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Export armi: controllo finanze bacchetta l’amministrazione

Secondo il Controllo federale delle finanze l'amministrazione a volte non ha sufficiente distanza critica dalle ditte esportatrici di armi e dai loro lobbisti. KEYSTONE/OLIVIER MAIRE sda-ats

(Keystone-ATS) Il Consiglio federale intende allentare ulteriormente le regole per l’export di armi, permettendo le vendite anche verso Paesi alle prese con un conflitto interno.

Eppure già oggi, scrive in un rapporto reso noto oggi il Controllo federale delle finanze (CDF), le aziende belliche sanno sfruttare appieno le lacune della regolamentazione in vigore e possono godere della benevolenza dell’amministrazione. Talvolta manca da parte di quest’ultima una sufficiente distanza critica dalle ditte esportatrici e dai loro lobbisti.

Nel documento, la CDF si è occupata delle esportazioni di materiale bellico nel 2016, risultate pari a 412 milioni di franchi. Tutto è risultato conforme alle regole.

Ad occuparsi di queste transazione è, a seconda della natura di queste operazioni, la Segreteria di stato dell’economia (SECO), il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e altri dipartimenti. La SECO, in particolare, decide sulla base della Legge federale sul materiale bellico (LMB), dell’ordinanza in materia e della prassi interpretativa del Consiglio federale.

Secondo la CDF, però, le modifiche di ordinanze e la prassi interpretativa (mediante decisioni confidenziali del Consiglio federale che hanno carattere di principio) hanno portato negli ultimi 20 anni a “un’attuazione della LMB piuttosto favorevole all’economia”. Secondo la CDF, nelle valutazione delle richieste di esportazione, le varie istanze federali che se ne occupano “dovrebbero mantenere una distanza critica dalle imprese monitorate e dai loro lobbisti”.

Oltre ad incitare l’amministrazione ad aumentare i controlli, la CDF ha notato che le industrie di armamento sono riuscite in alcuni casi ad aggirare i divieti posti dalla Confederazione all’export di determinati prodotti oppure sfruttano appieno le possibilità offerte dalla legislazione.

Appellandosi alla cosiddetta regola degli assemblaggi di materiale bellico, che possono essere esportati senza dichiarazione di non riesportazione fino al massimo del 50% dei costi di produzione, le aziende possono fornire materiale a Paesi problematici passando per intermediari.

Le aziende possono aggirare determinati ostacoli giuridici concedendo proprie licenze di produzione a un Paese terzo ottenendo commissioni sul fatturato. La CDF fa l’esempio dell’esportazione di componenti per pistole all’Arabia Saudita attraverso gli Stati Uniti, mediante la stipula di accordi di licenza con l’Unione europea.

L’industria, sempre a parere della CDF, sa anche sfruttare il margine di manovra tra la LMB e la legge sul controllo dei beni a duplice impiego. È il caso per esempio di esportazioni di cannocchiali da puntamento verso l’Iran passando dall’Italia. In questo caso, la ditta è riuscita a provare che tale materiale può servire anche in ambito civile.

La CDF cita anche come sistema per aggirare le regole il trasferimento di prodotti all’interno di un gruppo di aziende. Se il cliente finale non è ancora conosciuto, “di fatto i motivi di opposizione a tali esportazioni sono pressoché inesistenti”.

I rilievi della CDF non sono passati inosservati alla SECO che ha criticato il rapporto sostenendo che il documento sia stato influenzato da un giudizio politico concernente l’export di materiale bellico e le norme che lo regolano.

Secondo una presa di posizione, il rapporto è unilaterale, poco differenziato e alcune constatazioni appaiono arbitrarie. La SECO, si legge ancora nella nota, non fa che applicare la volontà del legislatore.

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