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«Una battuta d’arresto nella lotta alla discriminazione»

I membri del Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD) si sono detti preoccupati dalle conseguenze del voto del 9 febbraio 2014 "contro l'immigrazione di massa" (nella foto alcuni manifesti utilizzati durante la campagna) Keystone

In Svizzera è necessaria una campagna di sensibilizzazione che raggiunga le zone rurali, dove gli stranieri sono percepiti in modo più negativo. È quanto afferma Sabine Simkhovich-Dreyfus, vicepresidente della Commissione federale contro il razzismo. swissinfo.ch l’ha incontrata a margine di una riunione con una delegazione ONU.

Il 17 febbraio la Svizzera era chiamata a discutere le conclusioni del rapporto pubblicato lo scorso anno dal Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale (CERD), che a scadenze regolari analizza la situazione nei diversi paesi.

L’incontro ha offerto l’occasione ai rappresentanti delle Nazioni Unite di esprimere la loro preoccupazione per le conseguenze del voto del 9 febbraio, con il quale il popolo ha deciso di frenare l’immigrazione, e per la questione dell’incompatibilità di alcune iniziative popolari con le leggi internazionali, 

swisisnfo.ch ne ha discusso con Sabine Simkhovich-Dreyfus, vicepresidente della Commissione federale contro il razzismo.

Courtesy of Sabine Simkhovitch-Dreyfus

swissinfo.ch: Il freno all’immigrazione deciso dal popolo svizzero ha sollevato preoccupazione tra i membri del CERD, secondo i quali il messaggio veicolato – “la barca è piena”- riflette una retorica discriminatoria e xenofoba, presente in Europa. Quali effetti potrebbe avere il voto del 9 febbraio sul suo lavoro?

Sabine Simkhovich-Dreyfus: Non siamo convinti che tutti coloro che hanno votato a favore dell’iniziativa siano xenofobi. Non è stato l’unico motivo, ma esiste ed è motivo di preoccupazione. Le ragioni [che hanno spinto il popolo a dire “sì”] sono molteplici.

Ora è difficile predire quali saranno le conseguenze del voto sul nostro lavoro, ma si tratta di una battuta d’arresto. Complica molti aspetti pratici e alimenta la percezione che i nuovi immigrati portino in Svizzera più problemi che altro.

È anche troppo presto per dire se l’esito del voto darà una spinta ai gruppi di estrema destra in Svizzera. Questi non sono più così forti come qualche anno fa e sono sicuramente più deboli rispetto ad altri paesi d’Europa. Dobbiamo però restare vigili.

Le dichiarazioni conclusive della relatrice speciale Anastacia Crickley

«Il comitato del CERD ha apprezzato le risposte precise e oneste date dalla delegazione svizzera, ma ritiene che il problema dell’immagine stereotipata degli stranieri sui media e dei discorsi di odio da parte della classe politica non sia stato affrontato direttamente».

«Le osservazioni conclusive del comitato copriranno i temi seguenti: la legge contro la discriminazione, i programmi di integrazione, la raccolta dati e lo sviluppo di un istituto nazionale per la difesa dei diritti umani».

«Siamo preoccupati per questa tendenza a una “democratizzazione della discriminazione”».

«Anche se le misure positive prese dalla Svizzera sono benvenute, persiste l’impressione che la discriminazione razziale non sia stata trattata allo stesso livello della discriminazione di genere o di altri tipi di discriminazione».

swissinfo.ch: Quali sono, secondo lei, le priorità che emergono dall’ultimo rapporto del CERD?

S.S.-D.: In linea generale, l’articolo 261 bis del Codice penale svizzero, che vieta la discriminazione razziale, è ben implementato. In alcune regioni le autorità non sono però consapevoli della necessità di applicarlo in determinati casi. Siano poi convinti che, nei casi di discriminazione, le associazioni debbano potersi costituire parte civile.

La delegazione ritiene che sia importante mettere maggiormente l’accento sulla prevenzione. Le campagne di sensibilizzazione rivolte ai bambini sono ad esempio importantissime. La competenza in questo campo spetta ai cantoni, ma nulla impedisce alla Confederazione di lanciare delle campagne e di essere più attiva.

Ci sono cantoni che fanno molto, e dobbiamo riconoscere loro questo sforzo. Altri invece fanno poco o nulla. Nelle regioni piccole e rurali ci sono più pregiudizi nei confronti delle persone diverse e viene fatto meno in termini di prevenzione.

Siamo convinti che sia importante intervenire in quelle regioni dove le autorità cantonali non sono molto attive. È necessario mostrare ciò che di positivo le differenze culturali e religiose possono portare a questo paese.

