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Fabbriche di metano a quattro zampe

La FAO stima a 80 milioni di tonnelate la quantità di metano liberata ogni anno dalla digestione animale. Keystone

Sembrano innocui, ma costituiscono una minaccia per l'intero pianeta. Mucche e altri erbivori da allevamento sono infatti tra le principali fonti di metano, un gas a effetto serra. Ricercatori del Politecnico di Zurigo tentano di trovare soluzioni modificando la dieta dei ruminanti.

La notizia farà sorridere gli automobilisti. In particolare i conducenti di SUV e di grosse cilindrate, spesso additati per il loro agire poco ecologico.

Secondo un rapporto dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), l’allevamento di bestiame è responsabile del 18% delle emissioni totali di gas a effetto serra.

In Svizzera, l’80% delle emanazioni agricole di metano (tra i gas più nocivi per lo strato di ozono) è generato dalla digestione dei ruminanti, soprattutto le mucche da latte.

Si tratta di un fenomeno del tutto naturale, osserva Michael Kreuzer, dell’Istituto di scienze animali del Politecnico federale di Zurigo. «Il problema è che oggi ci sono molti più ruminanti rispetto al passato».

Introdurre dei filtri nell’apparato digestivo delle mucche, oppure obbligarle a ruminare a giorni alterni, non è ovviamente realistico. Per ridurre le emissioni di metano, il gruppo di ricercatori del professor Kreuzer è intervenuto sulla dieta degli erbivori.

Tannini e semi di lino

Basandosi sui risultati di alcuni studi – secondo cui alcune piante possono inibire i microorganismi responsabili della produzione di metano durante la digestione – il professor Kreuzer ha provato a integrare additivi naturali al foraggio delle mucche.

I primi risultati sono sorprendenti: aggiungendo dei tannini in polvere al fieno, le emissioni di metano sono calate del 30-40%. Effetti positivi sono stati notati anche con il frutto di una pianta tropicale (albero della saponaria) e i semi di lino.

L’utilizzo di semi di lino frantumati, sottolineano i ricercatori, avrebbe pure il vantaggio di migliorare la qualità del latte grazie all’aggiunta di acidi grassi omega-3, indispensabili per il corretto funzionamento dell’organismo.

La dieta perfetta non è però ancora stata trovata: l’impiego di inibitori del metano potrebbe infatti incidere sulla capacità di digestione dei ruminanti. «Tutto dipende dal dosaggio: se si aggiungono troppi inibitori, si rischia di uccidere anche i microorganismi responsabili della digestione della cellulosa», spiega a swissinfo.ch la ricercatrice Carla Soliva.

«Ora stiamo analizzando l’effetto dei tannini sulla qualità della carne e la produzione lattiera. Riteniamo ad ogni modo che non ci sia alcun effetto negativo».

Vaccini contro il metano

Il progetto del Politecnico di Zurigo, della durata di tre anni, fa parte del contributo elvetico alla ricerca globale di soluzioni per limitare l’impatto delle attività agricole su clima e ambiente.

La Svizzera partecipa infatti all’alleanza internazionale di 28 Paesi creata in occasione della Conferenza sul clima di Copenhagen del 2009. Il suo scopo è di riflettere su come ridurre le emissioni di gas a effetto serra nell’agricoltura.

«Il gruppo sta ancora definendo le sue modalità di lavoro, ma ha già individuato alcune priorità. Tra queste vi è l’allevamento, un settore in cui la Svizzera intende fornire il suo contributo», spiega a swissinfo.ch Daniel Felder, responsabile della strategia climatica dell’Ufficio federale dell’agricoltura (UFAG).

Alcuni paesi, tra cui Australia e Nuova Zelanda, stanno mettendo a punto dei vaccini che inibiscono i batteri responsabili della produzione di metano nei ruminanti, annota Felder. «Una proposta troppo radicale, che difficilmente verrà applicata in Svizzera. L’idea di aggiungere additivi al foraggio animale, come sta sperimentando il professor Kreuzer, ci sembra più realistica».

Ricerche da completare

Ma se sono effettivamente mucche e capre a nuocere al clima, perché non applicare anche in agricoltura il principio “più inquini, più paghi”?

«L’introduzione di tasse in agricoltura è un tema nuovo in Svizzera. Dobbiamo prima di tutto riflettere su chi deve pagare: il produttore o il consumatore? Vogliamo poi tassare le emissioni di gas a effetto serra, di azoto o di ammoniaca? Tutte domande alle quali non è ancora stata trovata una risposta», rileva Felder.

«Le conoscenze scientifiche relative alle emissioni di gas a effetto serra in agricoltura sono ancora limitate. Al momento è dunque difficile proporre delle soluzioni per ridurle. D’altronde, nei negoziati internazionali non sono stati ancora fissati degli obiettivi di riduzione delle emissioni in campo agricolo».

Per tentare di anticipare i tempi – «presto o tardi anche l’agricoltura sarà posta al centro delle discussioni» – l’UFAG sta elaborando una nuova strategia climatica. Il documento, anticipa Daniel Felder, terrà conto dei potenziali settori in cui è possibile ridurre le emissioni.

Luigi Jorio, swissinfo.ch

L’attuale modo di produrre e consumare alimenti di origine animale è tra le cause principali dell’inquinamento e del riscaldamento globale, sottolinea un rapporto pubblicato nel giugno 2010 dall’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente.

L’allevamento di bestiame, oltre a necessitare di molta acqua, produce in effetti più emissioni di gas a effetto serra (soprattutto CO2 e metano) rispetto al settore dei trasporti.

Gli animali sono inoltre alla base della maggior parte delle emissioni di ammoniaca, una sostanza che contribuisce ad acidificare gli ecosistemi.

Nel rapporto dell’UNEP si avanza così l’idea di modificare le abitudini alimentari: per salvaguardare l’ambiente bisognerebbe rinunciare al consumo di carne e latticini in favore di una dieta ricca in legumi.

Convertire la popolazione mondiale al veganisimo (che esclude ogni prodotto animale) non risolverebbe però la situazione, avvertono alcuni ricercatori finlandesi.

Dai calcoli effettuati dall’Istituto Mtt e dall’Università di Helsinki risulta che le emissioni di gas serra diminuirebbero soltanto del 7%.

Più che cambiare il cibo che si consuma, concludono i ricercatori, sarebbe meglio intervenire sui modi di produzione, privilegiando il concetto di sostenibilità e riducendo gli sprechi.

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