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Flat tax? “Può funzionare nei piccoli cantoni”

Dall esperienza elvetica si possono ricavare solo indicazioni parziali sulla presunta bontà della flat tax.
Dall'esperienza elvetica si possono ricavare solo indicazioni parziali sulla presunta bontà della flat tax. © Keystone / Christian Beutler

La questione fiscale, più di ogni altro tema, è al centro dei programmi che vengono propagandati da partiti e schieramenti politici in vista del voto del 25 settembre in Italia. In Svizzera due cantoni hanno introdotto la flat tax più di una decina di anni fa. Ma gli esiti sono controversi.

A far discutere è in particolare la cosiddetta flat tax sui redditi da lavoro – che in Italia potrebbe sostituire le attuali aliquote progressive (gli scaglioni Irpef) – che viene avanzata, sotto varie forme anche non del tutto convergenti, dalle principali formazioni del centrodestra. All’aliquota unica del 15% indicata dalla Lega si è aggiunta quella del 23% proposta da Forza Italia.

Più prudente la versione di Fratelli d’Italia che, almeno in una prima fase, si applicherebbe – a un tasso del 15% – solo sugli aumenti di reddito maturati nell’ultimo anno (flat tax incrementale). Nel programma di coalizione la formulazione è più generica e alcune divergenze sono state smussate, ma la rotta chiara su cui si insiste è quella di un alleggerimento fiscale, che riguarderà anche le partite Iva, da sempre vicine ai partiti conservatori, al preciso scopo di stimolare l’economia.

Proposte fiscali da tutti i partiti

Sul fronte opposto, in particolare da parte del Pd si insiste sul taglio del cuneo fiscale, una detassazione mirata sul lavoro per rendere più pesanti le buste paga dei salariati. Lo Stato rinuncerebbe alla porzione del salario lordo costituita dai contributi previdenziali versati dal lavoratore fino all’importo corrispondente alla quattordicesima mensilità che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe finire integralmente nelle tasche del dipendente. E si propone anche una patrimoniale “light”, aspramente criticata a destra, per le successioni oltre i 5 milioni di euro, con un’aliquota del 20%.

Altri sviluppi

Tutte ricette che vengono brandite in queste settimane ma che al contempo sollevano più di un interrogativo in relazione alla delicata situazione delle finanze pubbliche dello Stato. In particolare, la flat tax, che recentemente è stata adottata con alterne fortune in diversi paesi dell’Europa dell’Est – per ragioni legate soprattutto al loro specifico contesto economico e amministrativo – ha suscitato un acceso dibattito anche in Svizzera, dove due cantoni (Obvaldo e Uri) l’hanno introdotta poco più di una decina di anni fa.

Proposta nata a fine anni ’70 negli USA

Ma anche nella versione “cantonale” si è ben lontani dall’ideologia che ne aveva accompagnata la sua teorizzazione alla fine degli anni ’70 e che aveva successivamente ispirato, spiega Marco Salvi di Avenir Suisse (think tank di impronta liberale, vicino ai ceti economici elvetici), gli ambienti conservatori statunitensi e l’amministrazione Reagan. Quella proposta consisteva in “una vera e propria rivoluzione fiscale che mirava a cambiare praticamente tutto il sistema tributario, rendendolo più favorevole al risparmio e agli investimenti e, al contempo, semplificandolo enormemente”.

L’idea di fondo “era quella di poter inviare la dichiarazione fiscale su una cartolina postale”. Oggi invece si ragiona semplicemente su un tasso proporzionale unico applicato generalmente solo all’imposta sul reddito da lavoro, con l’aggiunta di deduzioni sociali (tecnicamente si parla di flat rate tax, qui di seguito denominata semplicemente flat tax). Siamo quindi “ben lontani da una riforma radicale” e generalizzata del sistema che si voleva ricostruire dalle fondamenta.

