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Una morte dignitosa anche per i detenuti

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La norme legali che ai detenuti va limitata la libertà di circolazione, ma che tutto il resto deve essere equivalente, compreso il sistema sanitario, sottolinea l'antropologo Ueli Hostettler. Alessandro Della Bella/Keystone

In Svizzera, le prigioni sono state concepite pensando soprattutto a autori di reati tra 20 e 30 anni, che vengono rilasciati dopo l'esecuzione della pena. Ma il numero di detenuti anziani è in aumento, mentre gli istituti carcerari non dispongono delle infrastrutture necessarie per loro. Per alcuni, il carcere non è solo un luogo in cui vivere, ma anche in cui concludere la vita.

“Nessuno dovrebbe morire in prigione contro la sua volontà”, ritiene l’antropologo Ueli Hostettler. La questione della morte è qualcosa che, in un certo senso, unisce le persone. Ci sono persone che pensano di essere diverse, perché hanno compiuto qualcosa. “Ma nell’ora della morte siamo tutti uguali”.

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Ricercatore presso l’Istituto di diritto penale e criminologia dell’Università di Berna, Ueli Hostettler ha condotto il progetto “Fine della vita in carcere – contesto giuridico, istituzioni e attoriCollegamento esterno“. Lo studio ha rivelato che le carceri svizzere, concepite per i detenuti tra i 20 e i 30 anni, non sono pronte a soddisfare le esigenze degli ultrasessantenni, una popolazione in crescita e con esigenze diverse.

Laboratori per le prigioni del futuro

In alcuni penitenziari sono state progettate sezioni speciali per i detenuti anziani. Il carcere di LenzburgCollegamento esterno (Canton Argovia) è stato un pioniere con la sua unità “60 plus”, con 12 posti, mentre il carcere di PöschwiesCollegamento esterno (Zurigo) può ospitare fino a 30 detenuti nella sua unità “Età e salute”.

“Questi spazi rappresentano un primo passo verso un trattamento umano dell’invecchiamento e della morte dei detenuti più anziani. Sono una sorta di laboratorio per lo sviluppo futuro delle carceri svizzere”, sottolinea Ueli Hostettler.

Tuttavia, la popolazione carceraria in età avanzata è in aumento. Nel 1984 c’erano 212 detenuti di età superiore ai 50 anni. Secondo l’Ufficio federale di statisticaCollegamento esterno, nel 2015 questo numero è più che triplicato (704) e nel 2017 è salito a 828, di cui 56 di età superiore ai 70 anni. Una tendenza destinata a continuare: il numero di detenuti anziani dovrebbe triplicare entro il 2030 (rispetto al 2015) e decuplicare entro il 2050.

Questo nuovo profilo demografico è dovuto in parte all’invecchiamento generale della popolazione e all’aumento della criminalità nella vecchiaia, ma anche all’inasprimento delle leggi, all’applicazione di pene più severe e alla riluttanza nel concedere la libertà condizionale.

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Senza speranze e prospettive

“Ci sono persone per le quali non c’è quasi nessuna speranza di liberazione. E ce ne sono sempre di più. Davanti ai nostri occhi, le prigioni si stanno riempiendo, soprattutto le sei prigioni di alta sicurezza in Svizzera, con persone che non hanno futuro”, rileva Ueli Hostettler.

Ciò implica un conflitto tra la tradizionale logica carceraria basata sulla punizione e la riabilitazione, ma non sui bisogni dei detenuti, e la logica dell’attenzione e dell’assistenza imposta da una popolazione carceraria di età avanzata. Il personale carcerario stesso non ha la formazione necessaria per soddisfare le nuove esigenze, per le quali non esistono linee guida specifiche.

“Le carceri mancano di infrastrutture adeguate e di personale qualificato, non ci sono sezioni appositamente adattate per i prigionieri morenti e, oltretutto, la morte naturale non è riconosciuta nei regolamenti, nei processi e nelle pratiche carcerarie”, spiega Ueli Hostettler.

“Non esiste una legislazione specifica sulla fine della vita in prigione”, aggiunge l’esperto. Molti prigionieri temono che la loro ultima ora possa arrivare nella solitudine delle loro celle o durante gli spostamenti tra l’ospedale e la prigione. Ciò non è dignitoso”.

Requisiti di sicurezza

Esistono possibilità legali per rilasciare i detenuti alla fine della loro vita (articoli 80 e 92 del codice penale), ma “le autorità responsabili preferiscono non correre rischi. La società esige sicurezza totale e nessuna recidiva, ma queste non esistono al 100%”, prosegue l’antropologo.

Hostettler fa notare che l’assistenza medica per i detenuti in età adulta risponde principalmente ai casi di incidenti, che vengono trattati in regime ambulatoriale. Per quanto riguarda i decessi, essi sono dovuti principalmente a omicidi o suicidi e rappresentano un fallimento nel sistema carcerario. Ma tra i detenuti più anziani i problemi di salute sono spesso di altro tipo, più acuti, cronici e mortali.

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Ci sono prigioni con medici sul posto. Altri usano medici locali. Gli ospedali universitari di Ginevra, Losanna e Berna dispongono di unità protette per il trattamento e la convalescenza dei detenuti. Tuttavia, coloro che sono considerati pericolosi non sono in grado di accedere a trattamenti specifici, quali le cure palliative, come il resto della popolazione.

Principio di equivalenza

“La norme legali svizzere stabiliscono che l’unica cosa limitata ai detenuti è la libertà di circolazione, ma che tutto il resto deve essere equivalente, compreso il sistema sanitario”, dice Ueli Hostettler.

Tuttavia, sia dal punto di vista medico che in altri settori, la prevalenza della sicurezza impone restrizioni significative, cosicché i detenuti ritenuti pericolosi non vengono rilasciati per trascorrere gli ultimi giorni a casa o trasferiti in case di riposo per anziani o in altri istituti appropriati. 

“Se, per motivi di sicurezza, i prigionieri non possono essere seguiti alla fine della loro vita in unità specifiche fuori dal carcere, queste unità devono essere create all’interno”, dice Ueli Hostettler.

Dibattito pubblico necessario

Secondo l’antropologo vi è quindi un’urgente necessità di formare il personale carcerario, di definire orientamenti chiari e, soprattutto, di sensibilizzare l’opinione pubblica.

“Se il bisogno di sicurezza porta ad un aumento del numero di persone che invecchiano e muoiono in prigione, questa responsabilità deve essere assunta”, sottolinea Hostettler. A tal fine, l’esperto ritiene urgente organizzare un dibattito pubblico: “Questo dibattito riguarda i nostri valori umanitari. Una società responsabile e democratica deve trovare una risposta. Non si possono inasprire le leggi senza reagire alle conseguenze”.

Studio “Fine della vita in carcere”

Il progetto “Fine della vita in carcere – contesto giuridico, istituzioni e attoriCollegamento esterno” è stato realizzato con metodi etnografici, studi di casi e analisi giuridiche da ricercatori delle Università di Berna e Friburgo (U. Hostettler, I. Marti, M. Richter, S. Bérard und N. Queloz).

Questo studio rientra nel Programma nazionale di ricerca NRP67 “Fine della vita”Collegamento esterno (2012-2016) del Fondo nazionale svizzero per la scienza. Oltre a 60 interviste con autorità giudiziarie, detenuti e personale carcerario, sono state esaminate le condizioni di vita nelle carceri di Lenzburg e Pöschwies per un periodo di tre mesi.

Traduzione di Armando Mombelli

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