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Finlandizzazione o modello austriaco per il futuro dell’Ucraina

La premier finlandese Sanna Marin.
La premier finlandese Sanna Marin. Keystone / John Thys / Pool

Vienna e Helsinki "diversamente neutrali" ma comunque nell'Unione europea. Ecco cosa significherebbe queste due ipotesi per il futuro dell'Ucraina.

Al di là delle questioni territoriali, Vladimir Putin vuole garanzie di demilitarizzazione e neutralità da parte di Kiev. Di una “finlandizzazione” dell’Ucraina si era già parlato in passato e fino a poco prima che le truppe di Mosca varcassero il confine. L’avrebbe evocata nelle scorse settimane anche il presidente francese Emmanuel Macron. Ma cosa significa? Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, l’ipotesi discussa dietro le quinte sarebbe tuttavia il modello austriaco. Quali sono le differenze e i punti in comune?

Entrambi i Paesi sono neutrali e in entrambi i casi si tratta di una neutralità in qualche modo imposta.

Il modello finlandese

Quella finlandese è stata una scelta pragmatica, di ‘Realpolitik’, adottata dopo la Seconda guerra mondiale a difesa dell’indipendenza dichiarata il 6 dicembre 1917, riconosciuta da Lenin e difesa con il sangue (a prezzo di cessioni territoriali) in conflitti successivi con i sovietici nel 1939-1940 e nel 1941-1944.

Dal 1948 la Finlandia è rimasta neutrale per tutta la Guerra fredda, in cambio della garanzia di non essere attaccata.

Dopo il Trattato con l’URSS del 1948 la Finlandia è rimasta neutrale per tutta la Guerra fredda, in cambio della garanzia di non essere attaccata. Tuttavia, ha un esercito forte e nulla le impedirebbe formalmente di fare il grande passo verso l’Alleanza atlantica, con cui ha già una collaborazione. Come nella vicina Svezia, l’ipotesi dell’adesione sta tornando d’attualità di fronte agli eventi ucraini e per la prima volta la maggioranza della popolazione sarebbe favorevole. Il Parlamento ne dovrà discutere.

Il presidente Sauli Niinistö, uomo di lunga esperienza e fra i leader che meglio conoscono Vladimir Putin, pur comprendendo “l’inquietudine dei cittadini” ha invitato però nei giorni scorsi a mantenere la calma per non accrescere le tensioni con il Cremlino, che ha già inviato il suo avvertimento.

Lo stesso Niinistö, intervistato da Der Spiegel a metà febbraio, aveva però anche detto di non poter consigliare a un altro Paese una “finlandizzazione”, termine che a Helsinki è percepito negativamente. Questo perché spinse Governi del passato a quella che oggi si considera un’eccessiva accondiscendenza nei confronti degli interessi del potente vicino, con cui la Finlandia condivide 1’300 chilometri di confini. Il margine di manovra politico, interno come internazionale, ne risultò limitato.

Finlandia e Svezia – ha detto inoltre martedì la premier svedese Magdalena Andersson – contano poi sul paragrafo 7 dell’articolo 42 del Trattato di Lisbona dell’Unione Europea. Anche se in termini vaghi, esso prevede una mutua assistenza in caso di aggressione militare.

Il modello austriaco

Vienna di fatto non ebbe invece alcuna scelta dopo la Seconda guerra mondiale. La dichiarazione di neutralità permanente dell’ottobre del 1955 è fondamento essenziale dello Stato e fu vitale per mettere fine all’occupazione militare da parte delle potenze alleate alla fine del conflitto.

In Austria la rinuncia al Patto atlantico è messa nero su bianco nella Costituzione.

Il 15 maggio era stato firmato il memorandum di Mosca, l’unico documento internazionale ufficiale in cui questa promessa era stata formulata. Anche l’Austria ha un partenariato con la NATO ma non può diventare membro né ospitare basi e nel suo caso la rinuncia al Patto atlantico è messa nero su bianco nella Carta fondamentale. D’altro canto, a differenza dell’Ucraina e della Finlandia, l’Austria non ha una contiguità territoriale con la Russia e non deve temere un’invasione.

Se queste sono le grandi differenze fra i due Paesi, ci sono anche aspetti comuni: né una condizione né l’altra sono state da ostacolo né alla prosperità economica né al processo di integrazione europea. E nemmeno hanno impedito l’adozione di sanzioni contro la Russia oggi come nel 2014. Austria e Finlandia hanno aderito insieme all’UE, il 1° gennaio 1995 come la Svezia, completando un percorso passato per lo Spazio economico europeo (lo stesso di cui invece la Svizzera non volle far parte).

L’Ucraina fino a oggi

L’integrazione europea era “una priorità chiave” anche per l’Ucraina già sotto il pro-russo Viktor Yanukovich. Durante la sua presidenza il Parlamento votò invece nel 2010 per l’abbandono delle ambizioni di adesione alla NATO. Quest’ultima era stata promessa dall’Alleanza al termine del vertice di Bucarest del 2008. Alla Casa Bianca c’era George W. Bush, fautore di questo passo, come il predecessore di Yanukovich, il filo-occidentale Viktor Yushenko.

L’ingresso a breve dell’Ucraina nell’Ue sembra un’ipotesi piuttosto remota.

La rivolta di “Euromaidan” del 2014 segnò una nuova svolta: Yanukovich, che aveva da poco preferito la mano tesa russa al trattato di associazione con l’UE, venne scacciato. Gli succedette Petro Poroshenko, che invertì nuovamente la rotta di Kiev: firmò l’intesa con Bruxelles e nel febbraio del 2019 l’obiettivo di adesione al Patto atlantico (oltre che ai Ventisette) è stato inserito nella Costituzione.

L’Ucraina vede nella mutua difesa garantita dall’articolo 5 del Patto l’unico strumento per difendersi dalla Russia. Mosca già con l’annessione “de facto” della Crimea ha violato il memorandum di Budapest del 1994 che garantiva l’inviolabilità delle frontiere ucraine (in cambio della rinuncia alle armi nucleari). Tuttavia, dal lato pratico l’Alleanza ha ribadito più volte che l’adesione di Kiev non è dietro l’angolo e rifiutato di intervenire direttamente nel conflitto in atto per non mettersi in rotta di collisione diretta con il Cremlino.

Allo stesso tempo, anche un ingresso a breve dell’Ucraina nell’UE sembra un’ipotesi per ora piuttosto remota. Zelensky, sull’onda emotiva dell’invasione, ha invocato una “procedura speciale” per abbreviare un processo che, a titolo di paragone, ha richiesto 10 anni alla Romania e 11 alla Bulgaria. Il vicepresidente della Commissione Maros Sefcovic ha espresso una volontà di integrare “rapidamente” Kiev. L’adesione richiede però l’unanimità dei membri e “i pareri sono diversi”, ha detto il 28 febbraio il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, anche perché la lista dei criteri da rispettare è lunga e l’Ucraina non è in grado oggi di soddisfarli tutti.

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