La versione pura della flat tax, ideata negli ambienti neoliberisti degli anni ’60 (in particolare dal Nobel Milton Friedman), prevedeva un tasso unico, senza deduzioni e detrazioni, su tutte le fonti d”entrata: reddito, dividendi, eredità, plusvalore sulle vendite. Tutti i flussi finanziari che accrescono la capacità finanziaria sono tassati esattamente con la stessa aliquota e al contempo vengono premiati il risparmio e gli investimenti. L’onere amministrativo grava su chi deve pagare (banca sui dividendi, datore di lavoro sui salari), che generalmente la preleva alla fonte, con conseguente semplificazione delle procedure (non sarebbero più necessarie né un’amministrazione fiscale, né le dichiarazioni dei contribuenti). Inoltre, essendo tutti i movimenti finanziari soggetti all’aliquota unica, si previene l’evasione fiscale.

Oggi appare più che altro, evidenzia Marco Salvi, come un’operazione di “marketing” politico, su cui concorda anche Samuele Vorpe, economista del Centro di competenze tributarie dell’Università professionale della Svizzera italiana (Supsi). Questa riforma “viene infatti venduta” come uno strumento che, abolendo la progressione delle aliquote fiscali fa venire meno il disincentivo a non lavorare oltre una certa soglia, per evitare di dover pagare più imposte. “In realtà la progressione (indiretta) c’è sempre per effetto della deduzione sociale” – la cosiddetta no tax area che esenta il contribuente fino a una certa soglia di reddito – e per questo motivo non si ha comunque “un’imposizione uguale per tutti”, precisa l’economista ticinese.

Due cantoni apripista

Inoltre anche l’esperienza circoscritta e relativamente recente maturata in Svizzera, nei due cantoni che l’hanno introdotta (Obvaldo nel 2008 e Uri nel 2009), non consente di trarre conclusioni definitive.

Nella simulazione effettuata dal centro di competenze di tributarie (Supsi) sul Ticino, dove vigono aliquote piuttosto progressive, orientate a un principio di redistribuzione dei redditi, precisa Samuele Vorpe, si è osservato che a parità di gettito, la flat tax fa guadagnare i bassi redditi – in virtù della deduzione sociale – e i contribuenti benestanti, cui è applicata un’aliquota fissa inferiore a quella precedente.

“La progressione fiscale con la flat tax c’è sempre per effetto della deduzione sociale (la cosiddetta no tax area) e per questo motivo non si ha comunque un’imposizione uguale per tutti.” 

Samuele Vorpe (Centro competenze tributarie Supsi)

A sobbarcarsi il maggiore onere fiscale è invece il ceto medio, che è chiamato a compensare le agevolazioni ottenute dalle altre due categorie. Se invece si vuole evitare qualsivoglia aggravio fiscale, insiste il responsabile del centro di ricerca di Manno (Lugano), si produrranno ingenti perdite di gettito, che comunque penalizzeranno ancora una volta la classe media che, a differenza delle altre, non potrà godere di alcuno sgravio tributario.  

Nei cantoni Uri e Obvaldo, sottolinea sempre Samuele Vorpe, avevano precedentemente una scala di aliquote con progressione meno marcata – dove gli alti redditi non pagavano elevate imposte – che si adatta meglio al sistema con aliquota unica (con deduzione sociale). Al contrario, nei cantoni con forte progressività fiscale si rischia di generare grossi squilibri di gettito o tra contribuenti.

Non si può quindi, a suo giudizio, fare una considerazione generale sulla bontà o meno della flat tax ma occorre effettuare un confronto matematico tra la scala delle aliquote progressive precedenti all’eventuale introduzione dell’aliquota unica (agendo sulle varie misure dell’indice e della deduzione che si vogliono ottenere) e gli effetti concreti che ne derivano.

