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La cucina nordica, a Ginevra, è pugliese

Una donna che ai fornelli di un ristorante deve "dimostrare il doppio rispetto a un uomo": incontro con Francesca Fucci, chef del ristorante Fiskebar presso il Ritz-Carlton Hotel di Ginevra

Il posto della donna è in cucina, dicevano. Eppure, incontrare cuoche nelle cucine dei ristoranti è ancora qualcosa di inusuale, in particolare nel mondo della gastronomia di lusso. Anche perché, come ci rivela l’executive chef del ristorante Fiskebar Collegamento esternodel lussuoso Ritz-Carlton Hotel de la Paix di Ginevra, Francesca Fucci, si tratta di un mondo ancora molto maschile e ancora poco aperto alla presenza femminile: quello della ristorazione è un mondo dove “il maschilismo c’è ancora, anche nascosto. E sta anche dentro le donne anche. Spero che saremo noi la generazione che crescerà i figli maschi con un a mentalità più aperta”. Questo inizia anche nella sua cucina, dove la brigata è composta da due donne e tre uomini.

Ma, è bene precisarlo, non si tratta di un problema solo di mentalità che devono cambiare: quello dello chef è un mestiere molto esigente e non tutti – anzi: non tutte – sono disposte a fare alcuni sacrifici. “Se vuoi fare questo lavoro devi mettere da parte alcune cose. I tuoi orari sono al versante opposto rispetto agli orari “normali” della società. Non esistono asili che lavorano di notte ed è difficile trovare delle babysitter. Ne parlo perché arrivo a un’età in cui bisogna fare una scelta e per questo per me è complicato”. Complicato anche dal fatto che anche il marito di Francesca fa lo stesso mestiere e, di conseguenza, gli stessi orari, difficili da conciliare con una vita di famiglia. Finché non sarà la società a venire incontro alle donne che scelgono questa carriera, aggiunge la chef, continuerà ad essere un mondo prevalentemente fatto di uomini.

Cucina nordica… del sud

Il Fiskebar è un ristorante d’ispirazione nordica (“fiskebar” significa in molte lingue nordiche bar del pesce), ma chi sta dietro ai fornelli, di nordico ha ben poco: la chef, infatti, è di origine pugliese e ha portato il sud con sé. L’ingrediente di base delle due culture, in fondo, è lo stesso: il pesce. Quindi, alla domanda del come mai una donna pugliese si è ritrovata a cucinare piatti nordici in un ristorante svizzero, la risposta è stata: “Vengo da un piccolo paesino della Puglia, Margherita di Savoia, che sta di fronte al mare e dunque sono abituata a lavorare – e mangiare – il pesce”. La cucina nordica, spiega, è stata una scelta dettata dai tempi: negli ultimi anni è il trend della gastronomia – come lo dimostra, per esempio l’enorme successo del ristorante Noma Collegamento esternodi Copenhagen – e il ristorante vuole rispondere alla domanda del mercato. Questo è anche il motivo per cui sulla sua carta si trova sempre una scelta vegetariana o vegana: “Molti chef vogliono dimostrare qualcosa ai clienti. Io invece li voglio ascoltare e soddisfare la loro domanda. Qualche chef si dimentica che a gente va al ristorante per mangiare e per stare bene” e non per assistere a una dimostrazione di bravura.

Dall’arte alla cucina il passo è breve

Quello della chef è stato un percorso classico, fatto di scuola alberghiera (dove un professore in particolare, Giuseppe D’Ambrosio l’ha spinta a “volare e sognare”), gavette, stagioni prima in Italia e poi all’estero ed esperienze con grandi nomi della gastronomia mondiale. Il piano iniziale, però, non era questo: lei voleva fare la scuola d’arte, ma “al sud si pensa a quanto il tuo futuro possa essere concreto e non a quanto i sogni si possano realizzare”. La cucina, però, le permette di seguire anche questa passione: i piatti estremamente curati sembrano quasi dei dipinti. Curati, ma anche sofferti: “In ogni piatto c’è l’anima. Cambiare carta è un po’ un dramma perché mi affeziono ai piatti, sono tutti come i miei figli: c’è un periodo di gestazione quando rifletti, non dormi la notte, ci pensi anche mentre torni a casa in bicicletta. Dunque separarsi dai piatti è tosta”.

Zero waste come flosofia

Francesca Fucci è anche molto attenta a recuperare il più possibile dei prodotti che usa: le bucce di arance e topinambur vengono essiccate e usate come decorazioni e insaporitori nei piatti. Della Saint-Jacques non usa solo il muscolo, ma anche la barba e il fegato con i quali prepara la maionese che accompagna il piatto e anche la conchiglia stessa. Nella sua cucina entrano anche rami e pietre, che raccoglie durante i suoi numerosi viaggi e che poi usa come decorazione o supporto di quello che prepara.

La stella: “Ben venga, ma non è l’obiettivo principale”

E la stella Michelin? Colei che dalla sin più tenera età ha aiutato prima i nonni a preparare le conserve di pomodori e le pesche sciroppate e più tardi la mamma con le cartellate pugliesi con il vincotto, non se ne preoccupa molto: “Se dovesse venire – tanti nostri clienti dicono che la meritiamo – saremo sicuramente molto contenti. Per uno chef è una delle cose più belle che ci siano”, ma l’obiettivo principale, sottolinea, è che la gente stia bene, mangi bene e torni a casa contenta.

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