000 gradi.

Non vi è mai stato un incidente originato da scorie adeguatamente stoccate: soltanto un’esplosione vulcanica sotto il deposito finale potrebbe causare un’irradiazione.

Anche per quanto concerne gli altri rischi sono state prese le necessarie misure preventive: a Mühleberg, per esempio, vi sono sistemi di raffreddamento a prova di terremoto e d’inondazione, così come generatori d’emergenza.

Inoltre, in Svizzera l’Ispettorato federale della sicurezza nucleare controlla gli impianti prima della costruzione e durante la fase di esercizio.

Dal 1960, la produzione di elettricità in Svizzera è aumentata di almeno tre volte, passando da 20 a 60-70 miliardi di chilowattora (kWh) all’anno. Anche il consumo è cresciuto in ugual misura, da 3000 kWh per abitante nel 1960, agli attuali 8000 kWh.

Durante un anno, la Svizzera esporta più corrente di quanta ne importi. Nel 2009 (sono gli ultimi dati conosciuti), la Confederazione ha venduto 54,2 miliardi di kWh all’estero e ne ha acquistato 52 miliardi. L’esportazione è concentrata nel periodo estivo, quando il livello dell’acqua nelle dighe è al massimo; l’importazione invece in inverno, specialmente dalla Francia.

La Svizzera, la “riserva d’acqua d’Europa” produce la maggior parte della sua elettricità (56%) con le centrali idroelettriche. Mediante un programma di modernizzazione, entro il 2030 questi impianti dovrebbero aumentare la loro produzione di 2 miliardi di kWh  rispetto il 2000.

La Confederazione dispone attualmente di quattro siti nucleari:Beznau (Argovia), Mühleberg (Berna), Gösgen (Soletta) e Leibstadt (Argovia).

In totale sono attivi cinque reattori nucleari, costruiti tra il 1969 et 1984.

Tre producono circa 3 miliardi di kWh all’anno e dovranno essere disattivati nel 2020. Gli altri due, invece, generano 8 rispettivamente 9,5 miliardi di kWh all’anno. Le loro autorizzazioni di servizio scadono nel 2040 e nel 2045.

Nel 2009, l’energia nucleare ha fornito il 39,3% dell’elettricità consumata in Svizzera.

Le centrali termiche classiche e le energie rinnovabili (sole, vento, biomassa, ecc.) forniscono soltanto il 5% dell’energia elettrica e meno del 2% dell’energia complessiva consumata in Svizzera.

traduzione e adattamento: Andrea Clementi

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