Non tutti concordano però neanche in Svizzera

Del resto, ricorda Samuele Vorpe, hanno provato successivamente ad introdurla anche nei cantoni Svitto e Turgovia ma è stata rigettata dalla popolazione in votazione proprio per gli squilibri che avrebbe provocato, in particolare per il ceto medio. Anche Marco Salvi tende a non generalizzare la portata del “modello elvetico” della flat tax, anche perché nel sistema federale vi sono diversi livelli di tassazione, di cui i regimi cantonali sono solo una parte, e “l’imposta federale è estremamente progressiva, in misura maggiore rispetto a molti paesi come l’Italia”.

Cin l’introduzione della flat tax a Obvaldo e Uri “non ci sono stati grandi cambiamenti, né dal punto di vista delle entrate” né in termini di attrattività dei contribuenti facoltosi.

Marco Salvi (Avenir Suisse)

C’è poi da precisare che in quei due cantoni vi è una distribuzione dei redditi da lavoro e capitale abbastanza piatta, con relativamente poche retribuzioni elevate e per questo motivo “non ci sono stati grandi cambiamenti, né dal punto di vista delle entrate” né in termini di attrattività dei contribuenti facoltosi. Va comunque considerato che nel caso di Obvaldo e Uri “si tratta di cantoni piccoli e periferici”. Il discorso cambierebbe profondamente se la flat tax venisse introdotta “a Zurigo o in Ticino dove, a dipendenza beninteso dell’aliquota scelta, potrebbe provocare ingenti perdite di gettito”, indica l’economista di Avenir Suisse.

In proposito, aggiunge Marco Salvi, è interessante osservare i paesi nordici, come Svezia, Danimarca e Norvegia che in un certo senso hanno un tipo di flat tax particolare, dove ci sono solo un paio di aliquote che partono da soglie elevate, oltre il 40 per cento del reddito. Questo per dire che l’aliquota unica non è necessariamente antisociale ma dipende dal contesto in cui è inserita. Detto altrimenti, un sistema esteso e capillare di prestazioni mirate ai redditi mediobassi, come avviene nel Nord Europa, esercita una forte progressione fiscale, pur in assenza di aliquote progressive.

Aliquota unica e debito pubblico

Ci si può semmai interrogare sugli effetti di uno sgravio fiscale di tale portata sui conti pubblici italiani confrontati con un debito che ha raggiunto i 2’700 miliardi di euro e veleggia oltre al 150% nel rapporto sul PIL, pure al netto dei benefici che questo potrebbe comportare sull’economia. Per Marco Salvi una flat tax non sembra compatibile a corto termine, soprattutto nel caso dell’aliquota del 15%, con la situazione delle casse dello Stato, anche perché gli effetti positivi sull’attività economica non si producono da un giorno all’altro.

“L’esperienza dei cantoni dimostra che ci vuole del tempo, anche decenni, per avere un impatto significativo sull’economia e sulle entrate con la flat tax”.

Marco Salvi (Avenir Suisse)

Questo “lo insegna l’esperienza dei cantoni svizzeri che hanno giocato la carta della concorrenza fiscale” (con trattamento estremamente privilegiato per i contribuenti stranieri benestanti disposti a trasferire il domicilio sul loro territorio, ndr), soprattutto in merito all’imposizione delle imprese che sono particolarmente reattive al livello delle aliquote fiscali. “Abbiamo potuto infatti constatare che ci vuole tempo, anche decenni, per avere un impatto significativo sull’economia e sulle entrate con queste misure. Mi sembra una grande scommessa”, sostiene l’esperto di Avenir Suisse. “È tutto il sistema fiscale che deve essere semmai riorientato e ribilanciato se si vuole produrre crescita”, non basta un’aliquota bassa che in quest’ottica appare “poco realistica”.

In Italia i redditi da lavoro sottostanno a imposizione progressiva (che è poi quella che si vuole cambiare con aliquote del 43% oltre i 50’000 euro), mentre i redditi finanziari sottostanno già a una tassazione proporzionale (sostituto d’imposta del 12,5% sugli interessi dei titoli di stato, del 26% sui dividendi, cedolare secca del 21% sui canoni di locazione)

Da parte sua Samuele Vorpe sottolinea che con la flat tax il grosso cambiamento lo si avrebbe solo sui redditi da lavoro. In Italia – a differenza del regime fiscale elvetico dove tutti i redditi (redditi da lavoro, interessi e dividendi, affitti) concorrono a formare la base imponibile, alla quale viene poi applicata l’aliquota corrispondente – la tassazione varia a seconda del cespite di reddito.