C’è inoltre un fenomeno particolarmente controproducente, legato al modo in cui le campagne politiche sono portate avanti. Negli ultimi anni ci sono state molte campagne incentrate su stranieri o persone con religioni diverse e ciò ha favorito la costruzione di un’immagine negativa.

Gli stranieri criminali esistono, così come gli svizzeri criminali. Le campagne politiche fanno però di un’erba un fascio ed è proprio il contrario di ciò che vorremmo raggiungere attraverso la sensibilizzazione. Siamo convinti che i partiti politici e i diversi attori coinvolti dovrebbero avere maggior senso di responsabilità nel portare avanti le loro campagne.

Le dichiarazioni conclusive dell’ambasciatore Jürg Lindenmann, capo della delegazione svizzera

«Il 50,3% del popolo svizzero non può essere considerato xenofobo. Al contrario, in molti hanno espresso preoccupazione per il processo di globalizzazione e di modernizzazione che li circonda e hanno voluto preservare la Svizzera come l’hanno conosciuta in passato. Nel 2013, circa 80’000 nuovi immigranti sono giunti in Svizzera, una cifra pari a quella del canton Lucerna, il settimo più grande della Svizzera. Le inquietudini devono essere prese in considerazione».

«Vorrei ringraziare il Comitato per questo dialogo costruttivo e aperto. Preservare e ricreare una società nella quale i suoi membri possano vivere nel rispetto reciproco è un processo in atto e le autorità sono pienamente coscienti che implica uno sforzo considerevole».

«Le constatazioni e i consigli del comitato sono importanti per la Svizzera nei suoi sforzi continui per combattere la discriminazione razziale».

swissinfo.ch: Le organizzazioni non governative ritengono che la maggior parte delle raccomandazioni incluse nel rapporto del CERD del 2008 non siano state messe in atto. Cosa ne pensa dei progressi fatti dalla Svizzera nella lotta contro il razzismo?

S.S.-D.: I progressi sono difficili da misurare. Ci sono stati sforzi per mettere in atto alcune misure antidiscriminatorie nelle leggi di integrazione cantonali. Anche il nuovo centro svizzero di competenza per  i diritti umani ha fatto un buon lavoro.

Ci sono diversi esempio di passi concreti in questo senso. In altri campi non è però stato fatto nulla, in particolare quando una proposta doveva passare dal parlamento. Alcuni cambiamenti richiedono infatti decisioni che oggi sono politicamente difficili da prendere.

Negli ultimi dieci anni, ci sono state molte resistenze all’idea di introdurre una nuova legge contro la discriminazione o altre misure antirazzismo. Dobbiamo costantemente lottare per mantenere ciò che abbiamo ottenuto finora.

swissinfo.ch: L’assenza di una legislazione esauriente antidiscriminazione è stata nuovamente una delle preoccupazioni principali sottolineate dal rapporto. Le autorità sono del parere che le basi legali esistenti offrano una protezione sufficiente, ma per le voci critiche non sono abbastanza sviluppate, sono troppo costose e inefficaci contro la discriminazione sul posto di lavoro e sul mercato degli alloggi. Cosa ne pensa?

S.S.-D.: La commissione ha affrontato questo tema nel 2010 e in un rapporto ha raccomandato l’elaborazione di una legge antidiscriminazione, come è già il caso in altri paesi, soprattutto dell’Unione europea. Non abbiamo però avuto grande successo.

Concordiamo tuttavia con la relatrice speciale del CERD nel dire che non vi è alcun ostacolo costituzionale: una legge federale si inserirebbe perfettamente nel nostro sistema giuridico, come è stato il caso per le norme giuridiche contro la discriminazione di genere e contro la discriminazione nei confronti dei disabili.

swissinfo.ch: La delegazione Svizzera ha sostenuto che i programmi d’integrazione cantonali, introdotti nel gennaio del 2014 e che si estenderanno sull’arco di quattro anni, dovrebbe contribuire a ridurre la discriminazione a livello nazionale. La relatrice speciale del CERD sostiene invece che queste iniziative sono in un certo senso controproducenti. Lei cosa ne pensa ?

S.S.-D.: I programmi di integrazione sono una cosa positiva, purché non abbiano come obiettivo l’assimilazione. L’integrazione si rivolge alle persone che arrivano in Svizzera e contribuisce a una migliore coesione sociale. Può contribuire a lottare contro il razzismo, ma non tratta il fenomeno in quanto tale. Il fatto che l’integrazione è percepita come LA risposta ai nostri programmi antidiscriminazione non è soddisfacente. La discriminazione in Svizzera si ritrova anche tra coloro che sono ben integrati.

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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