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Le banche svizzere lottano per sopravvivere

La decisione di non difendere più un tasso di cambio minimo franco-euro potrebbe tradursi in un forte calo dell'utile per molte banche svizzere. Keystone

L’improvviso rafforzamento del franco ha intensificato la pressione sulle banche svizzere, facendo planare la minaccia di tagli di personale e di bancherotte.


La decisione comunicata due settimane fa dalla Banca nazionale svizzera di abbandonare la politica del tasso di cambio minimo franco-euro ha immediatamente provocato un rafforzamento della moneta elvetica, che si scambia ormai alla pari con la valuta europea.

Gli analisti e i banchieri ritengono che la svolta della banca centrale possa essere estremamente dannosa per le banche svizzere e i gestori patrimoniali, i cui costi sono principalmente in franchi, ma le cui entrate derivano per lo più da valute straniere.

L’agenzia di rating Moody’s ha indicato che Julius Bär, Banca cantonale di Zurigo, Credit Suisse e UBS saranno quelle che «soffriranno di più» degli effetti di cambio sui loro titoli in valuta estera.

Un portavoce della Julius Bär, la più importante banca privata svizzera, ha confermato al Financial Times che una delle misure prese in considerazione per ridurre i costi è il taglio di personale.

Thomas de Saint-Seine, amministratore delegato della RAM, società di gestione patrimoniale con sede a Ginevra, indica che il suo gruppo intende limitare le assunzioni nella Confederazione e sta negoziando coi suoi fornitori di servizi per cercare di mitigare le turbolenze valutarie.

De Saint-Seine prevede un calo dell’utile netto del 15-20% nel caso in cui il tasso di cambio dovesse rimanere sui livelli attuali.

«Ciò renderà la sopravvivenza molto difficile», afferma Christian Hintermann, della KPMG di Zurigo. «Le grandi banche riusciranno a far fronte. Le piccole banche [con patrimoni in gestione inferiori ai 10 miliardi di franchi] sono invece veramente in pericolo».

Anni difficili

Quelle più toccate perderanno dal 10 al 15% di entrate, secondo Hintermann. Ciò intensificherà la pressione sul settore bancario svizzero, già alle prese con uno spostamento delle attività verso i patrimoni onshore, un aumento della trasparenza fiscale e le indagini statunitensi sugli istituti elvetici con clienti americani sospettati di aver evaso il fisco.

La decisione della BNS di ridurre ulteriormente i tassi di interesse, portandoli dal -0,25% al -0,75%, inciderà pure sulla redditività di quelle banche orientate verso il mercato interno, in particolare la Banca cantonale di San Gallo, quella di Berna, la Valiant Bank e la Clientis, rileva Moody’s.

La Banca cantonale di Berna ha indicato che i suoi margini d’interesse netti si restringeranno ulteriormente, ma non ha voluto commentare un eventuale impatto sulla redditività.

Un portavoce della Banca cantonale di San Gallo dal canto suo osserva: «La decisione della BNS ci ha colti di sorpresa. Stiamo ancora analizzando gli effetti di questa decisione».

Altre grandi banche e fondi d’investimento hanno cercato di rassicurare azionisti e investitori, sottolineando che resisteranno.

Martin Moeller, responsabile del comparto titoli presso la UBP, una banca privata con sede a Ginevra, afferma: «Il settore del private banking ha già attraversato un paio di anni difficili. Non penso che questa nuova situazione causerà delle bancherotte, ma alcune [banche private] potrebbero prendere in considerazione questa opzione».

La Notenstein rileva dal canto suo che il 70% della sua clientela è basato in Svizzera e che non ha subito perdite. La EFG International prevede che l’impatto sui suoi utili sia inferiore al 10%.

Ray Soudah, fondatore della Millenium Associates, società di consulenza strategica svizzera, è meno ottimista. «La prima azione probabile sarà di ridurre il personale e di tagliare i costi, così come delle acquisizioni a livello nazionale. Gli acquirenti esteri di banche svizzere esiteranno».

Copyright The Financial Times Limited 2015

(traduzione di Daniele Mariani)

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