Per gli alti redditi oltre i 50’000 euro che oggi sono tassati al 43%, osserva il responsabile del Centro di competenze tributarie, un’aliquota marginale del 15% “creerebbero scompensi -a condizioni statiche – a livello di entrate fiscali”. Ma anche per i redditi da partecipazione societaria, che oggi sono imposti al 26%, è prevedibile un appiattimento dell’aliquota con conseguente erosione del gettito. La speranza è quindi che “riducendo il prelievo fiscale si vada poi a stimolare l’economia”.

Quali misure fiscali sono urgenti per l’Italia

Chi si troverà comunque a sostituire dopo le elezioni Mario Draghi sarà comunque confrontato con una situazione finanziaria difficile, acuita dalla crisi energetica e dal conflitto ucraino, per la quale non esistono certo ricette miracolose, nonostante il sollievo costituito dai previsti fondi provenienti dal programma europeo Next Generation EU.

Un primo passo però potrebbe passare dalla riduzione della tassazione da lavoro, indica Marco Salvi, senza trascurare le modalità con cui vengono spesi i soldi delle tasse versate dai cittadini. Andrebbe poi riformata l’imposizione del capitale, nel suo insieme, in modo da non favorire fiscalmente troppo l’immobiliare, come si è fatto negli ultimi decenni.

“In Italia sono stati fatti passi da gigante che che hanno reso il paese molto competitivo fiscalmente anche nei confronti della Svizzera e di altri Stati”.

Samuele Vorpe (Centro competenze tributarie della Supsi)

Una politica “populistica” che ha penalizzato la produttività del lavoro che ha portato l’Italia agli ultimi posti in Europa. Ma “più che sulle entrate mi concentrerei sulla spesa che deve essere indirizzata maggiormente verso gli investimenti e meno verso i trasferimenti, è lì che bisogna intervenire”, conclude l’economista.

Italia competitiva sul fisco, meno sulla spesa dello Stato

Per Samuele Vorpe Roma, su cui grava ancora il problema dell’evasione tributaria, ha fatto ultimamente dei “passi da gigante”, introducendo nel proprio ordinamento diverse misure specifiche “che hanno reso il paese molto competitivo fiscalmente anche nei confronti della Svizzera e di altri Stati”.

E in proposito cita la tassazione per i “paperoni” stranieri neo residenti varata nel 2017 che consente loro di essere tassati forfettariamente (100’000 euro) su tutti i redditi maturati all’estero “che è fortemente concorrenziale con la tassazione globale svizzera”. Ma anche gli sgravi sul reddito da lavoro fino al 90%, per riportare in Italia i cosiddetti “cervelli” o la flat tax del 7% a favore dei pensionati provenienti dall’estero che si stabiliscono in alcune regioni meridionali.

Quindi si può ben dire, sottolinea il ricercatore ticinese, che a livello tributario è già stato fatto molto e un‘eventuale flat tax sui redditi da lavoro “potrebbe essere un ulteriore stimolo”, se abbinata a una certa stabilità dei governi. Ma, rende attenti Samuele Vorpe, bisogna naturalmente considerare poi le perdite di gettito che andrebbero compensate con una reale revisione dei compiti dello Stato, soprattutto se l’aliquota unica fosse del 15%, che rischia di essere insostenibile per il bilancio pubblico.

In questo senso, conclude, potrebbe venire in aiuto anche il modello federale elvetico con la sua ripartizione di competenze fiscali e finanziarie tra Confederazione, cantoni e comuni, che dimostra che si può gestire in modo più parsimonioso ed efficace le risorse rispetto a quanto fa uno Stato centrale.

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